Editoriale

ORA E SEMPRE RESILIENZA!

di Francesco Codebò

Care lettrici, cari lettori,
vi piace il "motto" che fa da titolo a questo pezzo? Una volta si diceva “ora e sempre resistenza” oggi…

Con voi questa volta voglio fare un po’ di chiarezza sulla resilienza, ovviamente in chiave pedagogica:
in primo luogo: cos’è la resilienza? E poi: ci sono belle storie di resilienza? E infine: si può esercitare la resilienza a scuola?

Prima di tutto, però, è necessario fare in breve la storia di questa parola: è comparsa nel nostro vocabolario per la prima volta nel XVIII secolo ma è stata poco usata per molto tempo; solo negli ultimi dieci anni ha preso campo soprattutto nei linguaggi specifici dell’economia, della psicologia, della politica, ecc. Ora è sulla bocca di tutti e spesso viene usata impropriamente. È raro che uno dei nostri governanti non la infili almeno una volta in ogni discorso fatto al popolo.

È necessario, per capire meglio, vedere la sottile differenza che c’è tra resistenza e resilienza, due termini simili e facilmente scambiabili. Per fare questo ho consultato il mio caro vocabolario…
La resilienza viene definita come qualcosa di più della resistenza: alla resistenza di fronte a un urto, danno, o situazione avversa, si aggiunge la capacità di riuscire ad autoripararsi dopo questo evento critico e difficile, riorganizzandosi in modo positivo, produttivo ed efficace.
Resistere, dunque, far fronte alle avversità e, poi, ricostruirsi, riorganizzarsi, “rigenerarsi” in modo positivo, nonostante il problema che incombe faccia pensare che tutto possa avere un esito negativo. In altre parole, saper “rimbalzare”, ristrutturando in meglio il proprio modo di vivere, prima molto problematico.

L’analisi linguistica però potrebbe risultare arida e astratta; ho pensato quindi di riassumere uno dei tanti percorsi di vita che denotano resilienza. Ho trovato sullo “Specchio” del 28.02.21 la storia di Debora Kayembe, donna congolese di 45 anni che da rifugiata è diventata la prima “rettora” di colore della prestigiosa Università di Edimburgo.
Debora è stata resiliente più di una volta nel suo percorso di vita: giovane avvocato, diventa consigliere per i diritti umani nel Congo; sta per consegnare un rapporto su un grave massacro, quando diventa tanto scomoda da dover lasciare il suo paese e rifugiarsi in Scozia. Lì un giorno sua figlia torna da scuola e le dice che la maestra le aveva chiesto di esibirsi in una “danza degli schiavi”. Debora, invece di sprigionare il conflitto (come avrei fatto io…), cerca il dialogo con la scuola e avvia una petizione al Parlamento per affrontare il problema del razzismo nel sistema educativo.

La sua petizione viene accolta e il suo messaggio cattura l’attenzione dell’Università di Edimburgo; le viene detto che se avesse accettato di fare la “rettora”, il suo messaggio sarebbe andato lontano e il mondo intero avrebbe ascoltato. Così è stato…

Ora passo all’ultimo quesito: la scuola può allenare alla resilienza? Certamente sì, molte situazioni della vita sociale di una classe possono essere affrontate e risolte in modo resiliente. Educare i giovani a non essere passivi e a saper reagire in modo positivo e consapevole ai problemi veri della loro vita sarebbe un vero pilastro di una programmazione solida e adeguata ai nostri tempi; ovviamente bisogna lavorare su problemi concreti, non su aride simulazioni che lasciano il tempo che trovano.

Vi chiedo infine di condividere con me la riflessione finale: una delle caratteristiche della resilienza è la creatività: come non pensare quindi a Gianni Rodari, campione in questo ambito? Nelle pagine seguenti troverete più di un accenno al caro Gianni, maestro sempre tanto amato nelle nostre scuole.