Sì: Gabriella, Marinella, Pierpaolo, Alessandro, Oscar, Alberto, Adriano
Nì: Luisella
Gabriella (sì, proponente): Ho scelto questo libro perché consigliatomi da un amico e grazie ad un viaggio che ho fatto in Iran tempo fa. Devo dire che le donne di quel paese mi sono rimaste nel cuore per la loro gentilezza e per il calore con cui ci hanno accolto. È un'esperienza che ricordo con gioia ancora oggi, a distanza di anni.
Ho trovato il libro interessante dal punto di vista storico, in quanto il racconto si dipana negli anni che vanno dallo sbarco sulla Luna alla fine della guerra con l'Iraq e dal regime dello scià a quello teocratico che, purtroppo, perdura ancora oggi. Tutti i personaggi che popolano il romanzo sono indimenticabili e speciali, nel bene e bel male. Aga Jan, uomo saggio e di religiosità delicata e genuina, è l'interprete principale, rappresentante di un islam moderato.
La casa della moschea è intriso di poesia e di magia, di profumi e di colori, di coraggio e di malinconia, di gioia e di dolore. È un libro che accarezza e scuote l'anima.
Luisella (nì): Il mio è un "ni". Non posso dirne completamente male perché da qualcosa sono stata affascinata, ma non del tutto bene perché non riuscivo proprio a sentirmene coinvolta.
Con alcuni libri, comprendo maggiormente il senso di un gruppo di lettura che "mi costringe" (in senso buono) a leggere qualcosa che da sola non avrei assolutamente scelto né avvicinato. Questo è uno di quei casi. Ho iniziato con perplessità e un fondo di disinteresse. L'ho letto circa fino alla metà, poi a pizzichi qui e là, una lettura indegna, me ne rendo conto, ma proprio non riuscivo a star dietro alla vicenda. Sono rimasta colpita da alcune immagini, come la cripta piena di polvere (polvere che il protagonista non osa calpestare o toccare perché custodisce segreti che sono e devono rimanere segreti di quel luogo), la cattura di uccelli per studiarne i colori e i disegni, ecc... Ma sono immagini, appunto, mentre il filo della storia non mi attraeva. Mi ha infastidita il linguaggio semplice, quasi da favola. Poi ho saputo che l'autore ha studiato olandese da autodidatta e che ha iniziato da libri per bambini. Chissà, forse è stato questo suo primo approccio all'olandese a determinarne lo stile semplice.
Mi scuso con la proponente per non aver completato la lettura. Comunque grazie, ora conosco un autore che prima non conoscevo.
Alessandro (sì): Il libro mi è piaciuto molto perché è un romanzo che contiene un mondo ricco e complesso che mi ha assorbito interamente nella vicenda, pur raccontando vicende anche tristi. Ho apprezzato in particolare la dimensione spirituale e poetica che invita alla riflessione sul tempo e sul senso della vita, e i contrasti sociali e culturali tra conservazione e cambiamento che attraversano la storia. Il capitolo che mi è piaciuto di più è "La stanza del tesoro", un bellissimo passaggio in cui si racconta la morte dello zio: la stanza diventa il filo che si dipana nei secoli, e nello stesso capitolo le nonne vanno verso la Mecca, creando un senso di connessione nel tempo e in una comunità umana.
Post scriptum (2-7-25): ho finito di leggere "La casa della moschea" ieri sera. Tra la commozione e la riflessione, questo passaggio mi ha colpito in modo particolare: "Abbiamo rifiutato di darti una tomba per tuo figlio. Portiamo il suo cadavere sulla nostra coscienza. Perdonaci!" "Dio è onnisciente e misericordioso", rispose Aga Jan in tono sereno. "Non ho mai serbato rancore a nessuno. La vostra visita allevia il mio dolore. Ho sempre creduto nella bontà dell'essere umano. Vi ringrazio di essere venuti."
Aga Jan incarna il mio ideale di uomo compassionevole ma non arrendevole, rarissimo da trovare in letteratura e ancora di più nella realtà. Mi tornano in mente "L'elogio della mitezza" di Bobbio e alcuni passaggi dei diari di Etty Hillesum.
Oscar (sì): Nella prima metà del romanzo ero distratto da un sospetto: avevo l'impressione che l'autore stesse descrivendo un contesto umano fiabesco, magico e affascinante, non muovendo alcuna critica alla struttura tristemente patriarcale e al rigore religioso. Per fortuna, arrivo al capitolo 41 "Il televisore", che chiarisce ogni mio dubbio; in quel capitolo, Nosrat, parlando a Lucertola, dice: "Questa è una casa retrograda. Siccome sono tutti innamorati di Dio, hanno paura anche di tutto il resto. Hanno paura della radio, della televisione, della musica, del cinema, del teatro, della felicità, delle altre donne, degli altri uomini. Amano solo i cimiteri, lì stanno bene. Dico sul serio. Sei mai stato al cimitero con loro? Di punto in bianco prendono vita, si comportano in modo più allegro del solito. Stanno bene in mezzo ai morti. Per questo sono fuggito da questa casa fin da giovane."
Nel susseguirsi dei capitoli mi è stato facile affezionarmi ai protagonisti, anche a quelli secondari, o forse soprattutto a quelli secondari, come le "nonne", Lucertola e "Quodsi la pazza". Gli eventi storici reali si intrecciano mirabilmente con le storie personali. I capovolgimenti del regime trasformano i protagonisti fino al punto da metter contro amici e parenti, portandoli ai gesti estremi delle torture e delle condanne a morte. Sicuramente uno dei romanzi "assorbilibreschi" che mi è piaciuto di più negli ultimi tempi.
Alberto (sì): Ho letto questo romanzo con un coinvolgimento particolare, visto che anni fa, all'inizio della mia carriera, ho collaborato per cinque anni con una giovane collega iraniana, rifugiata in Italia in seguito a una condanna a morte pendente sulla sua testa (unica sua colpa, quella di aver partecipato a due eventi pubblici della sinistra iraniana). Alcuni elementi del libro confermano le storie che mi raccontava la mia collaboratrice: ai tempi dello scià gli iraniani conducevano una vita decisamente migliore e più libera rispetto al contesto oppressivo seguito alla rivoluzione khomeinista. In questo romanzo c'è sicuramente una forma di nostalgia per i tempi passati. Ho notato e apprezzato inoltre l'uso non lineare del tempo: ad esempio, Shabal parla dello sbarco sulla luna del 1969, poi si parla della poetessa e della cantante di moda a Teheran, entrambe però morte ben prima dello sbarco sulla luna. Davvero misterioso il personaggio di Shabal: sicuramente un alter ego dell'autore, ma chissà quali episodi narrati sono davvero accaduti nella vita reale.
Adriano (sì): Questo è uno di quei libri che mi fanno capire la storia meglio di quanto potrebbe fare un libro di storia. La colonna portante dei personaggi del romanzo attraversa le vicende di un periodo storico interessante. Sono principalmente i sentimenti dei personaggi a dar vita alla narrazione, piuttosto che la sequenza degli eventi. Il romanzo non ha una scrittura lirica, però contiene immagini liriche: che ne sono tante, belle, come l'episodio in cui le donne catturano gli uccelli per studiarne la forma e disegnare le loro ali nei tappeti, oppure quando Aga Jan ritrova la tomba del figlio su un terreno coperto di fiori di mandorlo. Davvero intensa la sequenza degli ultimi momenti prima della fucilazione del fratello, convinto si trattasse tutto di una finta, di una messinscena per spaventarlo. Emblematica la frase "il momento in cui chi aveva la maschera la toglie e chi non l'aveva la mette". L'autore riesce in un'impresa assai difficile: dare al libro un lieto fine non banale.
Marinella (sì): Non parla di argomenti che mi interessano e sono partita molto prevenuta, sbagliavo perché è invece un libro interessante con molti bellissimi personaggi e storie. Partire con pregiudizi è sempre sbagliato…
Prossimo libro: "La ricreazione è finita" di Dario Ferrari (preferito a "Canne al vento" di Grazia Deledda e a "Dossier Odessa" di Frederick Forsyth)
Prossima proponente: Marinella
Prossimo incontro: 25 luglio