La generazione Z nella tempesta della rivoluzione digitale


(di Andrea Poggiali)


Come educatori ci troviamo oggi ad affrontare una profonda crisi che serpeggia tra i banchi di scuola. Una crisi che possiamo definire epocale. È oggettivamente innegabile che le nuove generazioni, soprattutto quelle che rientrano nell’arco dell’età adolescenziale, siano percorse da una inedita crisi esistenziale.

Gli indici del fenomeno

Consideriamo il gesto più estremo, quello di togliersi la vita. Secondo le rilevazioni ISTAT ogni anno i suicidi giovanili in Italia sono circa 500 (dati 2011 - 2019). Uno studio comparato effettuato su scala mondiale e condotto da ricercatrici dell’Università di Torino su dati che riguardano circa 70 milioni di adolescenti tra i 15 e i 19 anni evidenzia che nel 2020 vi è stato un incremento dei suicidi giovanili del 10% rispetto all’anno precedente. Emerge inoltre da uno studio condotto in Italia dalla Fondazione Veronesi che in questi ultimi anni sono aumentate del 55% le richieste di aiuto ai vari centri d’ascolto da parte di giovani che pensano al suicidio come una soluzione ai propri problemi esistenziali.

A livello globale, tra i 10 ed i 19 anni, un adolescente su sette soffre di un disturbo mentale. Sono innumerevoli le ricerche effettuate da vari enti autorevoli come Università, Fondazioni e Centri di ricerca che concordano su questo punto. Da esse emerge come depressione, ansia e disturbi comportamentali compresi quelli alimentari e l’autolesionismo, siano tra le principali forme di disagio psicologico negli adolescenti.

Un altro interessante parametro indicativo dello stato di sofferenza psichica è rappresentato dall’abuso di psicofarmaci da un lato utilizzati nella terapia e dall’altro come sostanze psicoattive per lo “sballo del sabato sera”. Un rapporto del CNR evidenzia che il 18% degli studenti delle scuole secondarie ha usato sostanze psicoattive illegali nel 2021 e secondo l’ANSA nel 2020 le prescrizioni di psicofarmaci a soggetti adolescenti (addirittura under 17) per affrontare problemi di ansia e depressione, sono aumentate del 11,6% rispetto agli anni precedenti. Anche l’abuso di alcolici tra i più giovani assolve alle stesse funzioni quelle cioè di anestetizzare il dolore e lenire la sofferenza.

Cartina di tornasole per consolidare ancor più la convinzione che ci troviamo in una situazione difficile è il dato sulla categoria dei cosiddetti neet, cioè giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Secondo dati Eurostat, riportati anche nel report del Consiglio Nazionale dei Giovani, questi   superano il 23% con punte al sud, tra la popolazione femminile, di oltre il 50% (!) mentre la media europea si attesta al 13%.  Certo che il dato non considera il lavoro nero, altro endemico problema italiano, ma i risultati restano drammaticamente significativi.

Un osservatorio privilegiato: la scuola

La scuola è un ottimo punto di osservazione perché raccoglie tra le sue mura quasi tutti gli adolescenti, alcuni li perde, altri li scoraggia, qualcuno riesce a motivarlo (ma questo è più raro). La scuola infatti non è un ambiente neutro. Spesso, in quanto espressione della società adulta e conseguentemente della relativa cultura, attiva meccanismi di competitività incentivando la prestazione e richiedendo lo sforzo necessario per far fronte alla realtà: la costruzione cioè di un futuro professionale e personale che spesso spaventa. Non si può dire infatti che la generazione dei loro padri abbia costruito una società a misura d’uomo, una condizione di felicità o quanto meno di benessere. Il nostro territorio, in linea con il nord ovest, presenta una situazione simile a quella descritta dalle percentuali riportate in precedenza. I referenti scolastici che si occupano di inclusione, gli psicologi che rispondono alle richieste d’aiuto degli studenti presso gli appositi sportelli di counseling e gli insegnanti in genere rilevano un incremento significativo dei disturbi dell’apprendimento e del comportamento che si traducono, quando dichiarati, nella redazione di appositi piani BES che si aggiungono ai piani personalizzati per studenti con DSA. Ad esempio nel liceo in cui insegno sono presenti, a parte i casi di disabilità conclamata, circa 170 casi, disturbi dell’apprendimento e bisogni educativi speciali, che rappresentano nell’insieme più o meno, l’11% della popolazione scolastica. A questi casi certificati si devono aggiungere tutte le problematiche non dichiarate, che vengono gestite singolarmente dalle famiglie senza che la scuola ufficialmente se ne occupi, ma che i docenti affrontano quotidianamente. Intervistando psicologi scolastici e referenti dell’inclusione, ho potuto constatare che la situazione nelle altre scuole non è molto diversa, anzi che il mio è un istituto privilegiato! La cosa sorprendente è che spesso il malessere generalizzato che serpeggia tra i giovani non è sempre collegato a drammi familiari, a gravi malattie o a povertà. Succede anche che chi soffre di questo male esistenziale si trovi in una condizione di discreto benessere economico, di moderato equilibrio familiare e di accudimento da parte dai genitori, almeno da uno di essi visto l’alto numero di separazioni e divorzi.

La ricerca delle possibili cause

Ricordo che qualche anno fa, affrontando il tema del disagio giovanile in psicologia, una mia studentessa mi fece notare che a parlare di giovani erano sempre adulti di una certa età, distanti dalla sensibilità di chi stavano giudicando. Ho preso quell’affermazione come uno stimolo, benché sia condivisibile solo in parte. Forse nell’applicare le consuete categorie psicologiche, pedagogiche e sociologiche ci perdiamo qualcosa. E se perdiamo qualche elemento, è probabile che quello sia un elemento positivo.

Per scrivere un articolo efficace e capace di poggiare i piedi sul terreno della realtà ho intervistato quindi molte persone che girano intorno al mondo della scuola a partire dagli studenti. L’intento di questo intervento è far luce sulle possibili cause piuttosto che fermarsi alla diagnosi del fenomeno. Fare solamente della vittimologia è sbagliato e non muove di un passo le possibilità di intervento.

Vediamo quali possono essere le cause di questa particolare congiuntura. Dall’inizio del terzo millennio ci troviamo tutti a vivere nella quarta rivoluzione industriale, epoca nella quale, secondo un fortunato neologismo del filosofo della scienza Luciano Floridi, la nostra normale condizione è di essere costantemente “on-life”, cioè connessi alla rete. Ci troviamo nell’epoca dei social media fin dal 2004 quando è comparso Facebook ed oggi siamo attorniati, assorbiti e manipolati dalle grandi piattaforme mediatiche che frequentiamo. La generazione degli attuali adolescenti è la prima ad essere cresciuta in un brodo di cultura così pervaso dai nuovi media. Possiamo affermare, con convinzione e dispiacere, che essi sono le cavie di questa grande sperimentazione che sta trasformando il modo di comunicare tra gli esseri umani. L’elemento aggravante è che questa generazione non ha avuto la possibilità di essere aiutata, guidata, difesa dalle generazioni adulte in quanto queste ultime sono impreparate a gestire una forma così nuova di cultura (anzi ne sono anch’esse prede). Le potenzialità e i pericoli della rete sono tanti e spesso invisibili, quindi i ragazzi restano soli ad affrontare la loro rischiosa navigazione. L’aspetto più forte che emerge dalle analisi proposte da molti studiosi, come ad esempio Benasayeg, e confermato nelle conversazioni con studentesse e studenti, è rappresentato dal confronto con modelli di perfezione estetica o performativa inarrivabili. Questo porta a doversi preoccupare costantemente del giudizio degli altri, soprattutto dei coetanei, che sui social è spesso privo di filtri. Se nel confronto reale, faccia a faccia, esistono limiti che la nostra specie ha selezionato nel corso dell’evoluzione, nel mondo social la distanza, la mediazione dello strumento e spesso l’anonimato, tolgono ogni remora ad azioni estreme e a giudizi anche denigratori. La pressione sociale, o meglio social, è forte ed è sicuramente una delle componenti che gravano sull'autostima dei giovani. Solitudine, insignificanza, vuoto esistenziale sono il lato oscuro di un mondo apparentemente luccicante e pieno di possibilità di comunicazione con coetanei in ogni parte del mondo. Gli studiosi del marketing sanno come attivare l’attenzione dei ragazzi proponendo contenuti che stimolano il sistema nervoso e il circuito della ricompensa. I social media come twitter o tiktok tengono il fruitore agganciato con un susseguirsi di contenuti interessanti che generano una realtà alternativa nella quale spazio e tempo assumono ben altra connotazione e l’edonismo impera (anche nelle declinazioni del brutto, dell’eccessivo, del provocante, insomma dell’insolito). Così quando la realtà reale chiama, essa appare più spoglia, meno interessante e stimola molto meno il sistema nervoso, come avviene per le lezioni scolastiche. Una delle forme di disturbo del comportamento infantile più diffuse, non a caso, è la sindrome, denominata dal DSM5, ADHD, cioè disturbo dell’attenzione ed iperattività. Un bombardamento di stimoli sollecita il sistema nervoso abituandolo ad una certa intensità. L’assuefazione ad essi genera reazioni di astinenza nel momento in cui tali stimoli cessano con una dinamica analoga a quella di altre forme di dipendenza. Questo è ciò che accade comunemente nell’entrare ed uscire dal mondo virtuale. Nel prossimo futuro, che è già presente, ci muoveremo in mondi caratterizzati dalla realtà aumentata o del tutto virtuali nel cosiddetto metaverso: è una nuova opportunità, una nuova frontiera e un nuovo rischio per le giovani generazioni.

 Esso rappresenta l’aspetto individuale del fenomeno che colpisce la generazione Z cioè i nati tra il 1997 e il 2012. C’è però anche un lato politico-sociologico della questione. Perché la rivoluzione digitale ha assunto la configurazione che abbiamo, seppur sommariamente, descritto? Perché tende a separare gli individui, a parcellizzarli, a profilarli generando effetti di polarizzazione nelle credenze, nei valori e poi nei comportamenti? Ad esempio chi, in un momento di disperazione, mette in atto rituali autolesionistici e/o guarda filmati in cui si compiono tali atti, entrerà in una spirale perversa in quanto sul suo dispositivo questi compariranno, come irresistibili richiami, con maggiore frequenza.

Seguendo molti analisti critici, come ad esempio E. Morozov, ritengo che questo sia il frutto di politiche neoliberiste ispirate alla mera massimizzazione del profitto e svincolate da ogni limite di sostenibilità sociale e ambientale, che hanno come scopo ultimo quello di manipolare gli individui per fini prevalentemente commerciali e di controllo dei comportamenti.

Se il mondo social ha una buona parte di responsabilità rispetto alla vita dei giovani (ma non solo dei giovani), per comprendere la situazione attuale è forse necessario evidenziare altri fattori significativi: la questione ambientale, le guerre, la competizione per la conquista di status che garantiscano un buon tenore di vita e, non ultimo, la pandemia da covid-19 che viene ricordata da molti ragazzi come un’autentica sciagura. Essere costretti a rimanere chiusi in casa per un lungo periodo, vivere la solitudine e l’abbandono ha esacerbato i problemi già presenti e le tendenze in atto. La paura di vivere si è tradotta per molti in forme di ansia, di depressione e fobia. Tra queste ultime spicca la fobia sociale, o sindrome di Hikikomori che porta chi ne soffre a ritirarsi dal mondo rinchiudendosi nella propria stanza.

Il futuro immaginato dai giovani secondo Umberto Galimberti ha mutato di segno. Eravamo abituati nelle generazioni passate a intendere il futuro come un territorio in cui far crescere i sogni e le speranze: era il futuro come promessa. Oggi i giovani si trovano a doversi confrontare con un futuro come minaccia e questo non fa che alimentare in tanti la fuga verso i mondi apparentemente più confortevoli, quelli del virtuale.

È in questa spirale che va letto il disagio esistenziale di molti giovani.

Corsi e ricorsi storici.

Uno sguardo retrospettivo

Ogni rivoluzione ha le sue vittime, siano esse rivoluzioni politiche come quella francese, oppure culturali, come quella industriale.

Nel 1897 con la pubblicazione del saggio “Il suicidio” Emile Durkheim studiò le cause di un comportamento estremo che stava affermandosi con maggiore intensità (insieme ad altri disturbi psicologici come ad esempio forme depressive). Secondo il sociologo francese la seconda Rivoluzione industriale, con i radicali cambiamenti che aveva portato nella vita di milioni di individui, finiva per generare anomia, un malessere diffuso che nasceva dall’incapacità di adattarsi alla vita in rapida trasformazione. Egli aveva osservato questo fenomeno nel passaggio dalle società a solidarietà meccanica a quelle che definiva a solidarietà organica. Nel processo di modernizzazione poteva avvenire che il contadino abituato ad un sistema di relazioni, di valori e norme tipiche di una comunità ristretta, non si adattasse alla vita cittadina una volta trasferitosi nelle grandi periferie e divenuto operaio. La depressione derivante dalla nuova condizione poteva avere come esito estremo il suicidio.

Il processo di adattamento alla nuova società moderna è ben descritto da uno studio di Georg Simmel dal titolo “La metropoli e la vita dello spirito”. In questo studio del 1903 egli riconosce la nascita di un nuovo tipo umano, il blasé, cioè colui che ha imparato a sopportare, trascurandola, l’enorme quantità di stimoli nervosi che comporta la vita di città rispetto a quella di campagna.  C’è un aspetto deteriore in questo atteggiamento ed è la maggiore indifferenza verso il prossimo, una difesa, certo, ma pur sempre un atteggiamento pericoloso rispetto al senso di comunità.

Prospettive sospese

Viste le analogie che si possono intravvedere tra quel momento “rivoluzionario” e l’attuale trasformazione digitale, la domanda oggi è la seguente: quali anticorpi stanno sviluppando le nuove generazioni per far fronte al cambiamento? Certo, come ho evidenziato nella prima parte di questo articolo, molti giovani purtroppo soffrono e vengono stritolati dalle nuove forme di comunicazione sociale, ma sono fiducioso nel fatto che, come è avvenuto in passato, vi siano nelle nuove generazioni risorse psicologiche capaci di avviare una reazione. Questo forse sta già avvenendo e noi non lo vediamo. Di conseguenza emerge con forza anche una seconda domanda: cosa possono fare gli adulti ed in particolare i docenti? Le proposte educative che le istituzioni formative presentano alle studentesse e agli studenti sono quasi sempre caratterizzate dalla necessità di far loro acquisire capacità e strumenti concettuali, utili per sopravvivere alla competizione internazionale in una società fortemente competitiva nella quale i valori preponderanti sono quelli dell’efficienza, della performance, della visibilità (si veda la recentissima caratterizzazione del Ministero dell’Istruzione e del merito!). Questa però, invece di essere la risposta al problema rischia di essere parte di esso, soprattutto in questo periodo caratterizzato da un notevole abbassamento della soglia di sopportazione alla frustrazione da parte delle generazioni più giovani.

La ricerca di una sintesi propositiva è il compito della speculazione pedagogica in assenza, purtroppo, di modelli consolidati da seguire. Le proposte educative non potranno però essere disgiunte da quelle politiche perché da un lato è importante stare accanto e sostenere bambine e bambini, adolescenti e giovani cercando di stimolare il loro spirito critico, incentivando gli strumenti concettuali di lettura della realtà, soprattutto di quella virtuale, ma dall’altro è necessario agire sui dispositivi del potere che proliferano in questo sistema mediatico anche attraverso una adeguata legislazione. Bisogna cioè lavorare sull’elaborazione di linguaggi nuovi e forme didattiche adeguate ai tempi senza essere fagocitati dalle perverse logiche del profitto.

Andrea Poggiali

Docente di Scienze Umane e Filosofia

Liceo Marconi Delpino

 

Riferimenti bibliografici

 

Bauman Z., Modernità liquida, Laterza Roma-Bari, 2000

Benasayag M. – Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2005

Benasayag M., Oltre le passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2016

Durkheim E., Il suicidio, BUR, Milano, 2014

Galimberti U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Mi

Lipovestky G., L’era del vuoto. Saggi sull’individualismo contemporaneo, Luni Editrice

Floridi L., Infosfera. Filosofia e Etica dell’informazione, Giappichelli Editore, To, 2009.

Lancini Matteo, L’età tradita Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti, Raffaello Cortina, 2021.

Lancini Matteo, Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale, Erickson, 2022

Morozov E., L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet, Codice Ed.. Torino, 2011.

Simmel G., Le metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma, 1995

 

Riferimenti sitografici

 

Conferenze Matteo Lancini

-          https://www.youtube.com/watch?v=YRYmKdrmABo

-          https://www.google.com/search?q=matteo+lancini&rlz=1C1SQJL_itIT927IT927&source=lnms&tbm=vid&sa=X&ved=2ahUKEwiSwpCRgsL9AhUTSvEDHemwDd4Q_AUoA3oECAMQBQ&biw=1280&bih=520&dpr=1.5&safe=active&ssui=on#fpstate=ive&vld=cid:1a2f959e,vid:inyC8c16K4s


Dati Istat su suicidi giovanili

http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_SUICIDI

Fondazione Veronesi su richieste di aiuto

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/suicidio-tra-i-giovani-richieste-di-aiuto-in-aumento

CNR su abuso di psicofarmaci tra i giovani

https://www.cnr.it/it/nota-stampa/n-11649/torna-a-crescere-tra-gli-adolescenti-italiani-il-consumo-di-psicofarmaci-senza-prescrizione-medica

Psicologia contemporanea. Intervista di Paola Sacchetti a Ilaria Consolo su giovani e consumo di alcolici

https://www.psicologiacontemporanea.it/blog/motivazioni-e-conseguenze-del-consumo-di-alcol-tra-i-giovani/

Dalmasso P. - Comoretto R.I., Studio internazionale sul suicidio giovanile

https://www.unito.it/comunicati_stampa/il-fenomeno-suicidario-nei-giovani-gli-effetti-indiretti-della-pandemia-da-covid

Consiglio generale dei giovani (a cura di), Il disagio giovanile oggi, Sapienza Università Editrice, 2022.

https://www.editricesapienza.it/sites/default/files/6090_CNG_Report_disagio_giovanile_EBOOK.pdf