Sì: Adriano, Alberto, Gabriella, Luisella, Marinella, Oscar
Nì: Pierpaolo
Oscar (sì, proponente): Mi sono imbattuto in questo libro per caso, ma nel giro di poche pagine ho capito che non sarei riuscito a dimenticarlo facilmente. Lo stile di scrittura ricercato, la ricostruzione del contesto storico, la storia intensa e disperata di Lucia e Giuseppe, sono stati gli elementi che mi hanno legato a questo libro e che mi hanno fatto pensare: "bisogna assolutamente proporlo agli Assorbilibri".
Gabriella (sì): Il libro mi è piaciuto, a iniziare dallo stile di scrittura: tanti i passaggi intensi che ti entrano nell'anima. Ho apprezzato anche la scelta di organizzare il libro in capitoli corti. L'autrice ci porta a scoprire, con le sue ricostruzioni, i suoi due genitori naturali. Bellissimo il personaggio della madre, un'eroina di quei tempi. Quanto coraggio ha richiesto il fuggire dalla sua famiglia, dando alla luce e allevando la sua bambina, nonostante tutte le difficoltà. E poi, purtroppo, la straziante decisione finale, perché evidentemente non era possibile fare altrimenti. Verso i 3/4 del libro mi è parso di notare delle ripetizioni, ma probabilmente l'autrice sentiva il bisogno di sottolineare alcune cose. Ad ogni modo, mi è piaciuto tantissimo.
Adriano (sì): La Calandrone (che non conoscevo) scrive bene: è attenta alla costruzione delle frasi, pur se a volte con qualche eccesso e con un certo autocompiacimento (cosa che può succedere a chi ha uno stile di scrittura molto curato). Comunque il libro mi è piaciuto, mi è piaciuta l'impostazione. Fa tanta tenerezza la necessità di ricostruire le figure della madre e del padre, con una dignità estremamente forte. Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare da uno spettacolo TV (tipo "C'è posta per te", di Maria De Filippi) con una figlia che accusa la madre di averla abbandonata, nel libro c'è un chiaro tentativo di nobilitare la figura materna, tentativo portato avanti con stupefacente serenità e affetto. Mi è piaciuta molto la fase iniziale, in cui la Calandrone, attraverso le ricerche storiche e le testimonianze dei parenti, descrive il territorio e il contesto sociale molisano, cioè la realtà in cui viveva la madre da bambina. È meno efficace nella seconda parte, quando cerca di ricostruire le motivazioni dietro il doppio suicidio dei genitori e la sequenza dei tragici eventi. Per il resto ho trovato il libro in certi passaggi commovente e a tratti ben scritto.
Luisella (sì): Il mio è un "sì" pieno ed entusiasta. Grazie Oscar per questa proposta.
Conoscevo Maria Grazia Calandrone per aver letto "Ho camminato nel mondo con l'anima aperta", un libro sulla poetessa Nella Nobili (morta suicida nel 1985 e quasi del tutto dimenticata), di cui Calandrone ha curato la parte biografica, restituendo magistralmente la vicenda umana e poetica di questa autrice. È una lettura che vi consiglio, anche per rendere omaggio a una persona che è rimasta sempre ai margini dei circoli "bene" della poesia: veniva definita la poetessa-operaia, perché appunto di estrazione povera e perché lavorava in fabbrica, e quando fu introdotta in certi salotti (di Maria Bellonci, ad esempio) fu trattata con sufficienza o come un fenomeno da baraccone. È una figura che mi ha molto commossa, anche perché qualche volta ho toccato con mano (e subìto) la superbia snob di alcuni giri poetici...
Insomma, conoscevo e apprezzavo già Calandrone e quindi mi sono avvicinata al libro molto ben disposta. Ma la lettura si è rivelata ancora più inebriante di quanto prevedessi.
Il libro mi è piaciuto moltissimo, sia per lo stile che per il contenuto.
Parto dallo stile. Adoro che Calandrone, da raffinata poetessa quale è, abbia una cura maniacale per le parole. Sceglie aggettivi sostantivi virgole punti cesure ecc. con una ponderatezza che raramente vedo in autori contemporanei (e che mi è molto mancata il mese scorso, con il libro di cui avevo lamentato la sciatteria). Qui l'amore per la lingua italiana è evidente e quasi commovente.
In un certo senso, Calandrone lo dichiara a pagina 11 (mi riferisco all'ed. Einaudi rilegato) quando usa la parola "sterpa" e spiega: "ho scritto sterpa per dire sterpaglie e steppa insieme". È come se volesse avvisarci: guardate che io scrivo così, scelgo le parole per una ragione precisissima, soppeso il loro suono e il loro significato; non ve lo dirò più, ma prestate attenzione dunque, fatevi domande su ogni vocabolo usato.
E di domande me ne sono fatte tante. È una lettura non passiva, che interroga il lettore e lo chiama ad un lavoro partecipe. Porto un solo esempio (ce ne sarebbero centinaia): a pagina 239, "Lucia era libera perché aveva cuore. Quello che ancora splende, irreparabile". Perché quell'aggettivo "irreparabile"? Di solito, lo usiamo per un errore o per un guasto. Perché usarlo per definire un cuore? Ho immaginato che il sottotesto dicesse questo: un cuore sensibile, come quello di Lucia, è un cuore che facilmente viene ferito, e le ferite sono – appunto - irreparabili. Non so se sia l'interpretazione giusta, ma fare questo continuo gioco, in cui come lettrice vengo chiamata a riempire il non detto, è un'attività che mi esalta.
Certo, in alcuni momenti, può sembrare che Calandrone si autocompiaccia di quanto sa scrivere bene, ma tant'è, è vero, perciò quando capita glielo perdono.
C'è un punto in cui parla di "pellicola occidua del tempo"... Occidua: obsoleto termine per occidentale. Sembra solo un esercizio di bei suoni... Invece basta pensarci un momento e il significato appare chiaro: a occidente finisce il giorno... La pellicola del tempo non può che essere occidentale, dunque, nel senso del sole che cala, un sole dopo l'altro, del giorno che finisce, un giorno dopo l'altro...
Ma al di là dello stile, anche il contenuto del libro mi è piaciuto moltissimo. Mi fa tenerezza l'ostinazione della sua ricerca, così rigorosa e amorevole allo stesso tempo. Sentimentale senza mai diventare patetica, disciplinata senza mai diventare fredda. Io sono sempre molto attratta da libri che parlano delle cose, delle cose che sopravvivono alle persone (oggetti, documenti, in questo caso anche articoli di giornale, orari di corriere, verbali di Procura o di brefotrofi...) perché mi illudo che una ricerca attenta possa restituire le pieghe di ogni vita. È illusione appunto, perché il tempo si divora tutto ed è difficilissimo ricostruire la verità di eventi lontani o di persone defunte, ma mentre leggo godo di questa illusione confortante e bella, di cui sono grata.
Mi piace che (contrariamente al libro di B. Bianchi in cui non ci si avvicinava per nulla alla psicologia di S.), Calandrone tenti in ogni modo di entrare nella testa e nell'animo dei suoi genitori naturali con amore e comprensione, senza mai un rancore (che pure avrebbe potuto legittimamente avere), senza mai farsi vittima (povera infante abbandonata).
Mi piacciono alcune immagini che restano vivide e struggenti, come a pagina 143 in cui si immagina il cane Topolino scodinzolare sotto terra facendo tremare un cespo di rose.
Mi piace anche che, là dove si deve, venga recuperato il linguaggio della scienza (ad esempio della medicina legale per descrivere la decomposizione dei cadaveri) senza tuttavia perdere di intensità e e partecipazione.
Infine, come tutti i buoni libri, anche se parla di cose che non mi riguardano, in realtà mi mette a confronto con dolori e intimità miei. Come a pagina 93: "Soltanto i fatti dicono chi siamo, lo dicono per primi a noi stessi. Noi, che siamo la nostra sorpresa"... E io rifletto su quanto sia vero!
La lettura di Calandrone non finirà qui, ho già preso l'altro libro, "Splendi come vita", in cui racconta del rapporto (tenero e difficilissimo insieme) con la mamma adottiva.
Pierpaolo (nì): Eccomi a parlare dopo Luisella, che ha smontato metodicamente tutte le mie obiezioni al libro, conoscendole bene. Ad ogni modo, non me la sono sentita di esprimere un "no", visto che la Calandrone si è cimentata in un'operazione di recupero o di invenzione memoriale di questa profondità e tenerezza. Ha ridato la voce a chi ha parlato solo attraverso una lettera inviata all'Unità. Ha ricostruito la psicologia dei suoi genitori attraverso poche testimonianze e tanta comprensione umana, pur essendo stata abbandonata e avendo il diritto di provare risentimento.
Le mie considerazioni non positive riguardano invece la forma, lo stile. Ho avuto difficoltà, in alcuni punti, a capire il nesso tra le parole all'interno della frase. Non mi sono piaciuti i capitoli corti: preferisco libri con capitoli più lunghi, che sviluppano la narrazione e arrivano a un punto fermo, che poi viene ripreso nel capitolo successivo.
Lo stile della Calandrone è fatto di frasi molto lunghe, piene di subordinate, di rinvii interni e di vocaboli desueti. Secondo me si tratta di calligrafismo, cioè di volontà di stupire il lettore con parole ricercate, usate come dimostrazione di abilità.
In alcuni punti invece riesce a essere lineare e diretta, facendo commuovere il lettore. Come nel passaggio in cui la madre della Calandrone torna a visitare i genitori per l'ultima volta: il suo cane Topolino era morto e la scrittrice descrive questo roseto che si agita, mosso da sotto, dal cane morto che scodinzola.
Anche la forma complessiva mi ha lasciato perplesso. Lo si potrebbe definire un prosimetro: non è un romanzo, non è poesia. L'autrice è certamente ambiziosa: vuole innovare, mettendo insieme lirica, prosa lirica, ricostruzione giornalistica, reportage, sociologia e storia. Usa articoli di giornali, missive, fotografie, mappe geografiche da lei disegnate. Ma il risultato non mi ha convinto. Mi rendo conto comunque che sarebbe stato difficile fare di meglio, visto il materiale che la Calandrone aveva a disposizione.
Alberto (sì): Inizialmente avevo deciso di non leggere il romanzo della Calandrone, a causa dell'esperienza pesante con il precedente libro di Matteo B. Bianchi, anch'esso basato sulla vicenda di un suicidio. Poi, giorni fa, Adriano mi ha detto che c'erano passaggi interessanti sul Molise (la mia regione) e veniva addirittura citato il mio paese: Agnone. Ho quindi acquistato il libro e l'ho letto con grande interesse.
Le coincidenze con la mia vita sono state diverse: la storia era ambientata anche a viale Monza, a Milano, non molto lontano dalla casa milanese in cui ho abitato per qualche anno, e poi anche a Roma, dove ho vissuto per cinque anni. Ho trovato molto belli i numerosi passaggi commoventi, con la ricostruzione della vita dei genitori naturali della Calandrone. E non mi ha disturbato lo stile poetico, che era coerente con il talento dell'autrice e con il contenuto narrato.
Un'altra incredibile coincidenza è stata scoprire di aver abitato per anni accanto alla madre adottiva della Calandrone, Consolazione Nicastro, amministratrice del condominio in cui vivevo a Roma. Ho quindi acquistato il libro "Splendi come vita", in cui la Calandrone parla della sua madre adottiva, e ho apprezzato tantissimo anche questo secondo libro, al punto da leggerlo tutto d'un fiato in un giorno solo.
Prossimo libro: "Maria Zef", di Paola Drigo (preferito a "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello e a "La luna e i falò" di Cesare Pavese)
Prossima proponente: Gabriella
Prossimo incontro: 28 giugno