Partecipanti: Marinella, Sonja, Luisella, Pierpaolo, Alessandro, Gabriella (la proponente).
Il libro è piaciuto a tutti. Un unico sì con riserva da parte di Sonja.
Gabriella: Ho scelto questo libro perché m’incuriosiva la storia del Giobbe biblico – di cui non conosco né ho mai letto nulla , tranne che fosse stato perseguitato da ogni sorta di calamità - ed ho immaginato che il libro di Roth ripercorresse una narrazione similare, pur ambientata in altro luogo e tempo. Il libro è scorrevole e le vicissitudini di Isac Singer e della sua famiglia, fanno pensare a ciò che spesso la vita ci mette davanti. Chi più chi meno, tutti veniamo feriti dai colpi bassi del destino. Basti pensare a ciò a cui stiamo assistendo in questo periodo e ai milioni di persone che fuggono dai bombardamenti e non hanno più nulla, se non le poche cose che sono riuscite a portarsi dietro. La fede profonda di Isac, viene messa a dura prova e, ad un certo punto, persino rinnegata dal protagonista. Resta accesa nel suo cuore, soltanto una piccola fiammella di speranza, di poter ritrovare un giorno il suo amato figlio Menuchim. Cosa che accadrà, dopo tante traversie e sofferenza. Il lieto fine è quasi un incoraggiamento e uno sprone a non lasciarsi mai spezzare dai fatti della vita, ma a mantenere quella duttilità interiore che ci permette di superarli.
Alessandro: Sono sempre stato molto attratto dal racconto – che definisco molto strano - del Giobbe biblico, in cui Dio e il Diavolo fanno una scommessa sulla pelle del pover ’uomo. E questo è stato uno dei motivi per cui ho scelto di leggere il libro di Roth. Vi ho ritrovato la tematica della sofferenza che permea l’intero racconto. Mi ha coinvolto moltissimo l’atmosfera in cui si dipana la trama del romanzo e mi ha ricordato i classici. Mi ha dato calore. Non ho apprezzato il finale, ma ci stava. Non avrebbe potuto essere diverso. E’ stata una lettura piacevole.
Marinella: Un libro che non poteva non piacermi. Amo i libri di tutti i vari Roth (Joseph, Philip, Henry), mi interessa il libro biblico di Giobbe, amo le storie della vita negli shtetl e la cultura ebraica che fa parte di me e che io ho mitizzato. Il libro di Joseph Roth contiene tutto questo.
Luisella: Ringrazio Gabriella per la proposta. Non conoscevo questo romanzo di Joseph Roth. L’ho trovato bellissimo e coinvolgente, e mi ha anche molto sorpresa. Infatti all’inizio mi sembrava una vicenda fuori dal tempo. Forse indotta dal titolo, ho iniziato a leggere come avrei letto un brano della Bibbia, vi cercavo metafore e spunti di riflessione, personaggi paradigmatici, come scolpiti nel legno di un ruolo e di un destino: l’uomo pio, la madre addolorata, ecc… Anche in certe scene, sentivo una certa “fissità” dei personaggi, una caratterizzazione forte, una gestualità da tragedia greca.
Mi ha sorpresa, dicevo, vedere invece la famiglia Singer entrare nel flusso della storia moderna, con la guerra, il viaggio verso gli Stati Uniti…
Resta comunque un romanzo pieno di metafore, di simboli sui quali riflettere. Che cosa rappresenta Menuchim? Menuchim per me è l’errore, lo sbaglio che tutti abbiamo commesso e dolorosamente pagato. Tutti abbiamo dentro un Menuchim, una parte oscura che ci rende muti e incapaci.
Ma quel che accade è prodigioso e bellissimo: il bimbo handicappato diventa uomo felice e ottimo musicista, la creatura idiota aveva in sé il seme del genio e della bellezza (come previsto dal rabbì). E allora mi viene da interpretare così qualsiasi nostro dolore o limite: quel che ci faceva soffrire o era motivo di vergogna, un giorno si trasformerà in forza, superiorità, gioia.
L’ultima frase del romanzo però lascia aperta una domanda inquietante. Mendel deve dormire e riposarsi “dal peso della felicità”.
Dunque, l’essere umano soffre il dolore, ma se ottiene finalmente e miracolosamente la felicità, la vive come un “peso”?
Sonja: Sì (ma con qualche riserva). La lettura è scorrevole e la storia appassionante. Ci sono dei momenti di puro lirismo che ti fanno restare senza fiato. Cito uno per tutti: la scena in cui Deborah, quando apprende della morte in guerra del figlio prediletto, abbandonandosi a un rito atavico inizia a strapparsi i capelli prima di accasciarsi a terra esanime. Deborah, che per tutta la vita è stata quella più forte, più decisa, più scaltra e forse anche più intelligente del povero Mendel, sentendosi tradita da Dio non riesce a sopravvivere. La reazione di Mendel è diversa. Più che un uomo semplice – come recita il sottotitolo – mi sembra un uomo limitato, a tratti addirittura ottuso. Quando ne ha abbastanza si mette addirittura a fare dei dispetti a Dio recandosi a comperare carne di maiale. Ma non è possibile dare sempre tutta la colpa a Dio. Nella sua fede cieca e incondizionata Mendel sembra totalmente ignorare perfino il semplice detto “Aiutati che Dio di aiuta”. Si pensi soltanto al povero Menuchim, la cui “fortuna” è stata quella di essere abbandonato in Russia quando la famiglia si è trasferita in America. Infatti, se così non fosse, per la cieca e ottusa fede dei genitori non sarebbe mai giunto in un ospedale e non sarebbe mai stato curato. Tutta la storia gira dunque attorno a una fede profonda, senza se e senza ma, profonda fino al punto che Mendel, quando vede la famiglia distrutta, se la prende con Dio, nega la sua capacità di gestire in modo equanime le cose terrene e giunge fino al punto di “punirlo” non pregando più e non partecipando attivamente a nessun rito. Tutto cambia al ritorno di Menuchim: Mendel riconosce in questo “miracolo” la mano di Dio e ritrova la fede di prima.
Ci sono però nella stesura alcuni passaggi incoerenti che sono alla base delle mie riserve riguardo al SI. Ne cito tre.
Quando i figli vanno a far visita a Mendel e Deborah nella vecchia casa in America l’autore scrive che sono arrivati i “tre figli, il nipote, la nuora e Mac”. Ma i figli in America sono solo due (Sam e Mirjam). Probabilmente non è un grande errore, peggiore è il seguente:
Roth fa nascere Menuchim in un caldo giorno di piena estate. E fin qui va bene. Peccato però che un paio di capitoli più avanti, quando descrive il momento in cui Deborah, incinta di tre mesi (con Menuchim che si muove dentro di lei!!!) aveva avuto la sensazione che si stava per abbattere su di loro una grande sventura, il tutto si svolge ancora in una calda e soleggiata giornata di mezza estate. Adesso diciamo pure che Roth forse non si intendeva molto di gravidanze e che adorava l’estate e la luce, ma l’errore è piuttosto grossolano e a me ha dato molto fastidio.
La terza cosa, e poi mi fermo, riguarda il fatto che Mendel, che insegna ai ragazzini la Bibbia a memoria, pur essendo nato e vivendo in Russia, non conosce il cirillico (non è in grado di compilare la domanda per i documenti) e poi anche in America non vuole imparare l’inglese. Però compra dei giornali per leggere i bollettini di guerra. Ma immagino che la comunità ebraica stampasse i propri giornali. Quello che mi suona strano invece è questo atteggiamento di estraneità a tutto e tutti. Mendel vive in un suo mondo, separato da tutti, in sintonia solo con Dio.
Pierpaolo: Mi è piaciuto perché è una lettura avvincente, mi interessava vedere come avrebbe sviluppato il parallelo con l’omonimo ed enigmatico libro della Bibbia. Mi è piaciuta l’ambientazione dell’inizio, nel villaggio della Galizia (e quindi dell’Ucraina, oggi), perché è parte di un immaginario yiddish-mitteleuropeo che trovo familiare e che è uno scenario cui sono affezionato. Mi è piaciuto anche il racconto del viaggio verso il nuovo mondo e la descrizione dell’America. Mi sono piaciuti tutti i personaggi, in particolare il ritratto della madre.
Anche se non li conoscevo, non mi stupisco che dalla storia siano stati girati ben tre film, perché secondo me si presta molto ad esser trasposta sullo schermo.
Ho trovato un’inquietante coincidenza che l’ambientazione sia nell’Ucraina della prima guerra mondiale, mentre scoppia questa nuova guerra di nuovo in quel paese e questo mi ha fatto pensare alla grande fortuna che abbiamo a vivere in Italia, e ad esser nati e cresciuti in anni di pace.Una fortuna e una circostanza che, temo, siamo stati portati ad assolutizzare, credendo che la guerra fosse per sparire dal mondo, almeno per la nostra parte del mondo. Non è così, ce la troviamo alle porte, sarà lunga, temo, e porterà conseguenze tragiche, che resteranno con noi al lungo e segneranno le nuove generazioni, con nuovi odi, nuovi esodi e nuove miserie.
Prossimo libro: "Revolutionary Road" di Richard Yates (preferito a "Felicità familiare" di Lev Tolstoj e a "Una vita" di Guy de Maupassant)
Prossimo proponente: Pierpaolo
Prossimo incontro: 29 aprile