RISULTATI INVALSI

Test Invalsi: nei risultati la prova del nove 

che sono una beffa

di A. Corlazzoli  -- da Il Fatto Quotidiano

Pubblichiamo quasi integralmente le riflessioni dell'autore sugli esiti delle prove Invalsi di quest'anno.
Se fossi il ministro dell’Istruzione, da domani liquiderei l’Invalsi, l’istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo. Ora non abbiamo più alcun dubbio: purtroppo, non serve a nulla misurare la febbre della Scuola nel nostro Paese. Perché?
La spiegazione ce l’ha data, con estrema franchezza, il presidente dell’Invalsi nel dirci senza mezzi termini che da vent’anni non cambia nulla. L’unica novità, infatti, dei risultati dei test di quest’anno è questa ammissione da parte dell’Invalsi.

Preso forse da un moto di coscienza, da un senso di colpa o dal tentativo disperato di dire alla politica “serve cambiare rotta”, Ricci ha comunicato che “le differenze vengono da molto lontano, ben prima della pandemia. Attraverso i dati delle rilevazioni internazionali, è possibile verificare che alcune delle maggiori criticità riscontrate negli esiti di quest’anno si ritrovano già nei risultati di dieci - vent’anni fa”.

Più chiaro di così si muore. Basta con questa frigna del “tutta responsabilità del virus”, della scuola in dad, della mancata presenza. Non è che prima del 2019 i risultati Invalsi e non solo brillassero. Eravamo somari prima del Covid e lo siamo rimasti.
Alla secondaria di primo grado, i risultati in matematica sono migliorati fino al 2011 ma da dodici anni il trend positivo si è interrotto. Il grafico è eloquente: se nel 1999 maschi e femmine si attestavano attorno ad un punteggio pari a 480, nel 2011 arriva a 504 per i primi e a 493 per le seconde ma da quel momento è rimasto tutto stabile.

Alle superiori in matematica gli studenti 15enni conseguono risultati sotto la media Ocse e dal 2015 pare essersi interrotto il trend di crescita iniziato nel 2006. Infine, per quanto riguarda la comprensione della lettura gli studenti 15enni si ritrovano al di sotto della media Ocse da oltre vent’anni e i risultati sono in calo dal 2012. 

Ora, di fronte a questo scenario ci si aspetterebbe che il prossimo anno la maggior parte dei docenti si rifiutasse di somministrare una prova quando non cambia mai nulla. I presidi si mettano l’anima in pace. Non succederà nulla, tuttavia e almeno il ministro ci farà risparmiare qualche milione di euro per prove che dicono sempre la stessa cosa e non vengono prese in considerazione dalla politica.

Nel frattempo anche quest’anno abbiamo assistito alla beffa. Alla conferenza stampa di presentazione, Alessia Mattei, responsabile dell’area prove dell’Invalsi, ha detto testuali parole: le prove hanno un “ampio tasso di partecipazione”; “sono parte del percorso didattico”; “sono una risorsa perché sono mirate al miglioramento del sistema scolastico”.

Allora. Primo: il tasso di partecipazione è alto perché sono obbligatorie

Secondo: se sono parte del percorso didattico, perché si fanno le prove di addestramento?

Terzo: se fosse vero che sono mirate al miglioramento del sistema scolastico, negli ultimi vent’anni i dati dovrebbero essere diversi. Delle due l’una: o è falso quanto detto o le prove sono inutili.

Breve commento: come al solito Corlazzoli , lavorando sul campo, è "sul pezzo" e dice le cose chiaramente. Il passaggio principale del suo discorso su cui riflettere è quando dice  che "le prove non vengono in considerazione dalla politica". E' vero: le prove erano nate proprio per indicare alla parte politica gli interventi da fare e le aree più critiche nel nostro paese riguardo alla formazione scolastica. I governanti dovevano intervenire con strumenti adeguati e risorse aggiuntive per  potenziare veramente gli interventi  di alfabetizzazione primaria e recupero delle difficoltà più comuni. Il deficit è stato quello di non aver mai saputo individuare con chiarezza gli obiettivi su cui agire e le modalità per farlo.
Un sistema, quindi, più che ingessato, che neanche l'autonomia scolastica è riuscita a scalfire!