Sì: Marinella, Adriano, Sonja, Oscar, Alessandro, Katia, Alberto
No: Pierpaolo, Luisella
Marinella (sì, proponente): Il libro é stato letto dal gruppo nato da una nostra costola, gli Indisciplinati, me ne avevano parlato molto bene e me l'avevano prestato. Non avevo mai sentito parlare di questa bellissima opportunità che era stata data ai bambini più svantaggiati in un periodo così difficile della nostra storia. Questo era stato il mio primo motivo di interesse cui erano seguite poi la bella scrittura e la bella analisi di tutti i personaggi. Amerigo l'ho amato, quasi quanto Useppe...
Oscar (sì): Ho ascoltato questo libro su Audible, abilmente interpretato dall'attore Fabio Zulli. Molto bella e autentica l'ambientazione a Napoli, con la cruda realtà dei "bassi", ma anche con la dignità dei protagonisti. Impareggiabili i confronti tra la Pacchiochia e la Zandragliona, versioni femminili e napoletane di Peppone e Don Camillo. Un libro che mi commuove già merita, di per sé, un grosso "sì", ma la storia di Amerigo mi ha toccato doppiamente, facendomi provare un forte senso di immedesimazione (so cosa vuol dire lasciarsi alle spalle un contesto "stretto" per costruirsi una vita altrove, tornare in seguito sui posti della propria infanzia e sentirsi un estraneo in patria).
Alessandro (sì): Ad Alessandro il libro è piaciuto per tre motivi principali. In primo luogo, le vicende narrate lo hanno profondamente commosso. In secondo luogo, anche se non ha mai letto il libro "Cuore", il racconto gli ha trasmesso un sentimento spesso attribuito a quest'ultimo, portandolo a percepire un senso di irrealtà in cui tutti i personaggi sono fondamentalmente buoni e le difficoltà si risolvono sempre. Infine, il terzo aspetto riguarda il legame tra Amerigo e sua madre. Altri elementi che ha apprezzato sono stati l'ambientazione a Napoli, lo stile narrativo spesso divertente (nelle prime parti), e le riflessioni sulla solidarietà, il rapporto tra Nord e Sud e il legame tra povertà e carità.
Sonja (sì): Il libro è stato per me una scoperta e una rivelazione. Ignoravo infatti che subito dopo la guerra era stata messa in atto questa iniziativa, lodevole e utilissima allo stesso tempo anche se fortemente criticata da una certa fazione clericale. Ignoro il motivo per il quale non si è poi continuato su questa linea, ma vista la successiva fioritura di campi estivi per i bambini delle famiglie meno abbienti gestiti la maggior parte dalle parrocchie, la risposta mi è piuttosto chiara. Inoltre il libro è scritto molto bene, soprattutto la prima parte, quella dedicata all’infanzia di Amerigo. L’autrice è in grado di immedesimarsi nella psiche e nel modo di pensare di un bambino e lo descrive con arguzia e maestria, come il gioco che Amerigo fa assegnando punteggi alle scarpe oppure lo stupore quando gli fanno mangiare del prosciutto rosa pieno di macchie bianche e un formaggio molle che “fète di piedi”.
Lo stacco dall’infanzia al mondo adulto è forse un po’ troppo brusco e inaspettato anche perché Amerigo è completamente cambiato: dal bambino vivace e curioso è diventato un adulto introverso e scontroso. E non si capisce perché dato che è un uomo realizzato: con l’aiuto della famiglia che lo aveva accolto è diventato un violinista famoso coronando il sogno della sua vita. Ma questo secondo me chiarisce anche l’idea che il libro vuole trasmettere, l’idea di quanto importanti possono essere le relazioni umane e quanto sono invece fragili e instabili i sentimenti e uno spiraglio per uscire da questa chiusura gli viene offerto dal vivace nipotino che tanto gli assomiglia…. ma questa è un’altra storia.
Pierpaolo (no): Sembrerà che io abbia letto un altro libro rispetto a voi.
No, perché è una storia non originale, ripresa pari pari da numerose fonti, non citate, al punto di replicare pedissequamente nomi e circostanze della vita di personaggi reali, in qualche caso ancora viventi, senza nemmeno il buongusto di ricordarli o ringraziarli in qualche modo.
Dove poi la scrittrice si allontana dalle sue fonti cronachistiche, apriti cielo, valangate di zuccherosità, buoni sentimenti, happy ending e carrierone che attendono quasi tutti i nostri scugnizzi: primo violino, concertista di grido, giudice, e perché non primo ministro o presidente della Repubblica? Insomma, una favoletta edificante.
Ma già prima di accorgermi della mancanza di rispetto per le fonti della scrittrice o di arrivare ai capitoli che raccontano la maturità carica di onori dei personaggi, già mi aveva irritato il tentativo letterariamente assai furbetto di descrivere il mondo con gli occhi del bimbo Amerigo. Difficilissimo, infatti, essere credibili in un compito di questo tipo, e la scrittrice per me non ce la fa.
Un'altra motivazione della mia contrarietà è lo sfondo di una Napoli che mi pare stereotipata, nei primi capitoli del libro. I bassi con la Genovese che bolle, il Cristo velato...
Mi meraviglio anche che ci sia l’Einaudi, con la sua tradizione nobilissima, dietro a una operazione editoriale di questo tipo.
Chi tra i fondatori, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Luciano Foà, Giulio Bollati, Italo Calvino, chi tra loro avrebbe mai potuto avvalorare la pubblicazione di un libro come questo, Il treno dei bambini, che non rispetta minimamente l’approccio storico e rispettoso delle fonti che era tipico di quella casa editrice?
Se devo trovare qualcosa di positivo, allora lo cercherò nel fatto che il successo, per me immeritato, di questo volume, ha almeno riportato alla piena luce questo episodio, che è giusto che sia conosciuto oggi quanto più possibile. Speriamo possa avere un effetto positivo sui lettori.
Luisella (no): Inizialmente il mio era un Nì. Non avevo mai sentito parlare di questo episodio storico che ha coinvolto 70-80.000 bambini, ed ero grata a Marinella che mi dava occasione di colmare questa lacuna. Inoltre provavo simpatia e tenerezza per Amerigo e calda partecipazione per le sue vicende. Il libro si fa leggere, è molto scorrevole. A me non piace lo stile, ma ammetto che sia una lettura che dà soddisfazione, perché le pagine camminano veloci.
Ma... Ma.
Non sono questi i criteri con cui giudico un libro: non chiedo che mi sia scorrevole e comodo, e non chiedo di provare necessariamente simpatia per il personaggio.
Per quanto riguarda lo stile, trovo che sia sempre difficilissima (e rischiosa) la scelta di un autore ovviamente adulto che tenta di parlare con voce di bambino. I piccoli stratagemmi, direi “mezzucci” - come usare vocaboli semplici o sbagliare apposta i congiuntivi - non funzionano.
L’infanzia è un tempo miracoloso, di energia impetuosa, intelligenza fulminante, spirito di osservazione e curiosità spinti al massimo grado, come forse mai più nella vita. Ma purtroppo credo che questo “vulcano” non possa essere tradotto in parole da un adulto che parla in prima persona. Ovviamente si può descrivere l’infanzia, certo, (grandissimi autori l’hanno fatto) ma preferisco che sia scelto il narratore onnisciente, extradiegetico, che può descrivere – e meglio - ogni cosa e ogni sentimento senza doversi servire di questo linguaggio finto-infantile e macchiettistico. Secondo me, Ardone poteva eventualmente passare alla prima persona nella quarta parte, in cui Amerigo è adulto. Sarebbe servito anche da stacco, non solo temporale, ma anche stilistico appunto.
Comunque, fino a queste riflessioni, ero appunto sul "ni".
Poi è emerso qualcosa che mi ha precipatata verso il NO. Un "no" pieno di sgomento per una realtà editoriale che mi rattrista.
Mi spiego: se siete incuriositi dalla vicenda e cercate un po’ in rete, vi sarà facile scoprire che nell’opera di Viola Ardone non c’è niente di originale. Ci sono ben altre fonti da cui l’autrice ha attinto a piene mani, senza mai dire grazie.
1) Giovanni Rinaldi, storico, ricercatore, esperto di tradizioni etniche pugliesi, ha pubblicato nel 2009 il libro “I treni della felicità”.
2) Gaetano Macchiaroli, che ha ideato questa grande e generosa iniziativa, editore, intellettuale, antifascista molto importante, morto nel 2005, ha scritto delle memorie che Ardone ricalca in maniera imbarazzante, episodio per episodio. E il solo omaggio che Ardone gli fa è di due righe, quando lo fa salire sul treno alla partenza.
3) C’è un documentario che si intitola “Pastanera” con la regia di Alessandro Piva.
4) C'è una tesi di laurea di una ragazza di Ancona
Ecc ecc... tante altre fonti…
Ora sarebbe noioso elencarvi tutte le parti che Ardone ha copiato (ripeto e sottolineo: episodio per episodio!)
Vi invito a visitare il sito giorinaldi.com per leggere da soli il dossier dedicato al confronto tra i testi.
Tutte queste fonti, Einaudi ha ben pensato di non citarle. Quando alla fine, sollecitata da più parti, probabilmente minacciata da azioni legali, alla NONA edizione ha finalmente messo due pagine di bibliografia, lo ha fatto in modo incompleto, con un ringraziamento tardivo e ambiguo di Viola Ardone, e peraltro solo nelle edizioni italiane (le traduzioni non riportano questa bibliografia).
Insomma, trovo che sia un’operazione disonesta e di cui francamente non capisco il senso.
Per non parlare del fatto che tutti sono esistiti o vivono tuttora: Maddalena Criscuolo esisteva (cognome vero Cerasuolo), esisteva la Pachiochia, e ci si è ispirati ad un bambino vero. Il vero Amerigo (bimbo pugliese, approdato ad Ancona) si chiama Americo ed è ancora vivente e io davvero non capisco come ci si possa permettere una tale intrusione a gamba tesa nella vita e nella memoria di tante persone reali.
In particolare vi invito a leggere: https://giorinaldi.com/2024/07/10/americo-marino-viola-ardone-ha-romanzato-la-mia-storia/
Americo tra le altre cose ha detto questo:
"Il personaggio principale del romanzo “Il treno dei bambini”, che avete letto, sarei io. [...]
Viola Ardone ha romanzato la mia storia, mescolando realtà a fantasia, ma una fantasia negativa la sua e a me nociva, senza peraltro avermi chiesto nessuna autorizzazione. Contrariamente a quello che scrive la Ardone, io non ho mai tagliato la coda ai topi per farli somigliare ai criceti, non ho mai raccolto stracci e mia madre non era una poco di buono, né analfabeta, non aveva un amante e non faceva il contrabbando. Era una donna seria, rispettosa del prossimo e soprattutto fedele.
Avere umili origini contadine non dà il diritto ad essere discriminati e denigrati e quindi per questo non merito di passare per ciò che non sono.
La Signora Ardone si difende dicendo che io sono partito da San Severo e i suoi bambini da Napoli, che il suo personaggio è diventato un violinista ed io invece barbiere.
È vero, [...] però lei nel suo libro mi chiama con il mio vero nome, Americo, e nomina Derna la famosa sindacalista e partigiana di Ancona che mi ha accolto. Inoltre nelle sue prime interviste ha ammesso che sono io il bambino. Quindi da parte della Ardone c’è stato più volte un comportamento contraddittorio.
Non credete a tutto ciò che ha scritto Viola Ardone, perché ha messo in cattiva luce me e la mia famiglia e sono molto amareggiato per questo.
L’aspetto economico derivante dalle vendite di un libro ha oltrepassato quel briciolo di umanità e sensibilità nei miei confronti"
Mi chiedo con incredulità come e perché sia nato questo libro. Perché non inventare serenamente un personaggio e una famiglia veramente di fantasia? Perché appoggiarsi su qualcosa che era già stato abbondantemente documentato, usando addirittura dei nomi particolari e riconoscibili (come Derna, nome certamente non consueto)?
Ma Viola Ardone probabilmente ha questo vizio di "ispirarsi liberamente" a qualcosa. Lo ha fatto anche con il romanzo "Oliva Denaro" (posso aggiungere che questo giochetto anagrammatico tra autrice e personaggio, Viola-Oliva e Ardone-Denaro, fa veramente ridere?). Lì si è ispirata alla vicenda di Franca Viola. Ma dico io: Franca Viola rappresenta una pietra miliare della storia sociale e della giurisprudenza italiana. C’è bisogno di scriverci qualcosa di "liberamente ispirato"?
Insomma, mi sembrano delle (discutibili) operazioni organizzate a tavolino su argomenti che evidentemente "tirano". Pubblichiamo qualcosa sulla faccenda dei treni, scopiazzando allegramente i documenti, ma facciamolo dal punto di vista del bambino, che piace e fa tenerezza al pubblico... Pubblichiamo qualcosa sulla povera ragazza rapita e violentata che si ribella al matrimonio riparatore (anche questo rigorosamente in prima persona, per creare una facile empatia).
Proprio stasera scopro che l'ultimo suo libro, "Grande meraviglia", parla di manicomi. Ma che combinazione: nell'anno di Basaglia, Ardone sente questo casuale trasporto per l'argomento...
Di non saper davvero scrivere, Ardone lo dimostra nell’unica parte (cioè la quarta) in cui deve inventare qualcosa. Lo fa in modo troppo rapido e poco credibile. L’uomo che prende il treno per tornare a casa è un uomo quasi “risolto”, che ha scoperto chi è suo padre, che è pronto a nuovi affetti per il fratello e per il nipotino, ed è riappacificato con la figura della madre e con la stessa città natale. Persino il violino e la scatola di metallo con i suoi piccoli tesori, ha ritrovato.
Ai libri io chiedo verità, non favolette a lieto fine. Nella vita le distanze non si colmano, i vecchi silenzi non si sanano, la rabbia portata in cuore da una vita difficilmente si sopirà. Non così velocemente, almeno. Uno scrittore vero dovrebbe saperlo.
Di favola sa anche il fatto che Amerigo sia diventato – guarda caso! - un violinista famoso. Non bastava un professore d'orchestra che vive dignitosamente di musica, eh no…
Sono comunque lieta di aver letto il libro e ringrazio molto Marinella per avermi dato modo di imparare qualcosa di nuovo e anche di riflettere su questa (bizzarra, secondo me) vicenda editoriale.
Prossimo libro: "Gentiluomo in mare" di Herbert Clyde Lewis (preferito a "Marcovaldo" di Italo Calvino e a "La Gang del pensiero" di Tibor Fischer)
Prossima proponente: Katia
Prossimo incontro: 25 ottobre