Campo Base

La meraviglia dell'incanto

di Luca Pani

Lo stupore è lo stato di chi rimane attonito (dal latino ad tonare, tuonare), come stordito dal tuono; è la condizione di chi, di fronte ad un evento sorprendente, resta fermo ed immobile. L’origine greca del termine stupore (thauma), ci ricorda che esiste anche qualcosa di angosciante nell’ignoto, fonte di meraviglia. Gli antichi filosofi hanno cercato di capire come tenere in vita lo stupore nel tempo. Ritenevano infatti che la meraviglia non dovesse mai svanire una volta trovate le cause e le ragioni dei fenomeni che conducono allo stato di sapere. Nel testo biblico ritroviamo in Abramo un uomo capace di stupore di fronte al cielo stellato, presagio della sua infinita discendenza: come se Dio avesse bisogno di esseri umani capaci di stupore, affidabili sognatori. (Genesi 15, 1-6). Grazie allo sguardo attonito di Abramo di fronte al firmamento, nell'esperienza umana "guardare, scrutare le stelle" rimane da sempre il vertice dello stupore; nell'ammirare le stelle l'uomo da sempre cerca un significato, una risposta ai suoi perché, e il suo senso religioso innato è fortificato dallo stupore. 

Una delle figure più significative del presepio tradizionale monastico è il pastore stupito, “Il Ravì”, che per primo contempla nella mangiatoia Gesù Bambino: stupito perché l’impossibile è diventato possibile, il Salvatore tanto atteso è nato. Nei Vangeli Gesù ribadisce più e più volte “meravigliati ancora”, “stupisciti ancora una volta”, come se pensassimo, arrivati ad un certo punto della vita, di aver già visto, vissuto e conosciuto tutto. Pensiamo all’incontro di Gesù con la Samaritana (Gv 4, 4-7): questa donna si reca al pozzo, incontra Gesù che gli dice “Dammi da bere”. Lo stupore della donna nasce dal fatto che Gesù, Giudeo, chieda da bere a lei donna della Samaria, tra i due popoli infatti non c’erano buoni rapporti. Gesù sembra invitare la donna a non dimenticare che laddove tutto sembra grigia routine, abitudine, tristezza, c’è sempre l’inaspettato, qualcosa o qualcuno che può sorprendere. 

Ecco allora, che lo stupore non si scorge solo negli eventi grandi, pubblici, risonanti ma viene ad incontrarci ogni giorno: in un uomo che ti chiede da bere, nelle mani aperte di un povero, nella tenacia di un’anziana che cammina, negli occhi di un infermiere che incrocia un malato, nei gesti di bontà di un amico, nel seno di una madre che allatta, nelle mani di una nonna che prepara il pranzo al nipote, nel sorriso di due innamorati, in un abbraccio affettuoso, negli occhi di un bambino.

E chi più dei bambini è capace di stupore? I bambini sono capaci di affidarsi, di lasciarsi sorprendere dalle bellezze e dalle curiosità che scoprono quotidianamente. Ogni lezione dovrebbe sapere di stupore. Maestri e alunni dovrebbero fare a gara a chi si stupisce di più e rendere così la conoscenza un in-segnamento, nel senso che il tempo passato in classe “segni” in modo indelebile la vita dello scolaro.

Massimo Recalcati nel suo libro “L’ora di lezione” scrive: un’ora di lezione può cambiare la vita, imprimere al destino un’altra direzione, sancire per sempre quella che si era solo debolmente già abbozzata. Tutti abbiamo fatto esperienza di cosa può essere un’ora di lezione: visitare un altro luogo, un altro mondo, essere trasportati, catapultati in un altrove, incontrare l’inatteso, la meraviglia, l’inedito. In un altro passaggio del suo libro scrive: i veri insegnanti non sono quelli che ci hanno riempito la testa con un sapere già costituito, dunque già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi al fine di animare un nuovo desiderio di sapere. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza offrire risposte precostituite. È un processo che non riguarda solo l’allievo, ma l’essere del maestro stesso.

Cosa rende vivo il sapere? È lo stupore del maestro che, anche se ripeterà per migliaia di volte lo stesso argomento, lo farà sempre in un modo nuovo perché troverà davanti volti stupiti, perché gli occhi di quei volti vedranno in lui un maestro che ridà vita a ciò che lo ha formato.