Sì: Alessandro, Marinella, Marisa
No: Pierpaolo
Nì: Massimo I., Maddalena, Alessandra Co.
Marinella (sì, proponente): L’ho letto anni fa, prestato da amici. Mi era piaciuto molto. Ora, rileggendolo, mi piace di meno perché lo trovo poco saggio. Interessante la storia della scrittrice.
Marisa (sì): Questa ennesima lettura su Trieste, con cui mi trovo in sintonia, mi lascia un senso di malinconia, forse perché vi colgo molti riferimenti di un passato che ho vissuto in parte di persona. Il libro di Morris accentua la percezione, in chi conosce Trieste, che la città sia ancorata ai fantasmi di un passato di antichi splendori ma anche di profondi rancori e provincialismi che hanno segnato la sua popolazione così etnicamente multiforme. Si ha inoltre l'impressione che sotto la sua patina imbellettata il centro storico di Trieste così come la grandiosità architettonica di certi edifici - espressione di imprenditorialità bancarie e assicurative e anche di una diversificazione culturale e religiosa non comune - non riescano del tutto a contrastare l’avanzata di un lento declino: è come se la città si trovasse perennemente nel limbo di un glorioso passato cosmopolita e di un presente dai contorni non ben definiti nella sua pluralità etnica di nuovi immigrati, una multietnicità che per ora non si rispecchia affatto nel profilo della ridente città portuale cresciuta sotto l'impero asburgico che ebrei, greci, slavi, tedeschi, levantini contribuivano allora a far prosperare, spesso in una sorta di mutua collaborazione più che di vera competizione. Morris, tutto sommato, ha saputo cogliere, con un'analisi colta e approfondita, l'anima di questo non luogo rappresentato da una secolare tradizione di marginalità (causa soprattutto la sua posizione geografica di città di frontiera), dove ebbero dimora, anche occasionale, tanti personaggi illustri, intellettuali, artisti, diplomatici, letterati: un non luogo ancora alla ricerca di una propria rinnovata identità capace di interpretare il suo vero ruolo, quello esercitato da una città da sempre punto di incontro nodale fra l’occidente e l’oriente non solo europei.
Alessandro (sì): Mi è piaciuto molto. L’ho ricevuto in regalo, scritto in inglese, da un’amica che vive a Hong Kong. E’ interessante anche la storia dell’autrice di cui ho apprezzato molto l’equilibrio nel non fare generalizzazioni. Bella la descrizione dei luoghi. Mi ha commosso in molti passaggi, soprattutto il finale. Mi piace il non luogo che diventa centro dell’universo. Amo Trieste e non posso pensare di non vivere a Trieste. E’ un libro che voglio regalare a Tim.
Pierpaolo (no): Il libro mi ha deluso perché pensavo fosse una piccola Praga città magica, o una guida letteraria, come quella di Ara e Magris Trieste, una città di frontiera. Ero fuori strada, è un libro senza spessore bibliografico. Voto no perché le componenti di valutazione negativa sono prevalenti. Mi piacciono le foto che precedono i diciotto brevi capitoli del libro, cartoline spedite da Trieste, nell'immediato dopoguerra, dal giovane ufficiale britannico James Morris, come ricorda il traduttore Pietro Budinich. Non mi piace la struttura del libro, fa confusione dei luoghi, va bene bighellonare per la città, ma non saltare da una parte all’altra. Ho trovato tutto condito dalla tipica supponenza e arroganza inglese: “a Trieste non ci sono bei panorami”, “concediamo che piazza Unità sia una grande piazza sul mare”. La guida non è mai precisa, ad esempio dice che la strada Costiera è molto turistica, piena di bar e alberghi; ma dove mai? Forse prima della seconda guerra mondiale di più. Quindi non è né una guida turistica, né un saggio storico letterario su Trieste, troppo superficiale per esserlo. Non è un libro di memorie… È un’opera alla ricerca di un’identità, per sé stessa, per la città, per il proprio autore/autrice, ma senza trovarla. Di tutti gli scrittori triestini dice cose un po’ risapute, si sofferma troppo sugli scrittori in lingua inglese, in particolare su Joyce, tanto da sembrare un’intervista al “prezzemolino” Crivelli. Non coglie assolutamente lo spirito popolare di Trieste, non a caso non si sofferma sui poeti, su Saba, sul fondamentale Giotti, sulle tradizioni operaie della città. Troppo attento infatti alla Trieste borghese, di Raffaello de Banfield, di Roberto Dipiazza, e in particolare di Riccardo Illy, al punto che viene il sospetto di una guida scritta su commissione per la propaganda elettorale dell’ex sindaco.
Alessandra Co. (nì): Non ho finito il libro perché non riuscivo a leggerlo, non mi prendeva. Ogni tanto ci trovavo qualcosa di carino ma nell’insieme non mi ha detto nulla di nuovo. Lo stile è garbato.
Maddalena (nì): Ho detto "nì" perché questo saggio mi ha "dato" qualcosa, ovvero parecchie informazioni su alcuni personaggi di Trieste che nella mia ignoranza non conoscevo. Inoltre ammiro l'interesse e la curiosità della scrittrice verso una città "lontana" da casa sua. Dall'altro lato non posso dire "sì" a causa dello stile poco scorrevole della scrittura e perché l'autrice si concentra sul lato della Trieste dei personaggi ricchi e importanti. Mentre per me (che mi sento solo a metà triestina), la Trieste che amo ha due caratteristiche: il mare (poco evidenziato nel saggio) e la "triestinità" umoristica popolare che emerge dalle canzoni dialettali e dai personaggi attuali sul tipo di Maxino.
Massimo I. (nì): Non conoscevo questa autrice e mi interessava anche la sua biografia. E’ un libro che non mi dà un’idea precisa della città. Dà una visuale parziale della città e non è una guida. Non mi riconosco ed è datato: parla di tante cose che non esistono più. I capitoli sono slegati tra loro.
Prossimo libro: "Il bene quotidiano" di Etty Hillesum (preferito a "Agilità emotiva" di Susan David e a "La forza del carattere" di James Hillman)
Prossimo proponente: Pierpaolo
Prossimo incontro: 13 luglio