Presenti: Alessandro (No), Oscar (Si), Silvia (Si), Pierpaolo (Si), Luisella (Ni), Marinella (Si), Sonja (Si)
Sonja (proponente): A volte sono i libri che scelgono me: Utz è stato uno di questi. Conoscevo le opere più famose di Chatwin ma ignoravo che giunto alla fine dei suoi giorni avesse scritto anche questo romanzo quasi saggio. Anche da questa, come dalle altre sue opere, traspare la sua enorme erudizione e l’amore per la bella scrittura. Il libro è allo stesso tempo il trionfo dell’amore e una lezione di vita, una specie di testamento spirituale che l’autore ci lascia. Utz alla fine nella fedele Marta scopre finalmente le cose più preziose, quelle che nella vita contano di più: tutte le cose che credeva importanti e preziose ad un tratto sbiadiscono e perdono importanza al confronto con l’amore incondizionato e capace di grandi sacrifici, con la totale dedizione e il profondo rispetto della libertà di scelte dell’altro. La fine enigmatica e non del tutto chiarita delle preziose porcellane sottolinea l’importanza di questo messaggio che Chatwin ci lascia, anche se mi piaceva pensare che sotto sotto Utz voleva gabbare l’avidità dello stato, ma in realtà non è così: per lui non contano proprio più niente. Il libro è anche una splendida fotografia di Praga nell’immediato dopoguerra sul cui sfondo questo strano personaggio sembra andare effettivamente controcorrente. Non mancano tanti piccoli preziosi cammei. Ne cito alcuni: Orlik, con le sue strane ed esose pretese, è un tipico rappresentante della società praghese (e non solo) dell’epoca. Altrettanto significativa è la figura dell’onnipresente donna delle pulizie che sta a sottolineare l’ordine che deve regnare sovrano anche contro qualsiasi logica. E voglio concludere con la splendida Marta che il giorno del funerale fa girare a vuoto sia le autorità che le cantanti liriche e si prende una bella ed elegante rivincita.
Marinella: Da qualche anno prediligo la lettura dei saggi, leggo meno romanzi. Questo romanzo che non conoscevo, avevo letto i classici libri di Chatwin, Viaggio in Patagonia, La via dei canti, mi è piaciuto molto perché è un romanzo, scritto benissimo, che ha le caratteristiche del saggio, tante notizie, tanta erudizione, tanti personaggi, Rodolfo II, il rabbino Loew, il Golem (mi ha ricordato molto Praga Magica di Ripellino…). E’ l’ultimo romanzo dell’Autore che era già molto malato quando lo ha scritto. E’ una sorta di testamento spirituale con cui Chatwin ci dice che nella nostra esistenza non sono le cose inanimate di cui ci circondiamo, per quanto belle, che contano, ma la vita, le persone, l’amore. Quando Utz si innamora di Marta abbandona le sue bellissime porcellane di Meissen e forse finalmente vive.
Silvia: Utz non ha suscitato in me nessuna empatia, però il libro mi è piaciuto molto perché scritto con maestria. Gli inserti eruditi a volte sono frustranti perché interrompono la narrazione ma questo continuo parlare di porcellane, questo porle in primo piano (al contrario delle persone che hanno un ruolo secondario e si trovano in sottofondo) sottolinea e ribadisce l’ossessione del collezionista. Ossessione che è tipica e peculiare per qualsiasi tipo di collezionismo. Questo, unito al fatto che la scrittura è molto bella, mi ha fatto apprezzare il libro.
Alessandro: Il libro non mi ha entusiasmato perché non è né saggio né narrativa. Certe atmosfere e il tema in sé sono molto belli ma nonostante ciò il libro non mi ha preso.
Oscar: Un romanzo che inizia con un funerale non poteva che suscitare la mia curiosità. Anche lo stile di scrittura, pieno di ritmo e arguzia, mi ha preso sin dalle prime pagine. Non vedo come negativi gli ampi passaggi "nozionistici", anzi ho trovato interessante l'intreccio tra alchimia e le origini della porcellana. Bello il finale, con l'alone di mistero che avvolge la sorte della collezione di Utz.
Luisella: Ammetto la mia ignoranza su Chatwin, ne conoscevo il nome e la fama di scrittore di viaggi ("In Patagonia", ad esempio) ma ignoravo tutto di lui, ad esempio che fosse morto così giovane, di AIDS. Lo collocavo male anche dal punto di vista temporale, lo credevo morto negli anni '70, non nel 1989! E soprattutto - ed è ciò che ora conta - non sapevo che avesse scritto narrativa. Ho detto "ni", perché si tratta senz'altro di una scrittura erudita, coltissima, raffinata, con guizzi descrittivi molto fortunati. Ma che mi lascia anche molto perplessa... Quando leggo, desidero mettermi in contatto con "esseri umani" (i personaggi questo sono, questo devono essere, anche se non fatti di carne e ossa). Non ho sentito l'umanità, la profondità psicologica, né di Utz né degli altri pochi personaggi. Mi viene in mente il bel saggio in cui Edward Forster distingueva tra personaggio piatti e personaggio tondo, sferico, con un suo "volume". Ecco, quelli di "Utz" purtroppo mi sembrano piattissimi, come figurine ritagliate nel cartoncino. Inoltre, come dico sempre (sono ripetitiva e me ne scuso), per me la questione non è "Questo libro ti piace o non ti piace?". Capisco che possa essere un modo giocoso e rapido con cui iniziare la nostra discussione, ma non è questa la domanda che mi preme. La questione vera è: "Questo libro ti tocca, ti dice qualcosa, ti appartiene, ti pungola? o no?" Ecco, niente di Utz mi tocca e mi pungola... Eppure, avevo ampie aspettative: un po' perché Pierpaolo ama moltissimo questo libro e spesso abbiamo gusti simili; un po' perché è ambientato a Praga e speravo di essere presa per mano dall'autore e accompagnata lungo le vie che ho visitato e amato (cosa che invece avviene ben poco); un po' per la figura del collezionista, che mi affascina. Non sono collezionista di nulla, ma conosco la passione travolgente per gli oggetti; si tratti di un libro che non oserei mai nemmeno prestare, o del mestolo della nonna che mi fa pensare a quante minestre ha servito a persone che non ci sono più (mestolo che sopravviverà anche a me, perché sicuramente non sarò io a buttarlo via!); e altri ninnoli cari da cui non potrei mai separarmi. Gli oggetti, con la loro impertubabile solidità e durata, ci parlano costantemente di morte, della beffa della nostra fragilità e provvisorietà in questo mondo. Insomma, sono argomenti che mi intrigano, mi commuovono, perciò tutto poteva favorire il godimento/tormento della lettura. Invece ho provato noia... A darmi fastidio sono stati anche gli inserti, le schede (ad esempio, quella sulla vita di Johann Bottger) che interrompono il flusso narrativo, palesandone il siparietto falso e senza intensità, dove i personaggi sono solo un pretesto per parlare di un argomento. Ma allora io dico, perché non scrivere un saggio sulla storia della porcellana? Che bisogno c'era di impelagarsi in una storia senza spessore psicologico? Mi rendo conto ora che, più ne parlo, e più il mio "ni" sta virando al "no" :-) Comunque una lettura che sono felicissima di aver fatto, anche per colmare un pochino l'abissale ignoranza che ammettevo all'inizio. Quindi ringrazio Sonja per la proposta.
Pierpaolo: Il libro mi è piaciuto alla conferma della rilettura, anzi del ri-ascolto e per questo ho votato sì. Un piccolo grande libro, che sfugge i confini tra invenzione, memorie, saggio: un testimone della crisi della forma-romanzo e del tentativo di trovare soluzioni nuove scavalcando i confini prestabiliti e canonici tra i generi, senza andare a discapito della scorrevolezza e della leggibilità. Un tentativo che ho particolarmente apprezzato. Scritto quando l’autore è ormai condannato dalla propria malattia, il racconto non può non essere un testamento spirituale di B. Chatwin: di qui la sfida a trovare analogie tra l’autore e il protagonista. Cosa accomuna un uomo come Utz, che sa vivere nascosto in una città affascinante e misteriosa, come Praga, accontentandosi di rare uscite verso le terme in Francia, ma senza cedere al richiamo della fuga, e un maestro moderno del nomadismo, come l’autore? La risposta che mi sono dato è che entrambi si preparano alla fine scegliendo la leggerezza, sapendo lasciare le proprie passioni, per tornare ad orizzonti più semplici e limitati, ma senza quel pesante senso di malinconia, rinuncia ed amarezza, che ci si sarebbe anche potuti aspettare. Pur ruotando, quindi, attorno al tema della morte il libro è tutt’altro che triste, anzi è condito da momenti ricchi di ironia e humor, con un sorriso che mi ha ricordato quello con cui guardava alla vita Italo Svevo. Un altro elemento che ho molto apprezzato, amando molto la città, è stata la descrizione della Praga della fine degli anni ‘60 e dell’inizio dei ‘70, un momento in cui tutta Europa guardava a quella città.
Prossimo libro: "Il diavolo in corpo" di Raymond Radiguet (preferito a "Bel Ami" di Guy de Maupassant e a "Jules e Jim" di Henri-Pierre Roché)
Prossima proponente: Gabriella
Prossimo incontro: 28 maggio 2021