Gioventù senza Dio (di Ödön von Horváth)

Proposto da Pierpaolo

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di gennaio 2021

Presenti virtuali Alessandro, Gianni, Luisella, Marinella, Pierpaolo, Sonia. Ancora più virtualmente, in comunità di spirito, assenti giustificati e vicini Gabriella e Oscar. Tutti votano sì per il libro del mese proposto da Pierpaolo, Gioventù senza Dio, di Ödön von Horváth.

Pierpaolo: Non conoscevo il libro che ho proposto, né il suo autore, fino a quando non l’ho scoperto ascoltandolo su RaiPlay, tornando a casa dal lavoro. Ci sono entrato in medias res e l’effetto è stato straniante: credevo fosse un romanzo di fantascienza distopica. Proseguendo con l’ascolto ho capito che la vicenda si svolgeva in una Germania nazista resa con un punto di vista espressionistico e ho apprezzato molto il racconto, tanto che ho comprato il volume perché volevo averlo. Il racconto è purtroppo estremamente attuale e inquietante, visto che non possiamo non sentire tristemente familiare quello che von Horváth dice della sua Germania: «Gli uomini sono diventati pazzi, e quelli che non lo sono non hanno il coraggio di mettere la camicia di forza ai pazzi furiosi». Mi è piaciuto molto lo stile, essenziale nelle descrizioni e “teatrale”, vista anche l’impegno per il palcoscenico dell’autore, una specie di Bertolt Brecht credente, purtroppo stroncato in giovane età da un incidente. Pare infatti che sia stato colpito da un grosso ramo caduto accidentalmente, ma, chissà, forse sarà stato raggiunto in esilio da qualche sicario del Plebeo in capo, come viene chiamato Hitler nel romanzo. Questa sera sono molto interessato a sentire cosa ne pensa il gruppo, che è costituito da così tanti insegnanti.

Alessandro: Ad Alessandro il romanzo, ascoltato con Ad Alta Voce, è piaciuto molto. In particolare, ha trovato interessante la dimensione quasi di "giallo" della seconda parte. Un parola che gli è risuonata in un paio di punti di punti è "disumanizzazione", quando il protagonista viene ripreso per aver definito i "negri" come esseri umani (e non come subumani) e quando il giovane assassino viene descritto come se avesse gli occhi di pesce.

Marinella: Il libro mi è piaciuto molto. Ha un impianto teatrale. E' un libro complesso, con molte storie al suo interno. Perché si intitola Gioventù senza Dio? Qui sono tutti senza Dio, non solo i giovani… Il professore non fa niente per i suoi giovani, aspira alla pensione… a 34 anni! Gli manca il coraggio e gli manca Dio, si riscatta solo con la sua confessione. L’assassino è chi non aveva alcun movente, compie un omicidio solo per mostrare a se stesso di esserne capace. Il libro lascia una sensazione di ingiustizia, tutti sono colpevoli perché siamo colpevoli ogni volta che non ci ribelliamo all’ingiustizia, che ci adeguiamo per quieto vivere.

Luisella: Il mo giudizio è un convinto “Sì”, anche se l'approccio al libro è stato un po' altalenante. All'inizio mi ha coinvolta poco, poi invece moltissimo, e verso il finale di nuovo c'è stato qualcosa di meno convincente. Ma nel complesso, una lettura che considero assolutamente positiva.

È un romanzo (o racconto lungo?) che per essere compreso deve essere certamente letto e riletto più volte (la brevità consentirà di farlo). È un libro molto complesso, un gioco di specchi, di identità osmotiche, di intersecazioni tra realtà e allucinazioni, visioni, interpretazioni, momenti mistici...

“Gioventù senza Dio” è agghiacciante, come è giusto che sia, per il momento in cui è stato scritto e per il motivo per cui è stato scritto. Alcuni di noi ci vedono una finale speranza, io no, non vedo speranza.

Speranza è laddove, anche in un mondo malato di fanatici e folli, c'è un drappello magari piccolissimo di persone buone, incorruttibili. Ma qui, questa confortante e manichea divisione tra buoni e cattivi non è possibile.

Nessuno è realmente colpevole, nessuno è realmente innocente.

Sono davvero colpevoli, sono davvero intimamente nazisti, dei ragazzini cresciuti in un clima sociale politico culturale che impone loro un solo modo di vedere le cose?

È davvero innocente il professore? All'inizio mi sono illusa che lo fosse. Aver difeso i “negri”, aver detto che tutti gli uomini sono uguali, mi consentiva facilmente di metterlo dalla parte dei buoni. Ma poi il personaggio si è via via guastato. È un uomo di trentaquattro anni e non fa altro che pensare alla pensione, alla sicurezza, a una vecchiaia serena. Cosa non sarebbe disposto a fare per garantirsi questo suo modesto ma sicuro futuro?

Ovviamente questo dischiude baratri di domande per tutti noi. Poiché siamo – tutti – schiavi delle nostre piccole sicurezze. E cosa saremmo disposti ad accettare (a fingere di non vedere) pur di non metterle in gioco?

Nessuna dittatura ha successo solo grazie a un manipolo di pazzi fanatici. Se sale e resta al potere, è perché la massa – né buona né cattiva, semplicemente debole e vigliacca – vi si assoggetta in silenzio, ciascuno difendendo il piccolo orticello che gli fornisce stabilità.

L'omicidio di N, che pure è un episodio centrale e importante, è anch'esso un pretesto per riflettere sulle meschinità umane. Si uccide per una ragione? Si uccide per niente, per divertimento, per “noia” (come talvolta viene detto anche per episodi di cronaca attuali)?

Z. almeno avrebbe avuto un movente (piuttosto sciocco e che certo non lo giustifica), ma T. non ha neanche quello. T. ha ucciso per la curiosità di veder morire.

Fa veramente impressione la lungimiranza di Horvath che ha scritto quest'opera nel 1938 (stesso anno in cui poi morirà, giovane, per un incidente).

Non poteva sapere quello che sarebbe seguito. Perciò questo è un libro che aveva, sì, un suo spessore quando è stato scritto, ma ben altro significato ha assunto negli anni successivi. È quello che io chiamo un libro-seme. Immagino lo scrittore come un contadino che getta il seme nella terra, morendo subito dopo. Non sa, non saprà mai, quale pianta è nata da quel seme. Possiamo saperlo soltanto noi. La pianta cresciuta - ovvero il libro, il suo destino, il suo significato profondo - è tutta nelle mani dei posteri.

Abbiamo detto che è un libro breve, per numero di pagine. Non è lungo ma è largo. Più se ne parla e più cose da dire si troverebbero.

È un romanzo molto teatrale (Horvath scriveva soprattutto per il teatro e questo si avverte, soprattutto nei dialoghi asciutti e tesi), mistico, religioso, filosofico, kafkiano. Sono moltissime le riflessioni che suggerisce, le domande che spalanca.

La ragione per cui mi piace è soprattutto questa: pone delle domande di natura morale a cui ciascuno di noi (nella discussione comune o nell'intimità del proprio cuore) è chiamato a rispondere. Un libro che non mi fa domande è un libro (gradevole o brutto che sia) sostanzialmente inutile.

Ancora due brevi note.

La prima:

Sono molto felice che a questa discussione ci siano ben tre docenti di scuola superiore (Marinella, Sonja e Gianni) ai quali chiedo un'opinione sul ruolo dell'insegnante, sulla responsabilità profonda della scuola, e infine sugli adolescenti che per me costituiscono un mondo misterioso che quasi mi spaventa.

La seconda:

Quasi tutti i personaggi sono indicati dalla sola iniziale del cognome. Hanno un nome soltanto Eva (la ragazzina ladra), Tecla (la camerierache un tempo lavorava in casa di Z), e Nella (la prostituta). Persone semplici, vite disgraziate. Anime pure (anche una prostituta può avere l'anima pura). È un modo per dirci che, dignità e identità, soltanto gli ultimi possono conservarle davvero?

Gabriella: Ho apprezzato molto lo stile asciutto e quasi minimalista dello scrittore. Frasi brevi ma pregne di significato che descrivono il clima che si respirava in quel periodo storico. L’avvento di una guerra incombente è palpabile, ma forse il Leitmotiv del libro è la ricerca quasi disperata da parte del protagonista, di una fede. Cosa che alla fine riuscirà a trovare. In un contesto che nulla di buono lascia sperare, si vede una luce in fondo al tunnel, quando si scopre che non tutti i ragazzi si son fatti indottrinare dalla retorica nazista e mantengono, seppur in silenzio, idee di giustizia e libertà. Mi ha colpito in particolar modo, il discorso che il protagonista fa con il parroco -uomo di grande saggezza- il quale afferma che Dio è ciò che c’è di più terribile al mondo e menziona, alla fine del colloquio, una frase di Anassimandro che mi ha fatto assai pensare e che voglio riportare. Il motivo della citazione è l’asserzione da parte del professore, che il mondo antico non presupponeva l’esistenza del peccato originale. “Le cose torneranno necessariamente là da dove son venute, perché devono espiare la colpa della loro esistenza secondo l’ordine del tempo.“


Prossimo libro: "Prospettiva Nevskij" di Nikolaj Vasil'evič Gogol' (preferito a "I dolori del giovane Werther" di Johann Wolfgang von Goethe e a "C'era due volte il barone Lamberto" di Gianni Rodari)

Prossimo proponente: Oscar

Prossimo incontro: 26 febbraio