Il processo (di Franz Kafka)

Proposto da Marisa

Riferimenti: IBS, Wikipedia

Discussione di maggio 2015

Presenti: Alessandro (ospite), Alessandra Covach, Gabriella, Marisa, Michele, Mirella, Pierpaolo (new entry), Tomáš

Tutti i partecipanti hanno letto il libro e si sono espressi con il seguente voto:

SÌ - Alessandro, Gabriella, Marisa, Michele, Mirella, Pierpaolo

NÌ - Alessandra

NO - Tomáš

Marisa (proponente, sì): La narrativa di Kafka, dotata di una lingua limpida e semplificata, si colloca sul piano dell'onirico e del surreale. Leggere Kafka può essere un intenso piacere talvolta misto a un senso di angoscia, là dove le situazioni intricate diventano parodie che sdrammatizzano la gravità della scena oppure là dove i sogni sconfinano negli incubi. E come i sogni, anche le opere kafkiane si prestano a molte interpretazioni a sfondo psicoanalitico, filosofico, sociale, teologico, etico. Il processo per Josef K. è uno stato d'animo ed esiste nella misura in cui egli lo accetta, lo insegue, non vuole scrollarselo di dosso. La sua colpa è la vergogna di sentirsela dentro di sé, quasi fosse un vizio privato in cerca di riscatto per mezzo di un processo a oltranza. Ogni personaggio è segnato dalla corruzione, dall'asservimento alla legge del tribunale con i suoi mille ingranaggi e scale gerarchiche, i suoi spazi angusti e claustrofobici. La vergogna sopravvive a K. in un'estrema atroce beffa, quando - in una simulazione teatrale tragicomica e pantomimica - i due aguzzini, impettiti e stereotipati, assolvono il loro compito al comando della Legge, suprema e inflessibile, ma altrettanto assurda. La beffa è l'ultimo incubo che uccide K. perché egli non riesce o non vuole svegliarsi in tempo per scacciarlo. Come nel Castello, anche qui Kafka pone in campo l'irraggiungibilità del fine, la preclusione alla mente umana di spiegarsi l'irrazionalità della vita.

Tomáš (no): Avendo letto tempo fa La metamorfosi, che mi era piaciuto molto, mi sono accostato volentieri a questo libro. Ma stavolta ne ho ricavato una delusione, anche se l'idea del Processo è interessante e originale. Ho trovato terribile la forma e caotica la trama, a causa soprattutto dei capitoli rimasti incompiuti e della loro sequenza forse arbitrariamente adottata da Max Brod che fece pubblicare, contrariamente alle disposizioni di Kafka, tutte le sue opere. Per questo motivo anche la fine mi è riuscita alquanto incomprensibile. Una nota che voglio rilevare: da certi dettagli del duomo descritti dall'autore nel IX capitolo ho riconosciuto la cattedrale di San Vito a Praga.

Alessandra (nì): Anni fa ne ero innamorata. Oggi leggere Kafka mi risulta una paranoia. Riconosco le problematiche che Kafka pone in primo piano, anche se i personaggi tendenzialmente schizoidi mostrano un'incoerenza di pensiero e di comportamento che può suscitare una sensazione di fastidio al lettore. Il processo è stato però un'occasione per rivisitare la vita di Kafka, gli stati d'animo espressi, per esempio, nella Lettera al padre, l'angoscia e l'oppressione causate dalle sovrastrutture che sono a capo di regole e leggi ingiuste. Se poi si vuole analizzare la parola processo, l'etimologia la fa risalire al significato di 'andare avanti', 'procedere', e nella concezione ebraica potrebbe simboleggiare il tetragramma biblico, Colui che porta all'esistenza le cose, che le fa divenire, che presiede alla nascita e alla morte. Così, questa simbologia ben si adatterebbe al processo nel suo divenire.

Mirella (sì): Tempo fa la lettura di Kafka mi procurava un senso di angoscia. Ora, rileggendolo, la mia sensazione è cambiata. Ho apprezzato soprattutto la lingua, l'uso dei verbi, le frasi stringate, quasi protocollari. Quando descrive i personaggi, Kafka non ama adoperare molti aggettivi, ma racconta ciò che fanno. Nelle pagine bellissime della parabola, che costituiscono la chiave di tutto il romanzo, è interessante notare come il guardiano - che potrebbe impersonare il padre, Dio, un'autorità suprema - lascia libertà di scelta al contadino, che però non ne approfitta: la sua è una situazione di grande incertezza proprio a causa delle frasi sibilline e ingannevoli proferite dal guardiano stesso. Potrebbe, vorrebbe varcare la soglia che lo introduce nella Legge e addentrarvisi, ma, bloccato dalla paura, non sa decidersi e aspetta invano il suo momento propizio, un chiaro segno di consenso che gli permetta di superare quella soglia. Così passano gli anni senza che nulla cambi ed egli invecchierà e morirà sul suo sgabello senza essersi mosso, né in avanti né indietro. Ed è questa la sua colpa: quella di non agire.

Alessandro (sì): Il processo è un romanzo onirico. Ci si addentra nella lettura come avviene nei sogni faticosi prima del risveglio mattutino o come quando ci si immagina di ritrovarsi in un labirinto inestricabile. Da principio si coglie il senso della burocrazia con le sue scale gerarchiche impercorribili, alla fine si coglie la rappresentazione della vita in cui comunque la colpa è presente, perché essa inizia là dove c'è qualcuno che l'avverte. L'ansia per l'attesa di un processo immotivato assorbe ogni attimo delle giornate di Josef K. che rimane invischiato in qualcosa che non dipende da lui. Egli sente un oscuro senso di colpa, colpa intesa come umiliazione, come vergogna da doversi espiare: ed è appunto la vergogna che gli sopravviverà. L'atmosfera del romanzo è asfissiante e le relazioni sociali sono poco significative, impersonali, asettiche, e ogni cosa entra a far parte di un mondo rappresentato oniricamente.

Michele (sì): La scrittura del romanzo è semplice, elementare, quasi dilettantesca. Kafka denota una grande abilità nel descrivere gli ambienti, i luoghi, difficili da immaginare dal punto di vista architettonico, ma che tuttavia appaiono reali e inquietanti come avviene nei sogni. La colpa di Josef K. è quella dell'innocenza. L'uomo, una volta acquisita la facoltà di distinguere il bene dal male, non avrebbe la forza di agire conformemente alla sua conoscenza e preferisce annullarla, ritornare allo stato dell'innocenza, dell'ignoranza. In tal modo finisce per essere colpevole e viene considerato responsabile proprio di questa sua irresponsabilità. Quando viene arrestato, K. rimane attonito e cerca in tutti i modi di giustificare la propria innocenza, a tal punto da rifiutare l'assistenza dell'avvocato, che forse gli avrebbe procurato degli alibi comprovanti la sua estraneità all'accusa (ma quale?) che gli viene mossa. Alla fine, egli si sente davvero colpevole e va in cerca del processo, persino della punizione, quasi con il senso di ribellione dell'emarginato che non vuole omologarsi e che nello stesso tempo vuole sfidare la legge, vuole entrare in possesso della verità. Nel momento in cui egli prende consapevolezza della propria condizione di colpa, viene perseguitato perché il tribunale non va in cerca della colpa ma è attirato dalla colpa. Il senso di colpa, quindi, è insito nella natura umana - sembra suggerirci Kafka - e niente e nessuno potranno mai liberarci da questa condizione, eccetto la morte.

Gabriella (sì): Sono entrata, per così dire, nella lunghezza d'onda di Kafka e ho “viaggiato” con lui. La sua lettura lascia un marchio indelebile nella coscienza, parallelamente alla presa di coscienza da parte di Josef K. La parabola narrata nel duomo dal cappellano è il clou del romanzo e sembra voler significare: comunque noi agiamo o non agiamo, alla fine ci aspetta la morte. Il desiderio di scoprire quello che rappresenta la Legge si rivela vano, irraggiungibile. L'ambientazione è quella di luoghi squallidi, asfissianti, e forse questa mancanza d'aria, che lo stesso lettore fa quasi fatica a sopportare, ha un collegamento indiretto anche con la debolezza che derivava a Kafka dalla sua malattia.

Pierpaolo (sì): Ci sono degli scrittori che perdurano nella memoria, perché toccano nel profondo, anche se le loro opere a volte rimangono incompiute: Kafka è uno di questi. Ognuno si può riconoscere nella concezione della vita espressa da Kafka, nei suoi stati d'animo, nelle sue angosce, nei suoi sogni. Molte sono state le traduzioni e le interpretazioni delle sue opere. Famosa è la traduzione del Processo di Primo Levi del 1982, intrapresa con la sensibilità di chi visse il periodo antecedente la II guerra mondiale. Levi, come è noto, fu sottoposto alle leggi razziali e subì la persecuzione di un processo unilaterale che lo condannò alla deportazione e alla prigionia nel campo di sterminio di Auschwitz, da cui uscì miracolosamente vivo. Nel corso della traduzione Levi prese coscienza di quanto giocasse il proprio ruolo di identificazione con il protagonista del Processo, tanto da definire il romanzo di Kafka “patogeno” e da trascinarlo in uno stato di profonda depressione. Ritornerà in seguito sulla tematica della colpa e della vergogna nell'ultimo suo lavoro I sommersi e i salvati, tematica ripresa poi da alcuni esistenzialisti, come Camus. Sotto certi aspetti, si può vedere nell'opera di Kafka una sorta di premonizione relativa al popolo ebraico con il ritorno e la recrudescenza dei pogrom antisemiti.


Prossimo libro (proposto da Michele): "Tonio Kröger" di Thomas Mann (preferito a "Farenheit 451" di Ray Bradbury e a "Padri e figli" di Ivan Turgenev).

Prossimo proponente: Tomáš

Prossimo incontro: 26 giugno 2015