Il 25 aprile
in rima...

Su indicazione e richiesta di Lorella Delucchi, riproponiamo una celebre poesia di Gianni Rodari con relativo commento...

“La madre del partigiano”: la poesia di Gianni Rodari dedicata al 25 aprile

In occasione della ricorrenza del 25 aprile riproponiamo la lettura di una celebre poesia di Gianni Rodari, “La madre del partigiano”, che molti avranno senz'altro imparato a memoria alle scuole elementari. Parole sempre vive, cariche d'emozione e commozione, che è bene tramandare alle nuove generazioni.

Il significato del 25 aprile si impara sui banchi di scuola, alle elementari, quando a poco a poco inizia a emergere nella mente nebulosa dell’infanzia una forma di coscienza individuale e politica.
Sono sempre molte e varie le letture, le attività e le conferenze promosse dagli istituti scolastici in questa giornata. Eppure è innegabile che il significato del 25 aprile si apprende soprattutto grazie alle storie, alle testimonianze e, immancabilmente, alla poesia.          

Una tra le letture più ricorrenti nelle scuole in questo periodo è una bella poesia di Gianni Rodari, intitolata "La madre del partigiano" che con parole semplici e particolarmente evocative riesce a fare breccia nell’immaginario dell’infanzia.
Come pedagogista Rodari sapeva bene descrivere la realtà della guerra e della morte trasformandole in una fiaba genuina, capace di dare un valido insegnamento pur senza suscitare orrore e terrore.

Rodari in questo componimento tramuta il sangue versato per la patria in un fiore vermiglio che ancora oggi ci parla con la forza evocativa di un simbolo.

Il testo è contenuto nel libro "Grammatica della fantasia" (Einaudi, 1973).

Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.

Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.

Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà. 

Gianni Rodari riesce a descrivere una realtà drammatica rendendola poetica. In questo testo dà voce a una madre che ha patito il più atroce dei dolori: la perdita di un figlio. Con rara intelligenza narrativa, l’autore trasforma il suo pianto in un’invocazione a favore della libertà e, con lo stesso processo di ribaltamento, la morte in vita.

Nella prima strofa Rodari si serve del contrasto come espediente descrittivo: il rosso del sangue appare in rilievo sul candore della neve. La contrapposizione sembra porre in evidenza l’ingiustizia della morte e l’innocenza della vittima cui è capitato quell’infausto destino. Le parole della madre dolorosa appaiono ridondanti come un canto, una specie di nenia, che tuttavia nell’avanzare assume via via il ritmo di una marcia patriottica. La parola “libertà” ricorre significativamente tre volte, a ogni capoverso, come a scandire il tema fondante del testo.

Nella seconda strofa avviene la metamorfosi del sangue in un fiore vermiglio, il papavero simbolo del 25 aprile e dei caduti in nome della libertà. Il fiore che appare allo sciogliersi della neve diventa anche metafora di rinascita.

A questo punto l’appello della madre sembra rivolgersi direttamente alle nuove generazioni, ai nuovi nati, cui raccomanda di non dimenticare il sacrificio di suo figlio e di continuare anche in suo nome la lotta per la libertà che lui ha conquistato a prezzo della vita. Quella raccomandazione a “non strappare il fiore” è ancora una volta simbolica e sembra rivolgersi a tutti noi, divenendo un appello alla memoria in occasione del 25 aprile.

Infine, nella terza strofa, viene ripercorsa la storica avventura della Liberazione. La poesia ci riporta indietro nel tempo, a quell’incredibile primavera del 1945, che segnò la fine del nazifascismo nel nostro Paese.

Ecco che allora il giovane partigiano, vittima dell’artiglieria tedesca, viene eletto “guardiano della libertà”: il suo corpo ora riposa sotto la neve dei monti, ma il suo spirito rimane come intrappolato in quel luogo a fare da vedetta e a vigilare ancora.

Degno di nota è l’uso che l’autore fa delle varie sfumature cromatiche in questo brano: la neve “bianca”, il sangue “rosso” e infine i monti “azzurri”. In quell’azzurro che emerge cristallino negli ultimi versi, Rodari sembra riporre un presagio di speranza, non c’è alcuna oscurità, neppure nella morte. È come se il partigiano avesse assolto il proprio compito, elevandosi verso il cielo proprio come le vette dei monti che si smarriscono nell’azzurro.


Gianni Rodari associa alla parola “libertà” un obbligo della memoria, che ogni 25 aprile deve tornare viva, perché non si scordi il sacrificio di migliaia di partigiani che si batterono in nome di un ideale.

La libertà dunque non è percepita come una parola astratta, ma un obbligo morale: finché la Libertà continuerà a vivere i partigiani non saranno mai morti, e persino il dolore straziante di una madre potrà trovare consolazione.