Bora – Istria, il vento dell’esilio (di Anna Maria Mori e Nelida Milani)

Proposto da Alessandra Ce.

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di ottobre 2018

Alessandra Ce.: La lettura e la conseguente proposta di questo libro nasce dalla mia necessità di iniziare a conoscere meglio i fatti relativi all’esodo fiumano-dalmato, sia dal punto di vista prettamente storico, sia dal punto di vista delle popolazioni che lo hanno vissuto e subìto. In questo libro due scrittrici raccontano a quattro mani la loro storia personale ed insieme ad essa, quella delle popolazioni che vivevano in quell’entroterra istriano teatro dell’esodo iniziato già dopo l’8 settembre 1943 in Dalmazia, continuato fino al 1956. E’ il racconto della vita di due ragazze nate e vissute nell’infanzia a Pola per poi seguire due destini diversi: una rimane nella Pola passata alla Yugoslavia di Tito e l’altra lascia il suolo natio per arrivare in Italia (ove gli esuli non sono stati accolti con gaudio dalla popolazione). La tragedia istriana guardata da due prospettive diverse e complementari, ma il dramma è lo stesso, sia per i “partiti” che per i “rimasti”. La sofferenza subita è unica e unica è la nostalgia per la terra perduta e la cultura usurpata. Un’usurpazione costruita su una menzogna, come spesso accade nella storia, per sdoganare eccidi, deportazioni di massa, guerre. Un dramma subìto da parte della popolazione italiana residente a Pola di cui si è sempre parlato poco. Quasi a voler in questo modo celare altri ricordi ingloriosi (ricordiamo che lo stesso era accaduto, a parti invertite, durante il ventennio fascista agli sloveni). Non vuole essere un trattato “storico” ma un libro attraverso il quale le due autrici desiderano conferire ai fatti dignità storica attraverso il confronto dialettico. Un confronto che diventa una voce unica di espressione di sofferenza.

Marisa (sì): È un libro in forma epistolare capace di turbare anche chi non ha vissuto da vicino l’esperienza dell’esodo istriano. Pur essendo confezionata in due stili diversi di scrittura e con due diverse visioni retrospettive, la narrazione delle autrici è parallelamente concorde sul significato e sulle conseguenze di un passato doloroso, narrazione che non si basa tanto su documenti storici quanto sulla memoria che si impresse sulle loro giovani menti di fanciulle, allora poco consapevoli della gravità degli eventi che le coinvolsero drammaticamente. Nell’immediato dopoguerra regnava una totale confusione, dovuta in parte ai diversi aspetti culturali e origini ancestrali delle popolazioni istriane, di cui molte subirono una pulizia etnica simile a quella operata sugli slavi durante il ventennio fascista. Si stava verificando una grande lacerazione non solo tra slavi e italiani, tra comunisti e fascisti o presunti tali, ma anche tra gli stessi italiani, che in seguito a odiose delazioni furono tacciati ingiustamente dai loro fratelli di lingua e nazionalità di dissidenza dall’ideologia titina, dando luogo a una lunga reazione a catena. Fu così che l’esodo assunse proporzioni bibliche, tanto che si parla di una diaspora di 350.000 profughi, costretti a prendere la via dell’esilio in ogni parte del mondo. Questo libro, anche se di parte, rivendica i valori dell’universalità dei diritti umani, che furono brutalmente calpestati dalla furia devastatrice della guerra, ed è un’ulteriore dimostrazione di ciò che avviene ancora oggi nelle popolazioni vessate dai dominatori di turno che abusano di un malsano potere sui più deboli.

Marinella (no): Ho detto no perché il libro non è un romanzo ma non è neanche un saggio. La scrittura non è granché e manca l’obiettività di giudizio che dovrebbe caratterizzare un saggio. La realtà che le due scrittrici descrivono, un mondo di ingenuotti, tutti buoni, è completamente diversa da quella che ho sentito raccontare nella mia famiglia in cui ci sono stati quelli che sono partiti dall’Istria ben prima dell’esodo per cercare lavoro, quelli che sono arrivati con l’esodo e quelli che sono rimasti e vivono tuttora in Slovenia. Il libro mi ha fatto ricordare una bellissima canzone del polesano Sergio Endrigo: ‘Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà’.

Oscar (nì): Al contrario dei miei compagni di lettura, nati e cresciuti in questa terra di frontiera, non ho vissuto né direttamente né indirettamente gli avvenimenti raccontati nel libro. Mi sono per questo approcciato al libro in maniera meno personale. Pur rispettando la testimonianza di così dolorose esperienze personali, devo dire che la mancanza di un filo narrativo (nelle prime pagine faticavo a tener traccia dei personaggi) e la forma più di saggio che di romanzo mi ha fatto desistere dal terminarne la lettura.


Prossimo libro: "Eureka street" di Robert McLiam Wilson (preferito a "Il cielo comincia dal basso" di Sonia Serazzi e a "Un figlio" di Alejandro Palomas)

Prossimo proponente: Luisella

Prossimo incontro: 30 novembre