Tutor e docente orientatore 

le novità alla ripartenza dell'anno scolastico  

di  Andrea Poggiali

 

Quella del tutor dell’orientamento e dell’orientatore è una novità ministeriale istituita con il D.M 63 del 5 aprile 2023 con l’obiettivo di ridurre la dispersione scolastica e offrire prospettive di formazione e lavoro alle nuove generazioni. Per dar vita a queste figure il ministero ha stanziato 160 milioni di euro derivanti da risorse del PNRR per rispondere anche alle numerose Raccomandazioni che l’UE ha emanato sulla necessità di migliorare i percorsi di orientamento e di riuscita scolastica nei Paesi membri. Considerata la situazione italiana, che presenta notevoli carenze riguardo alla frequenza scolastica, al numero di laureati (26,8% contro più del 40% della media europea) e all'alta percentuale di Neet (giovani che non studiano, non cercano lavoro e non sono impegnati in percorsi formazione) che sono il 19%, dato peggiore d'Europa, è sicuramente urgente mettere mano alla situazione. Alla ripresa d’anno scolastico ci siamo quindi trovati di fronte a questa novità. Come docente di ruolo e come pedagogista mi sono sentito chiamato a saperne di più sulla questione. Per questo ho deciso da subito di intraprendere le trenta ore previste per la formazione che si è svolta all’inizio della scorsa estate e si è conclusa a settembre. La mia curiosità accademica e professionale mi ha portato ad essere piuttosto zelante nell'affrontare i moduli, tanto da accorgermi che il corso non era ancora stato completato mentre veniva svolto da molti colleghi volenterosi! Questa è la prima anomalia che si può segnalare: è mai possibile mettere così tanta fretta ai corsisti e poi non avere ancora le lezioni e i test disponibili? Mi stupisce sempre inoltre assistere a corsi che esaltano l’apprendimento come esperienza immersiva, cooperativa, attiva, condotti secondo la più tradizionale delle modalità: lezioni teoriche unidirezionali asincrone e test del tutto nozionistici a risposta chiusa. Questa la segnalo come una seconda anomalia (ma ormai è necessario fare l’abitudine a questa modalità che sembra essere quella prevalente). Il corso presenta spunti di interesse spaziando da lezioni a carattere psicologico, a contributi normativi, da spunti didattici alla presentazione di percorsi formativi…. Devo però segnalare che ad uno sguardo d’insiema, la multiforme varietà di spunti incappa in palesi contraddizioni derivate da logiche pedagogiche inconciliabili. Da un lato si afferma una psico-pedagogia motivazionale a sfondo umanistico, attenta all’interiorità dello studente e al senso dello sviluppo del sé in chiave auto realizzativa. Dall’altro lato però si percepisce anche la logica dell’eccellenza a cui sono chiamati gli studenti che devono distinguersi attraverso la realizzazione del proprio “capolavoro” annuale e l’arricchimento progressivo del loro portfolio personale in vista delle esigenze del mondo del lavoro. Se da un lato, quindi, al centro c'è il soggetto e i suoi bisogni, dall'altro c'è, al contrario, il mercato del lavoro e le sue esigenze (si veda il modulo sugli ITS). Questa si configura come una evidente contraddizione interna.  Inoltre, da un lato, si riconosce la spinta a colmare i “divari” (così si intitola l'intero corso) secondo un intento egualitario, ma dall'altro lato, si strizza l'occhio alla ricerca dell'eccellenza che inevitabilmente genera differenze. La speranza è che le due figure riescano a valorizzare tutti indipendentemente dal loro punto di partenza, ma il timore è che sia un compito impossibile di fronte allo studente “Pierino”, stimolato a inserire nel portfolio le molte esperienze che compie anche fuori dalla scuola e a “Gianni” che farà fatica a riempire le pagine perché il suo contesto familiare e il suo background socio culturale non glielo consentiranno. Anche questa, se non una contraddizione, mi pare almeno un nodo critico da affrontare. 

Nelle prime lezioni viene data enfasi al fenomeno della demotivazione, dell’ansia da prestazione, delle problematiche dell’apprendimento che caratterizzano l’esperienza scolastica, con l’intento di rendere la scuola un luogo più accogliente, di ripensare  alla valutazione come funzionale allo studente e non giudizio emarginante. 

Questo l’ho apprezzato molto, peccato che nei moduli successivi sia stata data tanta enfasi al curriculum dello studente, al portfolio delle competenze e al capolavoro elementi questi che mi paiono mettere sotto pressione gli studenti più che togliere lo stress da prestazione. Così si può dire che abbiamo trovato un’altra contraddizione. Ma non è finita qui. Negli intenti del ministero la registrazione di tutte le esperienze compiute dagli studenti, i loro capolavori, gli elementi significativi del loro percorso dovrebbero essere immessi su una piattaforma ad uso anche dei futuri datori di lavoro. Se tutto funzionasse alla perfezione ogni studente del “regno” avrebbe un proprio profilo, una vetrina, a disposizione delle aziende, degli Enti, di chiunque ne abbia titolo. Vista in questo modo la situazione mi sembra non avere solo risvolti positivi, anzi! Magari come tutti i simpatizzanti della Scuola del sospetto (secondo la nota definizione di Paul Ricoeur) eccedo in pessimismo della ragione…. 

A questo riguardo segnalo anche che sarà molto più difficile per i giovani esprimere dissenso rispetto al sistema in quanto il rischio di una macchia indelebile sul portfolio è reale. Un esempio lo ritroviamo in una delle lezioni dedicate al "capolavoro dello studente". La relatrice si premurava di asserire che sarà cura del tutor inserirvi un lavoro "adeguato" cioè un lavoro non esageratamente contrario agli standard comunemente ammessi o al buon gusto. Chi si occupa di educazione sa bene che il percorso di crescita spesso non è lineare, incontra fratture, arresti, crisi, cadute e opposizioni. Erich Fromm afferma che «L'atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l'inizio della ragione». La natura stessa dei rapporti intergenerazionali è dialettica, ma questa non pare la ratio che sorregge la proposta del MIM.

Un ultimo aspetto da considerare riguarda i compiti del tutor che saranno molteplici e complessi. Si occuperà di un numero di studenti compreso tra 30 e 50, da un lato dovrà relazionarsi con una pluralità di soggetti: consigli di classe, genitori, enti, associazioni, aziende del territorio. Dovrà inoltre curare il portfolio di ciascuno studente interfacciandosi con il portale per l’orientamento. Avrà colloqui con gli stessi studenti e solleciterà il consiglio di classe a organizzare unità di apprendimento sull’orientamento di 30 ore. Compiti questi estremamente ambiziosi per un docente formato con così poche ore di corso che dovrà assolverli parallelamente al suo ruolo di docente di classe. Non sembrano le migliori premesse per una svolta davvero significativa. Staremo a vedere e monitoreremo da vicino la sperimentazione. Personalmente, dopo aver concluso il corso alla fine di luglio, ho deciso di non rendermi disponibile a ricoprire il ruolo di tutor, nonostante le sirene del compenso, sbandierato dal Ministro come estremamente sostanzioso. La domanda che più di ogni altra mi assilla è: ma c’era davvero bisogno di una ulteriore figura di sistema? Perché non si investe mai sul Consiglio di classe, l’organo che più di ogni altro ha  titolo a curare il percorso formativo degli studenti?