Gli interventi in dissenso....

Non compilo il sondaggio ma invio alcune riflessioni sulla DAD.

Questo tipo di didattica accentua tutti i difetti dell' insegnamento fatto con lezioni frontali che non riescono a coinvolgere l'interesse individuale e collettivo.

La separazione degli alunni,a parte la difficoltà di far giungere a tutti una certa quantità di contenuti e informazioni impedisce la circolazione dei modelli intellettivi che sono importanti nella classe.Eminenti studiosi hanno richiamato l'importanza del gruppo classe per un vero arricchimento delle conoscenze.

L'uso della DAD in circostanze eccezionali può essere utile ma non riesce a coinvolgere la totalità degli alunni e la cosa più negativa e quella di perdere gli alunni più in difficoltà .In assenza di un gruppo e di una classe mancano gran parte degli stimoli che rendono viva l'intelligenza ,mancando confronto ed emulazione i singoli alunni non si rendono conto neppure di come procede la loro attività intellettiva. Io vorrei impegnarmi per una scuola vera fatta di esperienze ,relazione ,condivisione ed emozioni!!!

Lorella Delucchi – insegnante di scuola dell’infanzia

Cassego, 1giugno 2020

Gentile comitato di redazione,

rispondo all’invito a commentare la vostra “proposta per la scuola del futuro”. Apprezzo ogni slancio e ogni attenzione rivolta al mondo della scuola, e vi ringrazio quindi per questa iniziativa.

Chiedo scusa se non impiego lo schema che allegate per rispondere; mi sembra un modulo molto utile per mettere a fuoco le obiezioni sui dettagli della proposta, ma credo sia altrettanto inadatto a discutere la proposta nel suo complesso.

Chiedo scusa inoltre se quel che scrivo potrà sembrare categorico e indelicato. Data la mia limitatissima esperienza come insegnante potrebbe apparire irrispettosa e arrogante la mia pretesa di contraddire e criticare il lavoro di persone più esperte e preparate di me. Vorrei sottolineare che non è questa la mia intenzione, e la mia fermezza deriva soltanto dalle evidenze di cui sono testimone e dalla convinzione con cui sostengo alcuni basilari principi democratici, che peraltro credo di condividere con voi.

Tutto ciò premesso, posso ora esprimere con franchezza lo sconcerto per questo vostro tentativo di normalizzazione della didattica a distanza. La nave della scuola pubblica è stata sventrata dall’impatto con l’iceberg quarantena, e la Dad è stato il secchio con cui abbiamo cercato di svuotare la stiva e di stare a galla per un quadrimestre. La Dad è una modalità adatta alla

formazione superiore degli adulti: contesti in cui la didattica è trasmissiva, la relazione tra i discenti è trascurabile, l’autonomia emotiva e tecnologica degli studenti è completa.

Più ci si allontana da queste premesse, più la Dad diventa uno strumento improprio e grottesco: carente alle scuole superiori, drammatico alle medie, assurdo alla primaria, senza neppure parlare della scuola dell’infanzia. Infatti in questi mesi i danni sono stati incalcolabili sotto ogni profilo: qualità della didattica, della preparazione, della valutazione; efficacia nella relazione con e tra gli studenti; stress psicofisico di bambini e ragazzi, isolamento emotivo; abbandono delle fasce più disagiate ed esplosione delle disparità socioeconomiche.

È quindi con assoluto smarrimento che leggo della Dad come di una “possibilità in più”. È innegabile che in ogni situazione esistano delle opportunità. Ho avuto casi di ragazzi più produttivi in Dad che in presenza, e ho potuto approfittare del fatto che ogni mio studente di terza media avesse di fronte un pc per avviare un percorso di geografia digitale. Ma questi sono appunto casi

specifici, il cui peso è del tutto trascurabile nel quadro generale. Vorrei inoltre sottolineare che, almeno per gli esempi citati, il valore dell’esperienza in Dad deriva direttamente dalle carenze pregresse della scuola: un difficile inserimento nel gruppo classe nel primo caso, la mancanza di un’aula computer attrezzata e funzionante nel secondo.

L’unica opportunità che la Dad ci ha dato è stata quella di apprezzare il valore inestimabile della scuola tradizionale come mezzo di inclusione, come contrappeso alle ingiustizie sociali, come presidio di cittadinanza e patrimonio di democrazia. La scuola è (stata?) il luogo in cui, per almeno qualche ora al giorno, si è veramente eguali; in cui i bianchi e i neri, i cristiani e gli atei, i maschi e le femmine, i ricchi e i poveri, i forti e i fragili si ritrovano e si riconoscono come cittadini, ognuno con il proprio diritto a un luogo pulito, luminoso, ordinato, all’istruzione e alla cultura, alla compagnia e al confronto con i pari, all’attenzione e alla comprensione degli adulti. Un rifugio da famiglie disfunzionali, dall’isolamento delle comunità chiuse, dalla precoce presa di coscienza di quanto poco valgano nel mondo reale le nostre chiacchiere sull’uguaglianza e sul razzismo.

Tutto questo è annientato dalla Dad, come ha potuto sperimentare chi non ha più visto collegarsi i ragazzi più problematici e marginali, chi li ha visti apparire sgranati e a singhiozzo se abitano nei luoghi più remoti, chi ha intravisto scorci di stanze affollate di fratelli, di televisioni accese in sottofondo, di genitori che urlano. Chi, come me, ha avuto questa sfortuna ha potuto vedere con i propri occhi la morte del progetto democratico di “rimuovere gli ostacoli” e la spudorata ammissione che il fallimento formativo dei poveri e dei fragili sia un destino ineluttabile, uno sgradevole inconveniente di cui nessuno ha colpa.

Mi sono dilungato perché fosse chiaro quale genere di incubo rappresenti per me il prolungarsi di questa situazione e quanta rabbia senta di fronte a ragionamenti vaghi e ambivalenti come quello che introduce le vostre proposte. Qui si parte con una “maggiore flessibiltà” della scuola: che cosa significa, se non che la Dad può in certi contesti sostituire la didattica vera? Questo viene ammesso due righe sotto, salvo far subito retromarcia. L’impressione è che si voglia far passare l’istituzionalizzazione della Dad senza dirlo esplicitamente e senza neppure discuterne le conseguenze più devastanti, al più nascondendosi dietro ad argomentazioni irrilevanti e pretestuose: l’impiego della Dad sarebbe un riconoscimento delle “fatiche” dei docenti nei mesi di emergenza (da non confondersi, beninteso, con un riconoscimento economico).

Ma la Dad non può “arricchire” la scuola tradizionale: può solo sostituirla, del tutto o in parte. Una scuola che impiega gli strumenti digitali per abbattere le barriere non si chiama Dad e non ha niente a che fare con quel che state proponendo: si chiama scuola. Ciò che l’ha spesso resa impossibile non è (solo) la mancanza di competenze digitali dei docenti, ma (soprattutto) la mancanza di mezzi informatici, di tempo-scuola, le paranoie sulla privacy che sino a ieri l’altro rendevano un Vietnam

burocratico perfino le foto di classe, la desertificazione delle esperienze didattiche e il nozionismo imposto dallo spirito dei test Invalsi.

La premessa si chiude confondendo la didattica a distanza con l’acquisizione di competenze digitali.

Io appoggio pienamente un vero percorso in questo senso ma queste competenze, come tutte le altre, possono essere sviluppate soltanto in presenza (e avendo a disposizione i mezzi adeguati). Ci sono istituti che, affascinati dalla confusione tra Dad e competenze digitali, si sono spinti a inserire le competenze informatiche tra i criteri di valutazione degli studenti in Dad: competenze che nessuno aveva mai insegnato!

Da premesse così fumose seguono altre foglie di fico (videocollegare classi di diversi plessi è una trovata da discutere in consiglio di classe, non certo mentre si propone una riforma della scuola in quanto tale) e proposte che non si sa se definire insensate o criminali: usare la Dad, cioè il mezzo più escludente e più incompatibile con le famiglie socioeconomicamente marginali, per seguire i figli degli immigrati? Usare la Dad, che richiede una connessione internet veloce, per le aree decentrate, dove a una significativa frazione dell’utenza non funziona neppure il cellulare? Dove la scuola è il primo ambiente, protetto ma universale, in cui un ragazzo può uscire dalla propria piccola comunità e diventare cittadino del mondo? Usare la Dad, cioè il minimo del contatto umano e del coinvolgimento emotivo, come mezzo di recupero degli alunni in difficoltà? Bambini e ragazzi che, come sa chiunque abbia messo piede in una scuola dell’obbligo, non sono universitari fuoricorso in cerca di un tutor Cepu, ma quasi sempre alunni demotivati ed emotivamente fragili?

Concludendo, spiace dire che tesi simili sono state sostenute dai burocrati della scuola: conformisti privi di idee che, nello spazio di una notte, sono passati dal pontificare sulla valutazione formativa al valutare sul registro prove a distanza fatte in realtà da madri troppo apprensive. La loro priorità è stata mantenere le forme e fingere che tutto continuasse come prima, e attenendosi ciecamente a questa missione hanno avuto il coraggio nel mezzo di una pandemia globale di scrivere sul registro

insufficienze a carico di bambini delle elementari. Questo è il tipo di persona che può credere davvero che il problema delle famiglie svantaggiate si risolva consegnando loro un tablet in comodato d’uso.

La seconda categoria di persone che ha incoraggiato queste posizioni è formata da famiglie benestanti che non hanno problemi di risorse da dedicare all’educazione dei figli, e che sono sedotte dall’idea di proteggerli da contatti indesiderabili, dalle idee diverse dalle proprie e dal rischio del fallimento: non dimentichiamo che non esiste al momento un sistema di valutazione trasparente in

Dad.

Il terzo gruppo su questa linea è composto dagli innovatori a spese altrui, ovvero dagli amministratori, dai politici e dagli intellettuali che basandosi su un’idea di scuola anacronistica e inverosimile e su una imperturbabile indifferenza alle implicazioni politiche e sociali delle proprie idee spacciano per “novità”, “futuro” ed “efficienza” la dismissione dello stato sociale, e quindi dei

diritti dei più deboli. Per costoro la Dad è una formidabile panacea: ai problemi della sicurezza e dell’edilizia, del bullismo, della personalizzazione della didattica, della gestione delle emergenze ambientali, perfino del precariato e della povertà educativa delle aree interne. È sorprendente quanti enormi problemi sociali e politici possano essere risolti con minime misure amministrative, al solo costo di basare tutto il ragionamento su una premessa falsa, ovvero che la Dad possa surrogare la

scuola vera.

Considerando i componenti del comitato che conosco direttamente, non vi credo parte di una delle categorie sopra descritte. Non mi resta quindi che ribadire la mia confusione e di augurarmi di aver male interpretato le vostre intenzioni; spero comunque che queste riflessioni possano essere di qualche interesse per il bene della scuola, cordiali saluti.

Gabriele Filipelli