Trilogia della città di K. (di Agota Kristof)

Proposto da Pierpaolo

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di dicembre 2017

Gli 11 presenti votano così:

- 8 Sì (Alessandro, Alessandra Ce., Luisella, Marinella, Marisa, Oscar, Pierpaolo, Tomas)

- 1 Nì (Massimo I, che cambia da sì per informazioni nuove apprese durante la discussione)

- 1 No (Maddalena)

- 1 astenuta (Alessandra Co.)

Pierpaolo (sì, proponente): Delle tre “favole” sulla menzogna proposte avete scelto la più nera. Sembra un libro su guerra, dittatura, esilio: ma, scarnificando la lingua, arriva alla desolazione più profonda, primitiva, psicanalitica. Solitudine, abbandono, lutto, paura e fascino della morte e del vuoto sono dati di fatto della vita, dolori che vengono prima di ogni altra circostanza, per quanto tragica. Ci si perde in una danza macabra, tra scheletri appesi dietro le tende e altri deliri, sogni, illusioni, ricordi e premonizioni, così che la stessa storia è raccontata più volte sempre diversamente, ed è una storia edipica di colpa e negazione, semplicissima eppure inafferrabile. Attrae e respinge, affascina e fa rabbrividire, avvince perfino con una forma di suspense, sfugge a ogni classificazione, interroga il lettore con una domanda così intima, e per tutti diversa, come solo i classici sanno fare.

Marisa (sì): Questo romanzo nella prima parte può suscitare un moto di perplessità, ma in seguito si è catturati dalla trama originale e intrigante. Plumbeo, inquietante, crudo, disperato, violento, descrive la vita di due gemelli in un Paese dilaniato dalla guerra, due figure i cui nomi sono anagrammabili e a tal punto interscambiabili da poterle identificare come un'unica persona dalla personalità dissociata. Il pathos che desta questa lettura va al di là delle vicende narrate fino a fondersi con la sensazione di vuoto che lascia dietro di sé, il vuoto della solitudine, il vuoto di chi è senza speranza, di chi ha subìto il trauma dell'abbandono, di chi ha paura di amare, di chi insomma non può né vuole dare un senso e un valore alla propria vita. Infatti: “... la vita è di un'inutilità totale, è nonsenso, aberrazione, sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che supera l'immaginazione.” Qui la verità e la menzogna sono complementari, non esiste una verità assoluta e la menzogna s'insinua ovunque, a testimoniare l'indeterminatezza di ciò che per noi è realtà visibile e tangibile. Il romanzo risente dell'impronta autobiografica dell'autrice, che usa una lingua acquisita in età adulta e scrive in uno stile scarno ed essenziale prediligendo frasi brevi e a forma di dialogo, dove l'interlocutore spesso non lascia trasparire il suo vero volto, sottolineando così l'impossibilità di tracciare una linea netta di confine tra verità e menzogna, tra autenticità e illusorietà.

Alessandro (sì): Storia di un dolore non superato che quasi respinge. Mi ha ricordato per questo "Il profumo di Süskind", altrettanto freddo e pieno di dolore non detto. Ho trovato riuscita la descrizione di una solitudine assoluta, e ben affrontati i temi del rapporto con la madre e della scrittura. Nel primo libro la descrizione dello sforzo dei gemelli di rendere la lingua non ambigua, eliminando aggettivazione e vocaboli con significati non univoci, mi è sembrata una dichiarazione di poetica. Un libro che racconta un trauma, restandone totalmente invischiato.

Maddalena (no): Che senso ha trasmettere tanto dolore agli altri? All’inizio mi sembrava una storia realistica, poi ho trovato prevalente il genere horror, come nell’artificiosa storia degli scheletri. L’ho letto in velocità in un viaggio in treno, ma mi manca un messaggio di una qualunque positività e interesse per me. Per questo non lo consiglierei a nessuno.

Tomas (sì): L’ho iniziato in anticipo rispetto al mio ritorno a casa per le feste, per poterlo leggere tutto, ma ci ho messo solo 4 giorni. Di solito dimentico velocemente i libri, per questo li leggo poco prima delle nostre riunioni, ma questo credo che non lo dimenticherò più, perchè mi è piaciuto molto. Mi sono chiesto se la Kristof avesse già in mente tutto, quando ha pubblicato il primo volume. Nei tre libri lo stile riflette il tempo storico e l’età dei personaggi. Il primo è il libro dell’infanzia, vissuta sotto il pericolo immediato della guerra. Il secondo è il libro dell’età adulta, vissuta sotto una minaccia meno immediata, ma più insidiosa, quella della dittatura comunista, dove non sai chi ti è amico e chi nemico, chi è alleato e chi è invasore. Il terzo è il libro del crollo, che svela la “verità”. Difficile vivere in libertà, quando non c’è più lo Stato che ti dice cosa devi fare. Il momento più duro del libro per me è stato quando il fratello ha deciso di dare il sonnifero alla mamma, per impedirle di vedere il gemello. Crudelissimo, ma comprensibile. Mi piacerebbe rileggerlo, perché penso sia uno di quei libri che ogni volta appaiono diversi, e che capisci sempre meglio rileggendolo.

Marinella (sì): Un libro che ho letto appena uscito in Italia, che mi è piaciuto tantissimo tanto che l’ho regalato a molti amici, non ultima Gabriella e che avrei certamente proposto in una mia prossima terna. Magnifica è la struttura del libro. La costruzione narrativa cambia nelle tre parti, è un metaromanzo di una grande ambiguità: leggiamo il libro della Kristof, di Lucas o di Claus? Ne siamo disorientati. Claus, Lucas sono gemelli? Sono la stessa persona? Si parla dell'Ungheria e della repressione sovietica del 1956? O dello scontro tra esercito nazista e quello sovietico? Non ne sono sicura. La prima parte, "Il Grande Quaderno", scritto usando il NOI, quello di Lucas e Claus (I persona plurale), è una fiaba nerissima, un esercizio di psicoanalisi sul doppio, lo stile è quello di un libro scritto da un bambino. La seconda parte, "La prova", parla di Lucas in terza persona singolare. La terza parte, "La terza menzogna", è scritta da Claus in prima persona singolare. La scrittura è complessivamente asciutta, gelida, colpisce dritta al cuore, è una frustata, una sferzata, come la crudezza dell'esistere solo per sopravvivere. La Kristof scrive in un continuo processo di sottrazione. E' la scrittura che fa sopravvivere, che salva. Chi non scrive un libro è passato sulla terra senza lasciare traccia. E' un grande libro che ti parla e che continui a pensare per tutto il giorno e per tutta la notte quando lo sogni… A me è capitato di sognare episodi del libro.

Massimo I. (nì): Raramente rileggo libri, questa volta l’ho fatto con il primo e l’ultimo dei tre. Non sapevo che i libri fossero stati pubblicati separatamente, a distanza di tempo e trovo che così perdano gran parte del loro valore. Non hanno più senso, letti separatamente. Viene anche il sospetto di una operazione commerciale/editoriale, per questo cambio il voto da Sì a Nì. Il primo libro letto da solo non vale un euro perché è una favoletta nera dallo stile letterario miserevole.

Alessandra Ce. (sì): Un libro che mi è piaciuto molto, quando la menzogna viene meno, la verità non dà adito a speranza. Purtroppo da certe esperienze non si può che uscire col buio dentro. Il buio nell’anima va oltre la guerra: purtroppo sono episodi che succedono, anche i bambini si suicidano. Io ho trovato a differenza di altri tanti spunti per il presente.

Oscar (sì): Faccio intanto notare che, per un’anomalia statistica, è ben il terzo libro di fila che leggiamo in cui si uccidono conigli (è forse un contrappasso per Marisa?). Nel primo libro mi è sembrato di trovare quell’iper-razionalizzazione che è sintomo della sindrome di Asperger: sono proprio i due gemelli a dichiarare che la realtà va raccontata con parole precise, non ambigue, non soggettive. La mancanza di emotività lascia un raccontare funzionalmente lucido. La presenza di così tanto sesso, forse tipica dei tempi di guerra, ho poi finito con lo spiegarmela come fase di una elaborazione di un trauma gravissimo, tentativo di rendere più sopportabile la vita. Trovo i libri tristi, come questo, più intensi. Per me hanno qualcosa di positivo, catartico: nella descrizione dell'altrui dolore trovi modo di rivalutare la tua vita.

Alessandra Co.: mi sono astenuta perché non ho potuto leggere il libro, di cui pur apprezzo stile e coerenza dello schema. Non ho voluto leggerlo perché certe tematiche interagiscono troppo con il mio vissuto.

Luisella (sì): A me è piaciuto moltissimo. Ma forse non dobbiamo pensare in termini di libro bello o brutto, bensì di libro "prezioso", che offre qualcosa, fa riflettere, che è d'impatto, che rimane nella mia vita anche a pagine chiuse. Mi è difficile parlarne, come sarebbe parlare - appena svegliata - di un incubo. Non troverei un filo logico per raccontarlo, avrei solo certe scene fortissime in mente. Di Agota Kristof avevo letto il romanzo brevissimo "Ieri" che mi aveva lasciato delle suggestioni. Me le sono inevitabilmente portate dietro anche in questa lettura, perché ho ritrovato molti temi comuni: erranza, esilio, solitudine, incesto, e soprattutto SCRITTURA. In "Ieri" il protagonista è un esule che fa l'operaio in una fabbrica e conduce una vita grama, terribilmente vuota. Un giorno ritrova quella che considera il suo unico possibile amore (sua sorellastra) che gli chiede perché non sia diventato qualcuno. Altri suoi fratelli sono diventati medico, ingegnere... Ma lui no, è solo un umile operaio, è "un niente"; perché? E Tobias risponde con una frase che è una dichiarazione di Agota sulla sua stessa vita (così discreta, ai margini): "Solo diventando un niente si può diventare uno scrittore". Penso che il tema cardine, anche nella Trilogia, sia la scrittura. Lucas scrive il suo folle quaderno; Viktor vuole scrivere il romanzo che ha dentro e per avere la pace necessaria a farlo non esita a uccidere la sorella; Klaus scrive poesie, anche lui tormentato da una madre ingombrante. Sembra che il mondo si divida in chi scrive e chi non scrive, e chi non scrive è d'impiccio e di danno a chi vuole scrivere. Anche qui una frase centrale sulla scrittura: "Ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient'altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia". L'atto più importante sembra essere l'acquisto di carta e matite, gli strumenti per l'esistenza. Solo reinventando mille volte la propria realtà, si potrà viverne almeno una. Solo attraverso la bugia, si costruisce una verità. Davanti ad Agota Kristof, non me la sento di utilizzare parole banali come "Sto leggendo... ". Semplicemente precipito nell'universo Kristof, composto di libri diversi come di diversi mattoni, ma in fondo caratterizzato dalle stesse ossessioni, gli stessi labirinti, gli stessi personaggi che prendono nomi diversi (quando hanno un nome, e non è detto). Lettura affascinante terribile potente. Così potente che desidero andare a Koszeg, la piccola città di K, a visitare la tomba di Agota, a passeggiare lungo la piazza principale, a ritrovare - si fa per dire - l'atmosfera del romanzo. Se lo farò, un libro mi avrà portata lì. Vuol dire che è un libro forte, che incide la mia realtà, i miei progetti, i miei giorni. Non tutti i libri possono. Confido di scrivere di più e meglio. La Trilogia mi solletica un articolo lungo e meditato. Ma queste sono le mie prime impressioni.


Prossimo libro: "Ernesto" di Umberto Saba (preferito a "La confraternita dell’uva" di Joe Fante e a "Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi" di Maurizio De Giovanni)

Prossimo proponente: Oscar

Prossimo incontro: 26 gennaio

foto di Marinella Z.