Sì: Adriano, Alessandro, Gabriella, Katia, Luisella, Oscar, Pierpaolo
Nì: Alberto, Marinella, Sonja
Alberto (nì): Sono caduto in un grosso equivoco, credevo di leggere un libro di umorismo inglese invece è un libro tristissimo e angosciante.
Gabriella (sì): Il mio parere positivo rispetto a questo libro, deriva dal fatto di essere riuscita a leggerlo sino alla fine. Sono stata tentata più volte di lasciar stare, perché mi creava troppa angoscia e, allo stesso tempo, ero infastidita dalle considerazioni banali del protagonista. Pur trovandosi in condizioni disperate, la sua presa di coscienza avviene solo verso la fine. Ho percepito da subito che sarebbe morto e nessuno l’avrebbe salvato. Seguire passo a passo la sua agonia, è stata una vera sfida. L’autore riesce a penetrare nei recessi profondi dell’essere e ci costringe a pensare di quanto, a volte, si sprechi il tempo prezioso che la vita concede, lamentandosi e piangendosi addosso. Oppure trascinando esistenze piatte e incolori, apparentemente perfette, come quella del protagonista. Quasi fossimo eterni e il sole per noi non dovesse mai tramontare. Lui scivola dalla barca all’alba e annega al tramonto. E’ la parabola della vita. Man mano che il tempo passa, si spoglia di tutto quello che ha addosso. E’ quasi una sorta di purificazione. Nudi si nasce e nudi si muore. Dobbiamo godere appieno di questa breve parentesi che è la vita. Rimandare a domani, potrebbe essere troppo tardi. Forse è questa la morale del libro.
Katia (sì): Ci ho trovato l’umorismo, l’ho letto velocemente, mi sono piaciute le descrizioni, mi ha fatto molta tristezza il fatto che nessuno lo abbia cercato veramente.
Oscar (sì): Pierpaolo ci aveva detto di aver proposto tre libri umoristici, per cui ero convintissimo che questo romanzo ci avrebbe regalato un finale non solo lieto, ma anche divertente (il naufrago che viene salvato tra l'ilarità dei passeggeri della nave). E invece no, prima ho intuito negli ultimi capitoli che non ci sarebbe stato il lieto fine e poi nelle ultime pagine leggo della fine tragica e straziante del protagonista. Ad ogni modo, vista la mia predilezione per le storie tragiche, non ho problemi per l'esito della storia: sono solo stato colto di sorpresa. Mi ha colpito l'incapacità del signor Standish di urlare per attirare l'attenzione di chi poteva salvarlo: la natura di gentiluomo lo ha condannato a una fine tragica. E' forse questa la morale che Herbert Clyde Lewis ci ha voluto raccontare? La natura di ognuno di noi determina il nostro destino?
Alessandro (sì): Alessandro ha apprezzato molto il romanzo Gentiluomo in mare, anche se la sua lettura gli ha provocato una certa angoscia, dovuta alla continua domanda su come si sarebbe conclusa la storia. Sperava in un lieto fine, e per questo motivo ha letto con particolare velocità. Alessandro sottolinea la presenza di numerose metafore, come il "restare a galla" e il "denudarsi da ogni cosa", che emergono nella narrazione. Riconosce nella vicenda una rappresentazione dell’insensatezza dell’esistenza e dei ruoli umani, nonché l’incapacità di chiedere aiuto. Il protagonista stesso, con l’epilogo del romanzo, vede negata la possibilità di sfuggire a una vita perfetta ma vuota. Al termine della lettura, Alessandro ha avuto la sensazione che il romanzo descrivesse con particolare efficacia temi come la morte e il senso dell’esistere, senza però offrire alcuna soluzione o "rivelazione", forse - ci vuole suggerire l'autore - perché non c’è alcun senso realmente possibile da trovare.
Adriano (sì): Non l’ho finito, è scritto bene ma mi spaventava quello che avrei letto, è un libro drammatico, sotto la superficie ironica c’è la disperazione esistenziale. Metafora dei momenti in cui galleggi sperando che qualcuno ti salvi, argomento che mi coinvolge molto emotivamente.
Marinella (nì): L’ho letto molto velocemente e lo trovo scritto bene, però alla fine della lettura mi sono chiesta che cosa volesse dirci l’autore, credo sia una metafora della sua vita disperata… cadere, stare a galla, annegare, sprofondare…
Sonja (nì): Mi era stato presentato come libro umoristico ma arrivata ben oltre la metà della lettura non ho trovato assolutamente niente di umoristico nella – sebben molto ben descritta – agonia di un uomo che sta per annegare nel fiore degli anni lasciando orfani due bimbi piccoli.
Luisella (sì): L’ho apprezzato molto, per l’eleganza della scrittura e per come è sapientemente costruito. L’autore ha saputo passare dai toni ironici dell’inizio, dove inevitabilmente si sorride (dell’incapacità di Standish di gridare forte perché lo ritiene sconveniente o dei mutandoni gialli e blu con cui si vergognerebbe a essere ripescato), alla parte centrale in cui si comincia a comprendere che l’esito sarà drammatico. Tuttavia, come il protagonista, anch’io fino all’ultimo ho sperato che l’Arabella tornasse indietro e lo vedesse, anche se poi mi sono resa conto dell’ingenuità di questa speranza.
L’ultima folle energica nuotata in cui Standish mette tutto se stesso per raggiungere la nave, congratulandosi con se stesso per la forza fisica, salvo poi rendersi conto di aver nuotato nella direzione sbagliata, penso sia una brillante metafora dell’ostinata speranza che un essere umano prova negli ultimi giorni di vita. Chi di noi non ha esperienza di qualche familiare o amico che, in un letto d’ospedale, provato da una malattia che palesemente non perdona, ancora confida nella possibilità di guarire? Tutti speriamo che una Arabella torni a prenderci per restituirci alla vita... Insomma, le tredici ore passate nell’oceano non sono in realtà molto diverse dalle ultime ore di chiunque stia per morire e riflette sulla propria vita, sulle persone che ha conosciuto e amato, sul ruolo che riteneva di avere, sugli spazi che (presuntuosamente) pensa di lasciare vuoti.
Penso sia una novella molto pirandelliana, che indaga sull’opinione che gli altri hanno di noi, come ci vedono, o sulla domanda ancora più estrema e desolante: ci vedono? Nessuno ha notato che Standish mancasse se non dopo tante, troppe, ore. E quando infine si rendono conto e iniziano a parlarne, lo valutano senza conoscerlo, dando per scontato il suicidio anziché considerare la possibilità dell’incidente. Questo siamo: o invisibili, o persone da giudicare frettolosamente.
Ma credo sia anche una novella molto americana, legata al momento in cui è stata scritta, quando gli echi della Grande Depressione erano vivi e dolorosi. Un uomo dalla solida posizione che cade, scivola, e man mano si spoglia nell’acqua, restando senza nessuna delle cose che contavano per lui, non può non far pensare a chi ha perso tutto per i tracolli finanziari del 1929. Non è casuale che Lewis decida di citare Ivar Kreuger, il re dei fiammiferi, imprenditore miliardario che si suicidò nel 1932 proprio perché non poteva far fronte alla crisi del suo impero; una vicenda di cui si parlò molto.
Libro scelto: "Fiori" di Maurizio De Giovanni (preferito a "Gli innamorati di piazza Oberdan" di Christian Klinger e a "Il visconte dimezzato" di Italo Calvino)
Prossimo proponente: Adriano
Prossimo incontro: 29 novembre