Sì: Alessandro, Marinella, Marisa, Mirella
Nì: Tomas, Alessandra
No: Giuseppe, Maddalena, Oscar
Non letto: Massimo I e Massimo M.
MIRELLA (proponente): Sì
Lessi il libro nel 1981 e ricordo che mi era piaciuto e mi aveva colpito questa idea della fotografia ce arresta il tempo e che si pone come testimonianza della storia. Avevo trovato interessante anche questo avvicinamento alla lettura della fotografia, quellocioè che è contenuto nella prima parte del libro.
L’ho riletto per l’incontro e devo dire che ora mi ha colpito di più la seconda quando è il soggetto della foto ad essere l’oggetto della discussione. La foto dell’essenza della madre, che 30 anni fa non mi aveva detto nulla, ora mi ha fatto sentire lo stesso travaglio: mi sono indentificata nella ricerca della foto e ho capito che quando si guardano quelle foto, sparisce la funzione lenitiva che il tempo ha avuto e la foto ci riporta ad allora, perché appunto la foto blocca il tempo. Per me questo sono considerazioni nuove e interessanti, anche se ho trovato il libro molto ripetitivo.
TOMAS: Nì
Quasi quasi avrei detto di no: il libro è molto ripetitivo… sono quindi come Mirella ma 30 anni fa! La prima parte è ancora accettabile ma della seconda non ci ho capito molto e ho addirittura sospettato che l’autore si sia inventato tutta questa faccenda della foto dellamadre per scrivere il libro (e infatti non mostra la foto, cosa che trovo assurda visto che è la foto di cui più parla nel libro).
Io non me ne intendo di fotografia: quando siamo andati a vedere due mostre fotografiche a Udine, ho trovato una noiosissima e l’altra oscena. Vorrei anche dire che attulamente la foto si è riavvicinata alla pittura: l’elaborazione al computer rende la foto sempre meno reale e più una produzione quasi pittorica.
Ho comunque detto Nì perché nella prima parte ci sono due cose che ho apprezzato: la prima è il disagio provato da chi viene fotografato. Anch’io sono così e mi lascio fotografare solo da poche persone, da quelle che mi fido, perché solo con loro mi sento me stesso. La seconda riguarda la foto dell’arco a Granada che il libro riporta e che commenta dicendo che quello è il posto in cui vorebbe vivere percheè “è abitabile ma non visitabile”. Per lo stesso motivo infatti a me non piace Venezia.
MARINELLA: Sì
Condivido molto di quello detto da Mirella ma mi è piaciuto anche quello detto da Tomas sul fatto che “solo chi mi conosce mi sa fotografare”. E’ il concetto che ruota attorno alla foto della madre perché ognuno vede le foto a modo suo. Ci sono dei passi del libro che sono bellissimi, quando scorre le foto della madre “cercando la verità del volto che avevo amato” fino a che finalmente “ritrovai mia madre”, “quella era l’immagine giusta”.
Altre affermazioni che condivido e che mi piacciono sono la testimonianza che una fotografia dà della mia presenza in quel posto e in quel momento, io ero là, la certificazione che quel qualcosa è avvenuto, e la possibilità di “vedere gli occhi che hanno visto l‘imperatore”.
Forse sembra banale ho amato la frase “la vita è fatta di piccole solitudini”: sembra appunto banale ma non lo è.
Concludo che la sua teoria dello studium e del punctum sono veramente geniali, questo elemento “pungente” (e soggettivo) di una foto che diventa l’interesse di tutta l’immagine.
Non ho trovato il libro ripetitivo, azni direi essenziale.
ALESSANDRA: Nì
Ho detto Nì perché mentre nella prima parte mi ritrovavo, nella seconda mi sono persa. Ho apprezzato questa idea del fermare il tempo e mi ha fatto ricordare quando da piccola cercavo di fare la stessa cosa scrivendo “adessORAadessORAdessO…” all’infinito! Bella anche l’idea del punctum.
Certe frasi che riporta sono degli aforismi e mi sono piaciute tanto ma più andava avanti e più esagerave al punto da diventare pesante: da lì non mi è più piaciuto, è diventato non lineare nell’esposizione, quasi incomprensibile, anche perché parlava di fatti personali e quindi meno condivisibili.
MASSIMO I.: Non l’ha letto
Dell’autore ho letto “Frammento di un discorso amoroso” ricco anche lui di aforismi e mi era piaciuto molto. Voglio solo dire che magari può essere utile sapere che nella sua vita, R.Barthes ha avuto un rapporto morboso con la madre.
MARISA: Sì
L’estro artistico o il caso fortuito fanno della foto la cattura di qualcosa che non si ripeterà mai più. Questo è un concetto bellissimo: è la fotografia in relazione alla morte. E’ il parallelismo tra fotografia e teatro in cui gli attori si truccano per aver il ruolo dei morti: allo stesso modo il soggetto fotografato “si mette una maschera come un morto perché la sua immagine verà fissata ma lui non esisterà più”. Questo mi ha colpito molto.
Proust diceva che non si può possedere il presente ma solo il passato e allo stesso modo R.Barthes sostiene che la fotografia è “presenza attraverso l’assenza”.
Mi ha colpito molto anche il discorso della foto della madre, una foto che molto probabilmente per noi sarebbe insignificante (è per questo che non l’ha messa): ma per lui è la foto di una bambina che rappresenta quella che sarà in futuro, quella che sarà sua madre. La foto ci cattura per quello che siamo anche se spesso, io per prima, cerco di atteggiarmi in vario modo per apparire diversa, cosa i bambini non fanno perché non hanno questa coscienza.
La bellezza e l’interesse che ho trovato in questo libro sta negli impulsi emotivi che sono all’origine dei contenuti.
ALESSANDRO: Sì
L’ho letto velocemente (faccio fatica a leggere saggi), saltando i pezzi che trovavo pesanti e credo di non aver perso nulla. Ho trovato gli inserti fotografici molto belli e molto appropriati per il discorso che viene fatto e alla lettura che ne viene data: ho infatti guardato quelle foto molto più attentamente di come avrei fatto se non mi fossere state piegate e descritte come fa invece qui R.Barthes.
E’ pur sempre vero che quando vediamo una foto, noi vediamo solo una rappresentazione della realtà, non la realtà vera: questa è una bella idea e l’ho traslata anche a quello che vediamo in TV, soprattutto con i famosi reality che di reale non hanno nulla. La foto diventa quindi il materiale su cui costruire la realtà ma non è la realtà.
Interessante anche il rapporto con la morte e la definizione a cui arriva, cioè di una “morte priva di orrore”. E’ un essere stato e il suo ruolo è quello di ricordarci di essere esistiti, là e in quel momento. Molto bello infatti il parallelismo che fa la società del passato che si perpetuava con il monumento e quella del presente che invece usa la fotogafia, anche se questa ingiallisce e svanisce.
L’ultima è per me il riassunto di tutto il libro: “la fotografia è pazza e savia”.
OSCAR: No
Fin dalle prime pagine mi sono fatto un’idea dello scrittore e, chiedendomi se fossi interessanto a farci una cena assieme, rispondo con un “No” secco.
Non troverei gradevole né utile parlarci perché se le spiegazioni che fornisce sono così opinabili, allora non si applicano a me. Quando una delucidazione è opinabile per me è perfettamente inutile.
All’inizio de libro ero molto contento di iniziare un saggio che parlasse della fotografia, che a me piace tanto e mi aspettavo dei contenuti nuovi ma invece sono rimasto deluso.
Anche il famoso “punctum”, se diventa una cosa soggettiva allora non lo ritengo più valida. E poi per me la foto è e deve essere un insieme di punti, non uno solo, deve essere un qualcosa di corale che esce armoniosamente.
Anche il modo che suggerisce di leggere una foto ha poco senso perché esistono tanti modi per fruirla: quello che l’autore fa è un bel esercizio ma è tutto molto personale e quindi non condivisibile.
Io scatto foto per veder meglio la realtà che nei singoli istanti non riesco mai a cogliere nella sua interezza: c’e’ sempre qualcosa, anzi molte cose, che mi sfuggono. La foto li fissa e io posso poi identificarli.
GIUSEPPE: No
Nei saggi precendenti Massimo M. ha sempre detto che un saggio datato diventa poco interessante. E questo è uno di quei casi. Ad esempio, il discorso che fa sul fatto che una foto è una prova dell’esistenza di quel momento, ora non vale più. L’elaborazione digitale consente di realizzare foto mdi cose mai esistite.
Sui commenti condivido quanto detto da Oscar: le considerazioni fatte nel libro sono personali e in più molto opinabili pertanto non mi dicono assolutamente nulla. A questo si aggiunge un linguaggio che io, forse per mia ignoranza e rigidità mentale, ho trovato incomprensibili. Per me le frasi che scrive sono appariscenti ma prive di senso. Ad esempio cosa vuol dire che lo sguardo del bambino con il cane è uno “sguardo trattenuto”: per me è una frase senza alcun significato e come questa ce ne sono tante altre.
La prima parte è stata un po’ più interessante anche se non illuminante. La secondo è il suo vissuto personale e se una foto comunica o no a seconda di quanto io so dell’autore del soggetto ecc allora vuol dire che la foto non comunica quasi nulla. E se R.Barthes era un semiologo, un po’ di teoria della comunicazione gli avrebbe fatto capire che con un messaggio che cambia a seconda del destinatario, allora non esiste comunicazione.
MADDALENA: No
Questo libro mi ha fatto venire proprio la rabbia. Esistno precise tecniche per generare frasi vuote, le famore “frasi del tubo” e credo che l’autore ne fosse molto esperto. Infatto, ho trovato il “Diario segreto di Roland Bathes” e ora ve lo voglio leggere… trovate quali sono le frasi che ho aggiunto io!
BRACCIA RUBATE ALL’AGRICOLTURA
(dal diario segreto di Roland Barthes)
Caro Diario,
anche oggi, come succede sempre, mi sono annoiato.
Ho mangiato cinque yogurth che erano vicini alla data di scadenza e ho riguardato tutte le fotografie di famiglia.. accidenti che idea! Potrei scrivere un libro sulla scadenza degli yogurth. Oppure sulle fotografie. Peccato che non sono un fotografo. Ma Io sono molto intelligente, posso sicuramente scrivere di argomenti che non conosco, non è poi così difficile. Deve però venirmi un’idea base, vediamo, sugli yogurth scaduti ci penserò domani, ma sulle foto …
ecco, ci sono, non mi sono mai piaciute le foto in generale, mi è sempre piaciuto però notare i dettagli delle foto. Quando ci si annoia, si amano molto i dettagli, perché ti fanno perdere tempo. Ma se nel saggio uso la parola “dettagli” rischio di non sembrare un vero intellettuale. Mi servirebbe un termine difficile, magari in latino, ecco lo chiamerò “punctum”. Poi mi basterà trovare una serie di foto e individuare per ognuna un dettaglio che mi piace. E se non lo trovo in certe foto? Facile, dirò che in certi casi il “punctum” è indecidibile, questo si che si chiama salvarsi in corner.
Per riempire il libro poi potrei metterci un mucchio di frasi ad effetto, tipo “il pitturalismo è solo un’esagerazione di ciò che la Foto pensa di se stessa”, grande , sono troppo bravo. E’ facile inventare frasi ad effetto. Potrei inventarne a decine di frasi ad effetto, basta mettere un soggetto vicino ad un aggettivo o ad un verbo che non c’entrano niente l’uno con l’altro, scrivere con la maiuscola nomi comuni che non la richiedono e viceversa. Ad esempio:
- L’immagine è disordinata: lascia Impronte nella metafisica dell’obiettivo.
- L’Aria è come il supplemento intrattabile dell’identità
- Il punctum è mancino, quindi ha una data di Scadenza, quindi come evitare la liquida Nemesi dell’Occhio?
- Forse l’aria è in definitiva qualcosa di morale.
- La memoria è selvaggia, benpensante e umida: il dettaglio si bagna nel mare cardiologico del Fotomontaggio.
- la Storia è isterica: essa prende forma solo se la si guarda.
- Il fotografo è come l’ultimo carrello in fondo al supermercato della vita: spesso cigola e avanza con fatica a causa dell’Attrito della Storia.
Ecco ho trovato il modo di impiegare il mio tempo. Mi dispiace solo per i lettori che cercheranno di trovare un senso in quello che scrivo. Per amore della verità, allora, metterò all’interno del volume un piccolo indizio. Trovato quello, forse capiranno che sto giocando e smetteranno di soffrire. L’indizio sarà la didascalia della foto che metterò a pagina 113, un numero che di solito colpisce l’immaginario dei più.
E che Dio mi perdoni.
MASSIMO M.:
Non l’ho letto (dopo 3 pagine l’ho riportato alla biblioteca) ma faccio lo stesso dei commenti.
La fotografia è per me un modo per fissare i ricordi e solo se è scattata da me ha un valore maggiore in questo ricordare.E’ per questo che quando sono in viaggio io faccio molte fotografie.
Nuovo libro proposto da Marinella: “Frammenti di un discorso amoroso”… sempre di Roland Barthes (non passano “Gesù” di Paolo Flores D'Arcais e “Il cinema secondo Hitchcock” di Truffaut)
Prossimo proponente: Alessandro
Prossimo incontro: 13 aprile.