Sì: Alessandro, Oscar, Alessandra, Mirella, Luisella, Marisa, Massimo M.
Nì: Marinella, Giuseppe
Nota: Riporto solo le argomentazioni che i partecipanti hanno fatto al loro turno, non essendo riuscito a prendere nota delle numerose e interessanti discussioni che si sono frapposte ai singoli interventi.
Alessandro (proponente): Sì
L’ho proposto per due ragioni: PW è autore dei principi della “Pragmatica della comunicazione umana” in cui ha sviluppato una teoria della comunicazione prendendo esempi dalla letteratura (specialmente da “Alice nel paese delle meraviglie”).
Essendo io un amante dei libri sulla felicità, dei libri su come essere felici ecc ho trovato questo libro molto ironico, un antidoto divertente che spiega i meccanismi reali con i quali ci rendiamo infelici. Divertenti sono gli esercizi che propone. Nel riprenderlo in mano in questi giorni, a distanza di tempo, ho colto altri aspetti del libro, soprattutto la responsabilità che abbiamo verso noi stessi nel renderci infelici.
Oscar: Sì
Ho trovato nel libro tutto quello che mi aspettavo di trovare… soprattutto i sensi di colpa per quei molteplici meccanismi che io stesso metto in atto per rendermi infelice. Ma più leggevo e più mi rendevo conto a non essere l’unico a cadere in questi errori. E allora mi sono detto che non c’è scampo per nessuno.
Con questa visione negativa mi infastidiva un po’ l’ironia usata dall’autore: il tema era serio addirittura drammatico, migliaia solo le persone e le famiglie devastata dall’infelicità e quindi l’ironia era mi sembrava dissacrante.
Ho terminato il libro chiedendomi se con la consapevolezza degli errori che facciamo e dei meccanismi che mettiamo in atto, siamo forse in grado di evitarli e di non renderci più infelici: purtroppo però, per ora non ho trovato alcuna risposta.
Alessandra: Sì
L’autore ha elaborato all’inizio del testo una definizione di felicità e l’ha poi estesa nel libro in maniera ironica.
Come Shakespeare in Giulio Cesare indica il brutto per evidenziare il bello, lo stesso fa qui PW. Il suo intento è quello di indurci ad essere costruttivi. E come essere umani, per sentirci vivi, noi dobbiamo provare emozioni: per questo cerchiamo la felicità e per questo ci inventiamo modi per essere infelici.
Giuseppe: Nì
Il bello del libro sta nell’ironia e nell’essere corto. Anche l’idea iniziale è bella: il ribaltare il punto di vista e proporre a mo’ di provocazione il tema del come rendersi infelici. Ma alla fine ho trovato che il libro diventa una raccolta di luoghi comuni di cose sentite e risentite che scadono quasi al livello dei baci perugina o simili. Forse ai tempi della sua prima pubblicazione diceva cose nuove (l’autore è in effetti un pezzo grosso in questo campo) ma al giorno d’oggi mi sembra la scoperta dell’acqua calda o poco più.
Lo trovato pure inutile per chi soffre di infelicità: se una persona non ha capito da sola dove sono i suoi errori,m questo libro non aiuta poi tanto. Solo chi ha già fatto e concluso un’autoanalisi capisce dove sono i punti di forza delle “provocazioni” descritte nel libro.
Marinella: Nì
Anche a me ha sconvolto l’idea di partenza, l’idea di un manuale alla rovescia. Anch’io ho letto anni fa tanti libri sulle ricette per come essere felici e tra quei libri c'era probabilmente anche questo perché durante questa (ri)lettura ho ritrovato le stesse cose che dicono tutti gli altri libri.
Secondo me, le tragedie sono le uniche che ci fanno capire quanto siamo felici: solo quanto saremo investiti da un dramma serio, ci renderemo conto che la felicità era già in noi.
Marisa: Sì
La frase ultima di Dostojevskj che dice “l’uomo è infelice quando non sa di essere felice” è quella che riassume tutto. Ma quando uno è felice e si rende conto di ciò, diventa istantaneamente infelice per capisce che quel momento finirà presto: la felicità sono attimi, una fase di squilibrio che ci fa sentire in vetta.
E’ un po’ il meccanismo del desiderio non realizzato ma che nel momento in cui si realizza fa scomparire il sogno e la sua bellezza.
Nel libro ho apprezzato i punti in cui parla del passato di come lo vediamo come la fonte di errori irrimediabili o di momenti perduti sempre. Interessante anche la discussione sulle donne che cercano uomini problematici da consolare e uomini che cercano donne da cui farsi accudire.
Ero incerta tra Sì e Nì perché un po’ di cose dette nel libro sono scontate: in fondo non mi ha aperto nulla di nuovo.
Luisella: Sì
L’ho letto velocemente e questo è un pregi.
All’inizio mi sembrava però che non dicesse nulla di nuovo rispetto ai soliti libri sulla felicità che pure io ho letto. Poi però sono andata a documentarmi meglio sull’autore e ho scoperto che quando nell’83 questo libro fece la sua comparsa, fu qualcosa di assolutamente originale e innovativo.
Bella l’idea di ragionare al contrario, l’ironia usata per descrivere le situazioni e i comportamenti delle persone (nei quali mi sono vista più volte), ma nonostante ciò non mi ha illuminato.
Secondo me la felicità sono attimi che cogliamo, istanti inattesi in cui un qualcosa ci fa sentire momentaneamente colmi di serenità.
Massimo M. Sì
Libro gradevole perché ironico e perché suggerisce molti spunti di riflessione. L’ho trovato però inutile perché chi lo legge, o ha già fatto qualche passo per uscire dalla sua infelicità, oppure lì rimane. Questo il mio giudizio sul libro in sé.
Per quanto riguarda l’argomento felicità, secondo me confondiamo la felicità dei momenti, quelle scintille di gioia, rispetto a quella che nella vita normale io chiamerei serenità.
Dopo aver provato a leggere qualche libro sulle ricette per essere felice, ho deciso di abbandonarle quelle letture e vivere senza regole e ricette.
Mirella: Sì
Un libro veloce, incisivo e con molti riferimenti letterari, Alcune cose erano ovviamente già note, dato che descrivevano comportamenti che conosciamo tutti.
Il libro non voleva proporsi come una ricetta per essere felici (tanto meno per essere infelici) ma era solo una descrizione di come tante persone riescono a farsi del male da sole. Anche la frase che pure noi ripetiamo spesso (“Sii spontaneo”) racchiude in sé una contraddizione che può creare solo disagio.
Volendo fare un riassunto del libro, mi sembra che si possa ridurre all’invito a non essere rigidi e ad adattarsi alle circostanze. Avere un’idea fissa (che può essere la ricetta per la felicità) alla fine ci fa solo perdere di vista quello che circonda e che è invece la “fonte” della felicità.
Per me felicità è infatti la “serendipity” che posso tradurre in un vivere quello che ci capita improvvisamente per caso, con quindi nulla di pre-programmato o di calcolato.
Prossimo saggio: “L’uomo che scambio sua moglie per un cappello” di O. Sacks (preferito a “Qohelet o l’ecclesiasta” e a “Il tao della fisica”).
Prossima terna: verrà proposta da Luisella (bentornata!!!)
Prossimo incontro: venerdì 11 gennaio 2013