La donna che sbatteva nelle porte (di Roddy Doyle)

Proposto da Giuseppe

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di gennaio 2013

Sì: Michele, Tomas, Marinella, Gabriella,

Nì: Alessandro, Marisa, Mirella, Oscar, Giuseppe, Massimo M.

No: Alessandra, Donatella

Giuseppe (proponente): Nì

Avevo scelto i libri da proporre tra quelli che mi erano piaciuti ma non troppo, in cui cioè vedevo almeno un difetto o per qualcosa che mi dava fastidio. In questo libro, mi ha disturbato il linguaggio volgare e i discorsi espliciti sul sesso. Per il resto il libro mi è piaciuto (la storia è forse banale ma è molto forte) e l’ho proposto anche perché ho un debole (o per lo meno sono prevenuto in positivo) per tutto quello che riguarda l’Irlanda.

Massimo M.: Nì

Il libro non mi ha coinvolto: nonostante la tragicità della storia, lo scrittore non è riuscito a trasmettermi nulla. Non ho provato nessuna empatia né simpatia per il personaggio di Paula che ritengo un po’ sciocca, sempliciotta e poco interessante.

Ho poi trovato tutto molto ripetitivo, con lei che non esce da questo suo continuo ripetere che ama suo marito e che lui la picchia è perché lei ha sbagliato: il numero di pagine poteva quindi tranquillamente essere ridotto a metà.

Per quanto riguarda l’Irlanda, non me la sono immaginata come il contesto del romanzo: ci vedevo di più un paesino sperduto dell’America. Comunque nel libro la città rimane non descritta, quindi assente e anonima.

Alessandro: Nì

Il mio breve commento nasce solo da una lettura parziale del libro: ho letto solo un “campione” gratuito che non avendomi coinvolto non mi ha invogliato a prendere l’intero libro.

Marinella: Sì

All’inizio non mi prendeva per nulla: da pagina 92, quando dice “Mi chiamo Paula Spencer. Ho trentanove anni,. La settimana scorsa era il mio compleanno. Sono vedova. Sono stata sposata per diciotto anni…” il libro ha iniziato a piacermi molto.

Sono d’accordo con Massimo sull’assenza della città di Dublino e anch’io, nel mio immaginario, vedevo un piccolo paese dell’America. Su altre tre cose però non condivido la sua idea: la scrittura ossessiva e ripetitiva del personaggio la trovo giusta perché è proprio quello che lei vive, lei crede di vivere una grande storia d’amore. Non credo neppure che sia stupida: ho conosciuto donne intelligenti e istruite che hanno vissuto la medesima storia, che erano convinte che farsi picchiare fosse amore e che tacevano tutto (è una cosa che riguarda ogni classe sociale). Così anche Paula stava zitta e i medici senza denuncia non potevano fare nulla. Solo alla fine quando la violenza si rivolge ai figli, solo allora si ribella con una reazione vigorosa (bellissima la scena della padellata). Infine, il romanzo mi ha coinvolto molto al punto che mi sembrava scritto da una donna. Aggiungo che l’autore tende a scrivere romanzi che possono essere trasposti a film (lo fece ad esempio con “The Commitments”) e questo libro sembra infatti una sceneggiatura.

Donatella: No

Sono d’accordo con tutto quello che ha detto Massimo e per quei motivi io dico “No”. Non ho trovato nulla di apprezzabile e soprattutto non mi ha coinvolta nonostante la situazione pesante della protagonista. Mi ha lasciata indifferente, cosa per me molto negativa per un libro.

Marisa: Nì

All’inizio ho provato anch’io un rifiuto, forse dovuto al fatto che le prima pagine non lasciano spazio all’immaginazione del lettore: è troppo esplicito, quasi oltre il limite della decenza.

Poi, magari anche nel mio caso dopo pagina 92, mi ha interessato per l’intento di denuncia (educativa): il sadismo e il masochismo della spirale di violenza, il vittimismo per sentirsi in colpa di tutto, l’impotenza di fronte all’indifferenza delle persone.

Charles è il simbolo più abbietto del potere maschilista che arriva fino a circuire la figlia adolescente, fermato dallo scatto (bello) di molla che c’è nella madre.

E’ un libro malinconico, ossessivo, delirante ma anche autorionico ma che riesce a smuovere il lettore, lo spinge a riflettere sui meccanismi psicologici che determinano il rapporto amore/odio.

Gabriella: Sì

Bello per la protagonista e per il modo di scrivere. Confermo che anche a me sembrava scritto da una donna, una donna che ha molti problemi. Forse ne ha conosciute che hanno vissuto una tale storia. Perché sono tante le donne che accettano questa situazione e non si rendono conto che il silenzio è la peggior cosa da fare.

Confermo anche che quando uno è alcolizzato, le sue facoltà mentali sono ridotte, soprattutto la memoria a breve termine, per cui ripete sempre le stesse cose; e questo è reso benissimo dal personaggio.

Mi rattrista però che nonostante riesca a ribellarsi con la “padellata”, Paula non lo fa per se stessa ma solo per difendere la figlia: manca insomma, anche alla fine, quel volersi bene. Di conseguenza, credo che non sia mai stata in grado di amare neppure Charles: ci era finita dentro e non era più capace di uscirne.

Tomas: Sì

Sono contento di aver letto questo libro.

Condivido quello che hanno detto Massimo e Marinella sull’ambientazione: sembrava veramente di fosse in America.

Il linguaggio anche se volgare mi è piaciuto perché l’ho trovato appropriato per la storia e per il personaggio. E il personaggio di lei a me è piaciuto tanto per la forza che ci metteva a risolvere i suoi problemi, come ad esempio l’espediente di buttare la chiave della dispensa nel giardino in modo da rendere più difficile l’attaccarsi alla bottiglia di alcol e provare così a vincerne la dipendenza.

Alcune cose però le ho trovate strane e dubbie: la storia è troppo stereotipata per cui mi sembrava scritta da un uomo che avesse letto gli articoli che si possono trovare sulle riviste femminili. Ed è pure strano che dopo la padellata lui non si sia fatto più vedere. Speriamo che nessuna donna creda che sia così “facile” liberarsi di chi le picchia.

Mirella: Nì

Secondo me Dublino è ben presente nel romanzo: ci sono ad esempio le scuole frequentate dai poveri e non quelle delle suore dove vanno i ricchi. La donna che descrive è una vera donna irlandese con i mariti ubriaconi che la pesta quando torna dal pub. E’ ovviamente la Dublino della periferia, non quella letteraria cui siamo abituati. E anche il linguaggio non è volgare ma è quello comune che si sente sugli autobus (anche qui, dai ragazzi all’uscita di scuola).

Anche per me la prima parte è stata noiosissima: nonostante fosse quella autobiografica con reminescenze della sua vita, l’autore non è riuscito a renderla ironica e piacevole.

Bellissima invece la tecnica dei flash-back: lei che prende coscienza mano a mano mentre ripensa al passato di cui non ricorda degli atteggiamenti del padre, a differenza di sua sorella cui aveva continui battibecchi ma che alla fine sarà l’unica che con il proprio senso della realtà andrà ad aiutarla.

Nel complesso è però un libro un po’ banale: la metà dei gialli recenti è centrata su queste storie, di donne che si ribellano ai mariti più o meno violenti.

Michele: Sì

Mi è piaciuto per come è costruito con un’introduzione (diciamo la parte prima di pagina 92) che non ho trovato però noiosa ma che propone la fine, la notizia della morte del marito. Parte al contrario e ne risulta un libro intricato e per questo bello. C’è una perfetta armonia tra la struttura, la storia e il linguaggio. Questo linguaggio è volgare non per mancanza di cultura ma perché così è quel mondo. E la protagonista non è stupida ma fa tutto per difendere i figli: subisce la violenza del marito per poter proteggere i figli che sono quelli che purtroppo non le permettono di scappare. E così si trova senza la forza per reagire, fino a che anche i figli, appunto, entrano nel mirino del marito (un marito veramente imbarazzante anche nella morte).

Trovo inoltre paradossale come nel 2013 esista ancora una concezione della donna come essere debole che devono difendersi dalla forza fisica del maschio.

Oscar: Nì

E’ già stato detto tutto. Vorrei solo commentare l’impressione che mi ha fatto una frase di Paula quando si era finalmente messa con Charles. Dice che finalmente era qualcuno, ora era la donna di Charles, come se prima, senza di lui, non fosse nessuno. Lei esisteva perché c’era lui. E forse questo l’ha sempre frenata dal ribellarsi e dal lasciarlo: andarsene significare sparire, non esistere più.

Ho letto che la BBC aveva commissionato all’autore un’opera per una serie televisiva in cui si parlasse di una famiglia irlandese. Il personaggio ricco che ne era uscito era la donna, e da qui Doyle ha preso spunto per scrivere la storia di Paula (e il seguito “Paula Spencer”).

Alessandra: No

Ho fatto fatica a leggerlo: volevo girare la pagine velocemente, liberarmi presto dalla pesantezza, dell'inerzia. E’ una storia che inizia e finisce nello stesso punto: è un loop. E’ un loop dovuto all’inerzia del protagonista, di un ceto sociale sedato dall’alcol e da luoghi comuni di una cultura di apparenze e pregiudizi dove la donna è definita "una troia o una che se la tira, ma sempre una troia”.

Anche il suo vissuto con i figli mi era doloroso, vedevo riproporre gli stessi stereotipi da una mamma bambina che non riusciva ad uscire

da tutto questo e la domanda che tormentava era: chissà se i figli potranno trovare in questo amore stanco gli strumenti per uscire dal

loop. Chissà se queste infanzie violate, anche quelle dei protagonisti adulti ma bambini, avranno un riscatto.

Commenti giunti via email:

Luisella: Sì

Riconosco eccome Dublino e certe atmosfere dei Dubliners di Joyce. Mi piace la scrittura (le parolacce non mi infastidiscono, anzi, ci stanno benissimo, ce ne sarebbero volute forse di più, poiché è probabile che ne venga fatto un uso massiccio in un certo ambiente e da certe persone).

Mi piace la struttura a flashback, tenuta ben salda dall'autore, e non è facile.

E mi piace soprattutto (nel senso che provo per lei simpatia umana e calore) Paula Spencer. Commovente la sua lotta per cercare di essere una buona mamma, come può, nonostante l'alcolismo. Chiudere a chiave la bottiglia, buttare la chiave nell'erba, obbligarsi a cercarla, costringersi a bere solamente dopo che il piccolo Jack è andato a letto, avere la pazienza di leggergli una storia per intero, mentre la voglia di bere la attanaglia – beh, dev'essere una battaglia tremenda con se stessa.

Non conosco l'alcolismo, né altre forme di dipendenza forte, non fumo neanche, ma posso immaginare qualche sia lo sforzo che Paula deve compiere su di sé.

Troppo facile essere bravi se non si hanno difetti, vizi, manchevolezze. Troppo facile anche, all'estremo opposto, lasciarsi andare completamente, lasciare che alcol o droga o gioco o qualsiasi debolezza divorino tutta la vita, lavoro affetti responsabilità, diventare dei “marci” che perdono tempo per strada e basta.

La cosa veramente difficile, il vero eroismo, sta nel mezzo: avere delle difficoltà e cercare di non farle pesare al figlioletto che ti chiede la favola con tutte le parole giuste al loro posto.

Paula in questo senso è paziente, amorevole, "eroica". E non la trovo affatto stupida. Per il suo modo di analizzare le cose del suo passato, dimostra invece grande sensibilità e una certa intelligenza.

È una donna semplice, questo sì, che aveva sogni semplici. Ma questa non è stupidità. Pare che la sua più grande felicità sia di camminare sotto la pioggia, mangiucchiando patatine, con l'uomo che ama. Non chiedeva molto dalla vita, e purtroppo le è stato dato molto, molto di meno.


Prossimo libro: “Gita la faro” di V. Wolf (preferito a “Padri e figli” di I. Turginev e “Non è un paese per vecchi” di C. MacCarthy).

Prossima terna: Luisella

Prossimo incontro: 22 febbraio da Alessandro.

Concorso fotografico per “Gli affari del signor Giulio Cesare” vinto a pari merito da Marisa e Marinella (foto di Marisa scelta come foto di riferimento per il concorso).

Altre decisioni prese: l’incontro di marzo è anticipato al 22 (e non più il 29 essendo quello il venerdì santo).

Ai prossimi incontri si invitano i partecipanti a munirsi di pantofole o simili: niente scarpe in casa!!!