La discussione non è stata molto vivace, le posizioni "Marcel Sì" / "Marcel No" erano chiare sin dall’inizio; nessuna delle due parti si è lasciata convincere dalle sperticate lodi o dalle reiterate critiche di prolissità. Chi può dire infatti che Proust non sia grande, ma chi può sottacere il fatto che sia prolisso?
Il libro è considerato il romanzo più lungo del mondo secondo il Guinness dei Primati, con circa 9.609.000 caratteri, scritti in 3724 pagine
Durante la discussione c’è stato un coraggioso tentativo di mediazione da parte di Oscar, che non ha letto il libro e non ha fatto neanche le madeleines. Il prode Oscar ha attribuito parte del non gradimento ai tempi cambiati e soprattutto alle nuove tecnologie che ci hanno abituato ad altri ritmi. Ma gli irriducibili anti-Marcel hanno citato una lunga serie di autori del passato che si leggono ancora con piacere e che trattano temi sempre attuali.
Il libro è piaciuto?
Hanno risposto SÌ: Marisa, Giovanna, Gabriella e naturalmente MARI.
Hanno risposto NÌ: Alessandra Co.
Hanno risposto NO: Tomas, Massimo M. e la proponente.
Mirella (no, proponente x amicizia): Ho proposto il libro perché non l’avevo ancora letto: avevo provato un paio di volte, sentito tante citazioni... e poiché non posso aver ripianti mi è parso opportuno leggerlo. Adesso non ho più rimpianti ma solo rimorsi! Marcel non ha sicuramente il dono della sintesi! Indubbiamente sa destare con la sua scrittura il ricordo di emozioni e sensazioni provate in un giorno di primavera alla vista del biancospino o di un fiore, ma poi si ripete per ogni biancospino, per ogni fiore etc... Tuttavia la prima parte, Combray, l’ho trovata meno artificiosa di “un amore di Swann” e di “Nomi”. In un amore di Swann il desiderio o amore del protagonista per Odette mi è sembrato talmente forzato o artificioso!! Ancor peggio quando in “Nomi” è il piccolo Marcel a trovarsi in una situazione amorosa simile.
Marisa (sì): La Recherche è un viaggio, o meglio un pellegrinaggio nella memoria. Ma non è soltanto questo, è anche un rendere lirica testimonianza delle cose vissute e oscurate dalla patina del tempo. Ed è appunto il Tempo il grande protagonista della Recherche. La Recherche si presenta come un corteo fantasmagorico di tutte le piccole cose, sensazioni e fatti (la madeleine, il tè di tiglio, il biancospino, il profumo del copriletto, la frase musicale di Vinteuil) che hanno trovato la loro anima, come del resto tutti i personaggi che occupano il loro spazio inteso come durata, come memoria del passato trasferito nella contemporaneità: e per meglio fissarli nella memoria Proust li trasfigura, li cristallizza, associando la loro immagine a un animale, a una musica, a un dipinto, come quando, quasi a voler nobilitare la figura di Odette e il suo amore per lei, la accosta alla figlia di Jetro, Sefora, immortalata da Botticelli, oppure come nel caso di Françoise e della vespa scarnificatrice che chiama l'anatomia in aiuto della crudeltà per sfamare le sue larve con carne fresca. La tortosuità sintattica deriva dai lunghi indugi dove si soffermano le idee, dove queste si ramificano in tanti incisi e parentesi e di nuovo in incisi e parentesi. Pur tuttavia la frase si dirige sempre verso una linearità finale che scioglierà il groviglio entro cui ci siamo smarriti, cosicché l'ordine viene ristabilito. Questa tecnica cara a Proust asseconda le intermittenze del cuore, cioè quei ricordi che sgorgano spontanei e che ci inducono a rivivere i momenti del passato come fossero realmente presenti. Quando il lettore si smarrisce via via nei meandri delle idee, egli rimane in una situazione critica – una sorta di apnea – come chi aspetta con ansia l'esito di una risposta che sembra non arrivare mai. Alla fine i punti interrogativi si sgranano e il lettore può rilassarsi il tempo di respirare e affrontare un nuovo stato di tensione. La scrittura di Proust, attraverso questi percorsi tortuosi, raggiunge l'acme della tensione per poi scaricarsi, similmente alla parabola di un'onda lunga che raggiunto il suo punto più alto si rifrange con impeto straordinario sulla riva, ricomponendosi in un fluire quasi calmo per poi riprendere il suo ritmo a ritroso in un gioco continuo e ogni volta diverso. Sono queste intermittenze del cuore che muovono il narratore a scrivere il romanzo della sua vita. Egli è un essere passivo e allo stesso tempo attivo: passivo in quanto mosso dalla memoria involontaria, irresponsabile, e attivo in quanto esecutore dei frutti di questa memoria. Insomma, attraverso la molla interiore, che scattando e scaricandosi di continuo, il narratore viene trasportato, e assieme a lui il lettore, lungo tutto il romanzo alla ricerca del tempo perduto.
Giovanna (sì): l’ho letto la prima volta negli anni 60 (com’è possibile?) e non sapevo se mi sarebbe piaciuto. Mi è piaciuto: bellissimo sfoggio di cultura, divagazioni artistiche, splendido affresco de i salotti parigini del tempo. Marcel ha scritto sul niente (come dice Max) ma con grande eleganza e ci ha lasciato una meravigliosa descrizione di un mondo che non esiste più.
Tomas (no): l’ho letto per rispetto di Mari, credendo che l’avesse proposto lei. E’ stata una grande sofferenza, tempo perduto. Il peggior libro che abbia mai letto.
Mari (sì): Ho letto Proust tante estati fa (quaranta?) e non l'ho mai abbandonato; ho riletto alcune parti con nuove traduzioni, per esempio quando è uscita l'intera opera nella traduzione di Giovanni Raboni, la prima che avevo letto era di Natalia Ginzburg ed era più faticosa. Ho letto biografie di Marcel, brevi saggi di Roland Barthes, il magnifico saggio di Piero Citati, "La colomba pugnalata" - la colomba pugnalata è Proust, l'uomo che pugnalò il proprio cuore con un senso acutissimo di colpa -, e altri. Ho letto un saggio di Proust "Il piacere della lettura" (brevissimo, che proporrò nel mio turno saggistico), che inizia con questa frase: Non vi sono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto così pienamente come quelli che abbiamo creduto di aver trascorso senza viverli, i giorni passati in compagnia di un libro prediletto. Saggio in cui parla anche della memoria involontaria e tra l'altro dice: Ogni giorno attribuisco minor valore all'intelligenza... soltanto prescindendo da essa lo scrittore può afferrare nuovamente qualcosa delle sue impressioni passate... Ciò che l'intelligenza ci restituisce con il nome di passato, passato non è.
Ho amato insieme con Mirella, che mi aveva fatto conoscere Ruskin, lo splendido racconto Rebus in "Piccoli equivoci senza importanza" di Tabucchi. Nel racconto Marcel Proust viaggia con il suo amato Alfred Agostinelli (Albertine nella Recherche). Alfred guida la Bugatti e la notte con i fari illumina i timpani delle cattedrali. Proust ha in mano la sua bibbia, il libro di Ruskin. Rincorro Proust quando vado a Parigi mangiando e imponendo alle amiche le madeleines che compro nei negozietti sotto casa, visito la tomba di Marcel al Pere Lachaise. Ho visto, ammirata e rapita, al teatro Verdi nel 1982 "Le intermittenze del cuore", balletto in cui Roland Petit con grande intelligenza e sensibilità ripercorre in musica e coreografia l'intera Recherche. Ma più di tutto, da amante del cinema, mi ha appassionato il tentativo di ridurre per lo schermo un'opera così irrappresentabile. Ho visto "Un'amore di Swann" di Schlöndorff con Ornella Muti, Jeremy Irons, Alain Delon (Charlus), Fanny Ardant. "Il tempo ritrovato" di Raoul Ruiz, in cui è la Deneuve a essere Odette, Albertine è Chiara Mastroianni, Charlus è Malkovich. Ho letto la sceneggiatura di Harold Pinter, scritta per Joseph Losey, e quella di Ennio Flaiano. Luchino Visconti, uomo aristocratico e colto, appassionato proustiano, sognava di realizzare il film che non ha mai realizzato. Voleva Alain Delon come Marcel, e poi Greta Garbo, Silvana Mangano, Romolo Valli. Per concludere trovo Proust un uomo di enorme sensibilità e un grande conoscitore dell'animo umano. E' vero che, come dice Proust, quando si legge, si legge se stessi e a proposito dell'attuale parziale rilettura dell'opera per la nostra serata non posso dire altro che: i grandi libri ci danno la misura dei cambiamenti che sono avvenuti in noi.
Gabri (sì): Mi è piaciuto tantissimo. E’ un capolavoro. Ci sono ripetizioni, ma con intensità. I ricordi dell’infanzia sono propri quelli di un bambino, ma ridati con la sensibilità dell’artista. E’ un libro sicuramente difficile, la lettura richiede molta attenzione. Combray mi è piaciuta tantissimo, mi sono immersa. "Un amore di Swann" mi ha fatto soffrire: Swann era consapevole di chi fosse Odette. Ci si riconosce, se si è vissuto un amore sbagliato. Anche "Nomi" mi è piaciuto moltissimo. Ho apprezzato la capacità di scrittura, l’uso del linguaggio, pregi che non avevo mai trovato.
Massimo M. (no): L’ho letto con molta difficoltà. Proust ha sicuramente capacità scrittura e di analisi dei personaggi, ma... è troppo prolisso e noioso! La descrizione dei personaggi è interessante e non priva d’ironia, ma il tema trattato non mi interessa. Sono arrivato alla fine per dovere e curiosità. Il libro è proprio vecchio, descrive una società vuota e ormai sparita, le cui divagazioni estremamente futili e ripetitive non hanno più attrazione.
Alessandra Co. (nì): Ho letto con pazienza, ma ad un certo momento la pazienza se n'è andata e ho pensato: è un libro malato, scritto da un borghese misogino nevrotico e autocentrato, zeppo di insicurezza giudicante. Un'opera figlia di una società ipocrita, superficiale, vuota forma che fruga dentro sé (anche Freud ci si applica e non è il solo a quel tempo) per colmare questo vuoto. Mi piace il Proust bambino, raccoglie cultura e ci raccatta affetto (sembra stenti ad arrivare in altro modo), metabolizza e rinomina, come per la "piccola frase" che non puoi sapere qual è (i bimbi danno nome a luoghi, storie, personaggi: come Adamo ed Eva nella genesi - ricordate Mark Twain? :) - nominare ha un significato preciso, gli ebrei non possono nemmeno scrivere il tetragramma perché dare un nome significa conoscere, fare proprio). Mi piace il modo priopercettivo di descrivere: sognante, meticoloso, fiorisce in vortici lenti; sembra una scrittura pensata sotto l'effetto del laudano. Ma stufa l'elenco infinito di dettagli e i continui giudizi pettegoli, suoi e della società borghese a cui Proust appartiene: misogina, giudicante intellettualmente ed economicamente, divisa per stupide caste. L'alterità è pericolo. O sei con me o sei contro di me: queste le dinamiche dipinte nei tristi piccoli gruppi di ricchi annoiati dinamiche che, purtroppo, vedo ancora ai giorni nostri.
Prossimo libro: "Novella degli scacchi" di Stefan Zweig (preferito a "Triste, solitario y final" di Osvaldo Soriano e a "Il maestro e Margherita" di Michail Bulgakov)
Prossimo proponente: Alessandra Ce.
Prossima runione: 27 marzo