Cent’anni di solitudine (di Gabriel Garcia Marquez)

Proposto da Michele

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di febbraio 2017

Sì: Marisa, Michele, Tomas, Pierpaolo, Alessandra Co., Marco

Nì: Alessandra Ce.

No: Marinella

(Luisella ed Oscar, presenti alla discussione, non hanno letto il libro)

Michele ha scelto questo libro, che inizialmente non era stato contemplato, poiché quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla sua pubblicazione. La scelta è stata dunque quella di omaggiare un grande scrittore ed un libro che è stato considerato, dopo il Don Chisciotte, il più bel libro in lingua spagnola mai scritto. In "Cent’anni di solitudine" lo scrittore narra quello che è “accaduto” nella sua città natia. Senza dialoghi e solo attraverso il racconto e la narrazione si aprono quelle che sono le tre fondamentali componenti di questo libro: il tempo, la morte e la magia. Il tempo è sempre molto presente nelle opere di Marquez. Un tempo che può essere orizzontale, accelerato/rallentato o, come in questo romanzo circolare. Un tempo che io definirei anche “sentimentale”. E’ curioso come il tempo, che per gli uomini è una condanna, sia invece vissuto da Marquez come qualcosa a servizio dello scrittore stesso. Ma questa idea del tempo è solo apparente, poiché il suo trattamento così diverso dimostra invece che lo scrittore ha paura, lo teme. Ed è proprio questo timore che lo spinge a sperimentare diverse forme temporali con la speranza di trovarne una che non lo spaventi, che gli faccia accettare il tempo ed il suo traguardo: la morte. Essa nel romanzo non è mai definitiva, è costantemente presente tra i vivi. E’ chiaramente un espediente che mira a non voler veder morire la gente che si ama. E’ per questo che la morte “ritorna” ed il suo ritornare non è altro che il desiderio di essere eterni. Per ultimo la magia. Essa dipende dall’attenzione che si rivolge, o meno, alla vita quotidiana. La vita è fatta di magia, così come narra il libro, ma nelle società di stampo cartesiano (razionalista) questo è difficile da immaginare. La vita “cartesiana” non è una vita simbolica, non è una vita “magica”. Questo ci insegna Marquez: rivolgere l’attenzione al vivere e verificarne la sua incredibilità.

Luisella non ha terminato il libro. Nonostante ciò ha fatto un breve intervento dichiarando che è rimasta colpita dalla “musicalità” del primo capitolo. Di più non può dire.

Tomas ha trovato la storia di questo libro bellissima. Secondo suo fratello, che gli ha regalato il libro, è il più bel libro mai letto, il più bello della sua vita! Tomas l’aveva già letto in italiano ma questa volta l’ha riletto in ceco. Anche stavolta l’ha trovato così bello che non riusciva a staccarsene pur trovando certe pagine alquanto ripetitive. Ha apprezzato molto la figura di Ursula. Dichiara che lo rileggerà molto volentieri tra qualche anno.

Alessandra Ce. l’ha letto a metà. Il primo approccio è stato quello di leggere il libro “razionalmente” ma è proprio quando l’ha abbandonato che forse ha cominciato a capirlo. Pur non avendolo terminato lo trova però “geniale”.

Marinella non è in grado di commentare il libro. L’ha letto cinquant’anni fa quando lo leggevano tutti. Ha tentato di rileggerlo, non ci è riuscita. Non ama la letteratura, il cinema, la cultura latino-americana. Non la capisce. E’ sempre stata razionale e con la vecchiaia lo diventa sempre più. In questo mondo magico e onirico non riesce ad entrare. E le dispiace anche perché ha due nipotini per metà brasiliani.

Marisa sostiene che due fattori fondamentali caratterizzano quest'opera: la solitudine e la circolarità del tempo. Da una parte c'è la solitudine insita in ogni personaggio, che sembra relegarsi in una torre d'avorio dove affonda con le proprie emozioni e le proprie nostalgie, e dall'altra il fluire del tempo che sembra avvolgersi su se stesso, al punto che i morti continuano a esistere nella vita dei discendenti, tramandando loro, oltre che il nome, un oscuro senso di future disgrazie. Alla fine si avvererà la terribile profezia della coda di porco, la tara dei figli di consanguinei e insieme metafora di sventure e di dissoluzione. Infatti, l'ultimo nato, concepito da un rapporto d'amore incestuoso, porrà fine alla stirpe della famiglia e alla storia tragica di Macondo. Spiccano fra tutte le figure di Aureliano Buendía e di Ursula: madre e figlio, sono da sempre estranei l'uno all'altro, ma allo stesso tempo legati tra loro da vincoli ancestrali indissolubili e accomunati dal senso di solitudine, come attestano simbolicamente i pesciolini d'oro muti di Aureliano e gli occhi della ultracentenaria Ursula che ormai non vedono più. Márquez tesse con sottile ironia una trama surreale, intrecciando realtà e immaginazione, magia e onirismo, mito e misticismo, e descrive avvenimenti visionari e fantasmagorici, tra cui alcuni episodi che rievocano fatti realmente accaduti, come le insurrezioni sanguinose tra i guerriglieri liberali delle zone rurali della Colombia e i conservatori sostenuti dal Governo. E sebbene si faccia fatica a raccapezzarsi nel labirinto delle omonimie ricorrenti, la lettura di questo capolavoro narrativo, espressione del realismo magico sudamericano, induce a intensa commozione per la drammaticità la liricità che vi sono contenute.

Alessandra Co. aveva letto cent'anni di solitudine da ragazza. Serbava un ricordo di un sogno sfuggente. A rileggerlo l’hanno colpita i percepiti dei protagonisti, diversissimi, quasi sempre non comunicabili fra loro. Ogni personaggio vive il suo percorso e crea il suo mondo che genera mondi comuni negli incroci onirici e indecifrabili dai protagonisti. In fondo la Realtà che viviamo non è affatto diversa: riesce a portare accadimenti che continuerebbero a stupire anche gli abitanti di Macondo, se esistesse ancora; ci lascia, incompresi, affondare nelle nostre illusioni, fino alla dissolvenza. I piani di lettura del libro sono molteplici, simboli evocano immagini interiori che raccontano più delle parole. Ci sono stati momenti in cui ha vissuto la storia come un'immagine della vita dell'uomo, i suoi vissuti, i ricordi, le sue passioni, l'oblio della coscienza, l'entusiasmo, il desiderio di conoscenza, la trasformazione di tutto, fino alla dissolvenza. Le letture di "cent'anni di solitudine" se non infinite, sono almeno quante gli occhi che avranno la possibilità di incontrarlo.

Marco ringrazia Michele per aver proposto questo libro che non aveva mai letto e che l’ha catturato dalla prima all’ultima pagina. Soprattutto i primi capitoli sono stati magnetici (sarà l’effetto del magnete di Melquíades). Marco si è chiesto come mai anni fa gli fosse stato detto “non ti piacerebbe”. Invece si è immerso completamente in questa scrittura che gli piace definire ossimorica in quanto, nel suo tendere continuo alla distruzione e all’oblio, cattura il lettore e lo scaraventa nel mondo di Macondo con l’esito che non se ne possa più dimenticare, per sempre. Il vento passa a spazzare case, cose, persone e memoria, eppure Macondo continua ad esistere nella memoria del lettore. Nel nostro caso del GdL, si tratta di una memoria collettiva che diventa ancor più responsabile di ciò che ha raccolto, o meglio di ciò che ciascuno ha accolto dei personaggi e della storia e fatto proprio. Sono molteplici i temi che l’hanno attratto e su cui ha riflettuto (sia personalmente sia per il suo lavoro con le famiglie), molteplici come i volti dei personaggi di Macondo. Ne elenca alcuni: gli zingari (minaccia o ponte con l’alterità?), la trasmissione intergenerazionale del trauma e dei modelli familiari, la memoria nel suo intrecciarsi tra l’individuale e il collettivo, la disabilità (temuta, accolta, normalizzata), le appartenenze tra legami di sangue e affetto, la sofferenza del bloccarsi in un tempo passato da voler ritrovare ad ogni costo e il rifiuto conseguente a non incedere verso il bene di fronte a sé. E poi ancora la visione del maschile e del femminile, l’uso dei colori (il bianco delle case e l’azzurro del nemico, il rosso del sangue, tanto sangue, che trova la sua apoteosi nel rigagnolo che percorre le strade per comunicare alla Madre la morte del Figlio) e poi i tanti profumi che abitano i luoghi e gli incontri. Infine un gioco di parole… Cent’anni sarà forse l’età del sole (sol – etad, dal titolo in castigliano)? Un libro da leggere e rileggere!

Pierpaolo ci racconta che, questo libro, letto nell’adolescenza, ha contribuito tantissimo a costruire la sua personalità di lettore. Un libro quindi per lui mitico, archetipico, che rilegge per la prima volta grazie alla proposta di Michele. Lo vuol fare rispondendo ad alcune domande che si pone ora a distanza di tanto tempo dalla prima lettura: “è veramente quel capolavoro che mi era sembrato? Cos’è per me un capolavoro? Com’è stato accolto in Italia alla prima pubblicazione, si sono subito accorti del suo valore? Che si può dire della traduzione?” È un capolavoro? Per Pierpaolo lo è, lo emoziona ancora tantissimo, è un libro semplice e complesso, razionale e a suo modo storico ed epico, ma è anche uno dei libri più emozionanti che ha letto. Quello che a suo giudizio lo rende un capolavoro unico è la sua intima coerenza di stile e tema, forma e contenuto, sostanza e materia: è questo che rende la letteratura necessaria, che fa di un’opera un unico. Nel caso di "Cent’anni di solitudine" c’è un fortissimo legame tra il tema, quello del tempo che, per dirla con il colonnello Aureliano Buendia «passa, sì, ma non tanto», e la forma del romanzo, scoppiettante di una miriade di coloratissime invenzioni e fantasie, racchiuse però in una cornice molto organica, spiraliforme ed iterativa come certe composizioni musicali. Una struttura che, a suggerire la ciclicità del tempo, è formata da moltissimi flashback e flashforward, innumerevoli ricordi e anticipazioni (a volte anche anticipazioni di ricordi, come la fulminante frase d’avvio del romanzo), ma anche ripetizioni di formule fisse, che segnano l’inizio dei vari capitoli, o anche dell’alternarsi come protagonisti di varie generazioni della famiglia Buendia. È così che l’intera opera è unita e legata da una fittissima trama di rimandi interni, allusivi a un tempo che non scorre ma si ripete e avviluppa in sé stesso. Ad esempio la formula “Molti anni dopo” (anticipazione) o “Molti anni dopo” si ripetono, a una conta sommaria, 15 volte, e quasi sempre in posti chiave nel romanzo. Il plotone d’esecuzione è nominato esattamente 23 volte, la memoria 33 volte, amore 93 volte. Come fu accolto in Italia? Pubblicato nel 1968, l’anno dopo la prima edizione spagnola, da Feltrinelli che lo avvolse in una fascetta che diceva: «Uno dei libri più belli che mi sia mai capitato di leggere»: fu un successo immediato. A Pierpaolo piace immaginare che fosse nella tasca dei jeans dei ragazzi del ‘68 e del maggio francese, quando chiedevano la Fantasia al potere. Dunque un libro amatissimo, da Feltrinelli, da Mario Luzi, dal Calvino del Castello dei destini incrociati, che vi trovava un compagno di strada letterario lungo un filone che arrivava al poema ariostesco. Un libro che fu anche detestato, ad esempio da Pasolini, che con Calvino duellava spesso con posizioni opposte, che riteneva «un altro luogo comune (...) è quello di considerare Cent'anni di solitudine (...) un capolavoro. (...) Si tratta del romanzo di uno scenografo o di un costumista (...) quasi ad uso di una grande casa cinematografica americana». Strano che un uomo di cinema come Pasolini non si fosse reso conto dell’estrema difficoltà a portare sugli schermi il fluviale romanzo, di cui infatti a oggi non esiste una riduzione cinematografica. È il libro che ha aperto la strada al boom della letteratura del realismo magico sudamericano, cavalcato da Feltrinelli (per motivi politici) ed Einaudi (guidata in quegli anni dalla consulenza editoriale di Calvino). Un boom con numeri editoriali di assoluto rilievo, ma che dura poco, fino alla fine degli anni ‘70, con il riflusso e la fine della contestazione giovanile. Che qualità ha la traduzione italiana? Scarsa. Libro mal tradotto e tradotto una sola volta, con una scelta di lessico che sposta verso l’alto il registro volutamente popolare dell’originale: Marquez aveva scelto uno spagnolo semplice, popolare, da cantastorie, mentre la versione italiana in molti casi predilige forme più auliche. L’ambizione di Marquez era quella di scrivere un’opera epica, di un’epica orale, corale e popolare, come quella che caratterizzava i tanti racconti che la nonna anziana gli raccontava da bambino, racconti che hanno origine nella tradizione colombiana e sudamericana. L’autore racconta che questa idea improvvisa gli si fissa nella mente durante un viaggio di vacanza in famiglia, viaggio subito interrotto per dar seguito appunto alla stessa idea, scrivendo di getto il romanzo. Un personaggio emblematico di questa scelta è presente nel romanzo: è Francisco el hombre, il cantastorie girovago, un vecchio giramondo di quasi 200 anni che passava frequentemente da Macondo divulgando le canzoni che lui stesso componeva. Una nota di struggente inattualità è l’importanza che in questo capolavoro sudamericano dell’epica stracciona hanno i viaggiatori, coloro che superano distanze e confini per portare notizie, novità e invenzioni, come Francisco El Hombre e come Melquiades, con gli zingari, descritti come filosofi e alchimisti, disarmati e onesti. Questo, leggendo oggi il romanzo, emerge come un doloroso segno del tempo che è passato da quando, molti anni fa, i nostri genitori guardavano a un futuro che speravano di uguaglianza, di fantasia, un mondo in cui si potesse viaggiare senza più trovare frontiere e muri, ma tolleranza e accoglienza. Un futuro che si è in parte realizzato, ma che oggi vediamo di giorno in giorno scivolare rovinosamente nel passato della memoria. Alcune note bibliografiche interessante in cui Pierpaolo si è imbattuto, e che forse possono essere utili per qualcuno: *Tradurre un continente. La narrativa ispanoamericana nelle traduzioni italiane, a cura di Francesco Fava, Sellerio, Palermo 2013). Recensito qui http://rivistatradurre.it/2013/11/la-recensione-3-un-continente-letterario-frainteso/ Utile per una valutazione della traduzione di Cicogna. - «All’inseguimento dell’ultima utopia. La letteratura ispanoamericana in Italia e la creazione del mito dell’America latina», di Stefano Tedeschi (Edizioni Nuova Cultura, 2005). Il capitolo Il boom: fu vera gloria? (utile per valutare la fortuna della letteratura sudamericana in Italia) è disponibile qui: http://www.edizionisur.it/sotto-il-vulcano/28-11-2011/il-boom-fu-vera-gloria/ Josefina Ludmer, Cien años de soledad: una interpretación, Buenos Aires: Tiempo Contemporaneo, 1972, citato in http://www.bibliomanie.it/cento_anni_gabriel_garcia_marquez_oliva.htm#_edn12 - E utile per il parallelo con l’Orlando della Woolf, noto a Marquez nella traduzione di Borges: «La Ludmer ha individuato con acribia certosina il reticolo di corrispondenze, simmetrie e inversioni speculari dimostrando che non c’è un esempio, nel romanzo, di cui non sia riscontrabile un parallelo».


Prossimo libro: "Cassandra" di Christa Wolf (preferito a "Il gattopardo" di Tomasi di Lampedusa e a "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi)

Prossima proponente: Marinella

Prossimo incontro: 31 marzo