Confessioni di una vittima dello shopping (di Radhika Jha)

Proposto da Alessandra Ce.

Riferimenti: IBS

Discussione di aprile 2015

Sono presenti al meeting: Alessandra Cepar, Alessandra Covach, Giovanna, Marinella, Mirella, Marisa, Massimo I., Michele, Oscar, Tomas, Loredana (e Lorenzo).

Il libro ha suscitato varie gradazioni di sentimenti: dal non averlo neanche letto, alla sgradevolezza, al piacere (solo per pochi). Non hanno letto il libro né Marisa, né Loredana, né Massimo I.

Hanno votato SÌ: Alessandra Cepar, Giovanna, Alessandra Covach, Michele.

Hanno votato NÌ: Oscar, Tomas.

Hanno votato NO: Marinella, Mirella.

Alessandra Cepar (proponente, SÌ): il libro che ho proposto a me è piaciuto veramente molto. Altrimenti non l’avrei segnalato nella terna. Innanzitutto l’argomento: le dipendenze e i problemi correlati, sia personali che famigliari. Siano esse le classiche dipendenze da alcol o droghe o cibo o sesso oppure meno note come appunto lo shopping compulsivo o il gioco. Le dipendenze sono vere e proprie malattie che trasformano la realtà non solo di chi le vive direttamente ma anche delle persone che interagiscono con chi ne è affetto. Nel libro l’autrice rende molto bene l’idea di questa spirale infernale in cui si finisce per cadere, del vuoto affettivo interiore che spinge la protagonista a cercare la sua realizzazione attraverso questa compulsività di acquisti di beni che nemmeno usa. Il desiderio di emulazione della cultura consumistica occidentale aggrava ancora di più questa compulsitivà, questo desiderio di possedere abiti costosi.

Marinella (NO!) ne ha letto solamente una cinquantina di pagine. Lo ha iniziato con buona volontà anche se il tema non era di suo interesse. Lo ha trovato sgradevole, “come gesso sulla lavagna” sia per le tematiche proposte sia per la scrittura. Lo ha abbandonato appunto dopo poche decine di pagine.

Giovanna (SÌ): le è piaciuto, argomento interessante. Secondo lei la protagonista, pur comprando dozzine di abiti e accessori costosissimi, non ha un reale interesse per la moda. Avrebbe potuto comperare qualsiasi altra cosa nello stesso identico modus operandi. Ha avuto un’amica con simili problemi e pertanto lo trova realistico.

Oscar (NÌ): è riuscito a provare interesse per la storia solo dopo le prime cento pagine. Due le motivazioni che lo hanno allontanato un po’: il contesto culturale molto distante dal nostro e l’approccio al tema della dipendenza attraverso un’esperienza femminile che non gli appartiene. Sottolinea che fattori famigliari di scarsa affettività hanno creato una voragine interiore incolmabile nella protagonista; l’oggetto della compulsività (i vestiti) è irrilevante. Ci sono delle dinamiche emotive e sociologiche relative al mondo orientale che meriterebbero maggior approfondimento. Trova strana la deriva omicida-suicida del finale. Lo ha trovato contraddittorio in alcune affermazioni e in alcuni momenti, per questo è NÌ.

Mirella (NO!): “arrivata a metà del libro ho pensato che con i soldi spesi per acquistarlo avrei potuto fare ben altro”. Pensava di poter scoprire qualcosa del mondo e cultura giapponese ma l’autrice non riesce a far emergere che pochi particolari, non molto significativi. Si appella alla cultura del consumismo degli anni ’90. Fare di tutto pur di ottenere un simbolo del consumismo, anche la prostituta. La protagonista non sente smarrimento per la sua condizione.

Alessandra Covach (SÌ): il titolo mi allontanava. Il libro riesce a comunicare il malessere di un contesto culturale autocentrato. La protagonista cerca, come è capace, di essere una buona moglie e una buona madre, prepara i pasti e porta i bimbi a scuola. Nutre e accudisce. Ma la quotidianità che vive è permeata di solitudine, rapporti superficiali, vuoto, apparenza. In certi punti il libro riesce a farti star male fin nelle viscere per la distanza e la durezza algida tra le persone e comunica il dramma interiore di una persona che cerca, in qualche modo, di uscire da tutto questo e si spinge fino all’atto estremo.

Michele (SÌ): dal libro ho imparato una cosa fondamentale, che non bisogna giudicare dal titolo o dalle prime pagine. L’autrice ha vissuto in Giappone e da buona turista sa tutto sul Giappone, meglio dei giapponesi…Quindi il libro offre una bella panoramica sul mondo giapponese (cultura, natura, …). Non è una storia sulla moda, la moda è solo un pretesto per colmare il disagio interiore della protagonista. L’autrice fa un’analisi critica su come vivono i giapponesi e sul loro desiderio di uno stile di vita occidentale.

Tomas (NÌ): è NÌ perché mi aspettavo molto peggio. Il titolo è fuorviante: il titolo originale in inglese “My beautiful shadow” è più indicato ad esprimere la storia della protagonista del libro. E’ leggibile, scorrevole anche se la storia in sé non è un granché. La trovo piuttosto superficiale. Il libro mi ha suscitato sentimenti di rabbia per la stupidità della protagonista nel cadere così in basso. La dipendenza non è una malattia, è stupidità. Chiamarla malattia è una scusa.


Prossimo libro da leggere: "Il processo" di Franz Kafka (preferito a "Ogni mattina a Jenin" di Susan Abulhawa e a "Il commesso" di Bernard Malamud).

Prossimo proponente: Michele.

Prossimo incontro: 29 maggio.