campo base di Luca Pani 

Per educare un bambino

ci vuole un intero villaggio

complessità del disagio giovanile e opportunità educative

intervista a MONICA ROSSI BRINA

Ospite della rubrica campo base è Monica Rossi Brina, nata il 20 Giugno 1974 a Cuneo. Psicologa e assistente sociale, svolge da anni quest'ultima professione e fino al 2018 si è occupata, nello specifico, di minori e di adozioni. Dal 2018 è responsabile dell’area minori in un servizio sociale.

Ha pubblicato articoli e testi relativi, in particolare, al tema delle adozioni. 

L'intervista che segue ci aiuta a capire la complessità del disagio giovanile oggi e cogliere alcune opportunità educative preziose.


1)  Il disagio giovanile è sempre più diffuso. Le motivazioni sono diverse e vanno da quelle sociali a quelle più strettamente familiari. Di fronte all’indebolimento della figura dei genitori la scuola gioca, senza dubbio, un ruolo di prim’ordine. La figura del docente come educatore e non esclusivamente come insegnante può fare la differenza. Quali consigli dare ai docenti delle nostre scuole per meglio educare, prendersi cura e attenuare forme di disagio che spesso possono portare alla dispersione scolastica?


Il disagio tra i ragazzi assume, oggi, una complessità che lo rende sfumato e di difficile interpretazione. Lo psichiatra Eugenio Borgna, parla, rifacendosi alle riflessioni di Umberto Galimberti, di deserto delle relazioni e delle emozioni, una sorta di venir meno di emozioni e passioni, all’interno di una dimensione sociale che tende ad atrofizzare l’intelligenza emotiva e la partecipazione attiva agli eventi della vita. Questa è una delle derive peggiori e più rischiose a cui può condurre questo insieme di fattori, di variabili intrecciate e spesso non isolabili singolarmente che confluiscono nella espressione disagio giovanile.

Assumendo tale prospettiva, uno degli aspetti educativi, in particolare in ambito scolastico, a cui ridare rilievo pare essere proprio quello citato da Galimberti e Borgna, l’educazione alle emozioni, il fornire ai ragazzi un contesto in cui essere e sentirsi sostenuti nell’imparare a decifrare i sentimenti e le emozioni, a coglierne le sfumature, tollerandone luci ed ombre. Questo aspetto da un lato contribuisce al potenziamento delle relazioni, in un ambiente protetto come la classe, sviluppando l’intelligenza emotiva, l’empatia e la capacità di riconoscere l’altro nelle sue caratteristiche ed esigenze relazionali, dall’altro a definire la propria identità, che si radica anche nel rapporto con gli altri e nell’ascolto delle risonanze emotive che sono generate nelle relazioni. L’insegnante ha quindi una opportunità preziosa, quella di promuovere un ascolto soggettivo dei ragazzi e di attivare, nel contempo, un lavoro nel gruppo classe quotidiano, grazie al quale cogliere le relazioni e le loro dinamiche, potenziandone gli aspetti positivi e di scambio.

L’obiezione che si potrebbe porre è che la scuola dovrebbe essere  principalmente un luogo di apprendimento e studio e, in quanto tale, non può che dare a tali aspetti la priorità. E’ reale che questo debba avvenire, d’altra parte l’intelligenza emotiva può essere considerata un ingrediente fondamentale dell’apprendimento, come tale da valorizzare. Le stesse materie di studio, la poesia, la letteratura, le arti possono essere considerate come espressione di un panorama variegato di emozioni, la cui comprensione e il cui studio agevola la capacità di affinare la percezione delle sfumature emotive e quella di orientarsi nella realtà, cogliendone la complessità.

Questa considerazione conduce a un secondo aspetto: la società contemporanea è per sue caratteristiche una società veloce, del mordi e fuggi, delle comunicazioni visive e di impatto. I ragazzi utilizzano comunicazioni concise, rapide e nell’apprendimento sono abituati a condensare, a sintetizzare, cercando in rete le risposte più immediate. Il rovescio della medaglia di questa rapidità ed efficienza è la superficialità. Lo stare in superficie rischia di generare una perdita di sguardo in profondità e in prospettiva, una riduzione dei tempi di riflessione, di silenzio generativo di pensieri. Anche in questo la scuola può avere un ruolo centrale, coniugando l’apprendimento alla riflessione, riorientando lo sguardo dall’oggi, dall’immediato, alla profondità del tempo a tre dimensioni, passato, presente e futuro.  Rispetto alle generazioni precedenti, vi è rischio per i ragazzi, oggi, di sentirsi sganciati da chi li ha preceduti e incapaci di allungare lo sguardo, a causa di una sfiducia crescente verso un orizzonte futuro. E’ come se il filo di continuità tra le generazioni si fosse spezzato e i ragazzi vivessero in una dimensione spazio-temporale di sospensione. Gli insegnanti hanno la possibilità di raccontare loro la storia del passato, la storia delle generazioni, riportare l’attenzione sui valori, su ideali che hanno attraversato le società umane e, allo stesso tempo, generare una fiducia sul futuro, aprire a nuovi valori, a speranza, per aiutare a ridare forza a una generazione, restituendo delle radici, raccontando ciò che è stato e aprendo a un futuro, aiutando i ragazzi ad avere qualcosa verso cui tendere, sentendosi importanti e valorizzati.

Troppo spesso, infatti, nella realtà dei servizi socioeducativi, arrivano ragazzi che non esprimono desideri, emozioni, speranze, ragazzi senza prospettiva, confusi, che tendono a ritrarsi dalle relazioni o a non investire in nulla. A volte è la semplice relazione educativa, tramite l’ascolto individuale, il cogliere le predisposizioni e l’intuire che c’è ancora un desiderio, a riattivare in loro la voglia di sperimentarsi in qualcosa di costruttivo e di valore. Questa può essere una strategia per arginare il sentimento di vuoto, di frustrazione, il sentirsi senza valore o di non poter incidere davvero nella realtà, che troppo spesso arriva come disagio ai servizi e agli educatori dai ragazzi e dalle loro famiglie e che può portarli a una deriva di senso di inutilità e di frustrazione, con esiti anche drammatici.


2) Tra le tante forme di disagio giovanile in età adolescenziale e pre-adolescenziale, con ricadute scolastiche, esiste il cyber-bullismo: una forma di disagio spesso silenziosa, fonte di sofferenza quotidiana che col tempo può produrre condizionamenti di vita di difficile sradicamento successivo. Come deve porsi un genitore, un educatore di fronte a questo rischio e quali consigli si possono dare?


Il tema del cyberbullismo è particolarmente delicato perché può essere un fenomeno, almeno inizialmente, invisibile e sotterraneo che manifesta i suoi drammatici effetti tardivamente. Questo, anche in relazione al fatto che gli adolescenti hanno una vita virtuale molto articolata e relazioni o dinamiche che possono apparire agli occhi degli adulti di riferimento quasi incomprensibili. Le immagini e le comunicazioni in rete sono divenute parte di una normalità che spesso non scatena più né reazioni di prudenza né di forti emozioni dinnanzi a contenuti di impatto, come possono essere contenti violenti o linguaggi brutali.

I social, infatti, permettono di sentirsi parte di un mondo altro, dove esternare fatti, pensieri, emozioni senza filtro o vivere esistenze quasi alternative, come se fossero sganciate da quelle reali. Questa dimensione virtuale, se da un lato agevola le comunicazioni, dall’altro porta in sé il rischio di vivere se stessi nelle relazioni virtuali come se si fosse spettatori della propria vita, arrivando, in situazioni di confine, a creare dei falsi sé o delle identità alternative più appaganti ai propri occhi, meno fragili e più adatte alla società, per quanto virtuale.

In tale prospettiva, il cyberbullismo diventa un fenomeno che in qualche modo è agevolato proprio dal fatto di potersi esprimere restando anonimi, dietro allo schermo di un pc, magari con il consenso  e il rafforzamento di un gruppo virtuale. La maschera dietro cui celare la propria identità diventa essa stessa una identità quasi autonoma, “sociale”, seppure in collegamento con altre identità virtuali.

Si può solo immaginare quanto questo possa spingere ad agiti, espressioni, comunicazioni estreme, depotenziando il senso di responsabilità. Il danno può dunque assumere contorni di gravità inaudita sia per le vittime sia per gli autori del bullismo. E’ difficile dire che cosa potrebbe essere indicato per un genitore o un educatore, data la complessità del fenomeno e il suo intrecciarsi con caratteristiche di personalità individuali.

Indubbiamente, per quanto riguarda gli aspetti educativi va fatta una distinzione a monte tra ciò che si può fare in una situazione già compromessa e quanto può essere utile a livello preventivo. Il cyberbullismo è una espressione intenzionale di aggressività verso una vittima di cui si distrugge l’autostima, spingendola a un isolamento disperato. Pertanto, per quanto riguarda la prevenzione, è essenziale il focus sulla gestione delle emozioni  e della consapevolezza di sé e delle proprie fragilità. Questo è un tema su cui è possibile lavorare fin dalla scuola primaria, al fine di rafforzare l’autostima e  contrastare, al contempo, il rischio di sentirsi inadeguati rispetto ai modelli di iper-adeguatezza sociale e di efficienza prestazionale che tendono a favorire la creazione di nuclei di fragilità nei ragazzi. Anche il lavoro di gruppo e il confronto, che non solo a scuola ma nel lavoro educativo, è ormai una modalità di lavoro sperimentata, è un strumento per stimolare la capacità di relazione e l’inclusività.

Tuttavia, spesso i ragazzi manifestano il problema quando già il disagio è conclamato. In questo caso sia i familiari sia gli educatori o gli adulti di riferimento in generale, possono solo cogliere con sguardo attento i primi segnali: ad esempio, un progressivo ritiro sociale, la difficoltà ad instaurare relazioni comunicative, un’ansia progressiva, una maggiore irritabilità o alcuni disturbi sonno- veglia. In caso vengano evidenziati tali segnali, è essenziale che la famiglia contatti un professionista e si confronti sulle possibili strategie da seguire per aiutare il ragazzo/a.


3) In molti casi il problema non è solo osservare il disagio, bensì decidere che cosa fare. Spesso gli insegnanti si accorgono che c’è qualcosa che non va, ma non sanno bene come muoversi. Che cosa si può fare per aiutare quel bambino/a o ragazzo/a? E per sostenere la sua famiglia? La situazione è tale da richiedere l’intervento del servizio sociale? Che tipo di collaborazione può essere costruita tra scuola e servizi sociali oggi?


Se cogliere i segnali del disagio è complesso, lo è altrettanto definire le direzioni in cui procedere per poter intervenire tempestivamente. Essendo, infatti, il disagio un fenomeno multifattoriale e di difficile lettura, soprattutto in una età di cambiamenti come l’adolescenza, non esiste naturalmente un decalogo o una soluzione univoca che possa essere risolutiva e adeguata in ogni situazione. Al di là di quanto rientra nella sfera del dovere di denuncia/segnalazione di fatti gravi che compete ai soggetti pubblici che ne vengano a conoscenza, come le notizie di reato o il grave pregiudizio, per le situazioni in cui il malessere è presente ma sfumato diventa più difficile evidenziare le direzioni in cui muoversi.

Uno dei primi aspetti da evidenziare è la comprensione,  fornita dall’ascolto individuale del ragazzo, quando possibile, nel tentativo di approfondire i segnali colti. A volte i ragazzi usufruiscono degli sportelli di ascolto psicologici o cercano direttamente un insegnante di riferimento con cui aprire uno spazio di  confronto.  Spesso gli insegnanti, nel confronto con il servizio sociale, si pongono la domanda su quando e come coinvolgerlo. Va precisato che il servizio sociale attua interventi di tutela, con la segnalazione alla Autorità Giudiziaria, solo in caso di grave pregiudizio al quale siano esposti i bambini o i ragazzi.

Diversamente, l’approccio che ispira le azioni del servizio sociale è un approccio basato sulla condivisione di responsabilità e utilizza una metodologia di tipo relazionale, sistemico e multidimensionale. Infatti, proprio  per la multifattorialità del disagio che ha radici nella fragilità dei legami familiari, nella struttura della società, in aspetti di personalità, come l’immagine di sé o la percezione dei rapporti tra i pari, il nodo centrale non è tanto la risposta al disagio del singolo, in una logica prestazionale e immediata ma il tentativo di costruire , insieme al ragazzo e alla sua famiglia, una rete attiva che favorisca il rafforzamento delle relazioni sociali, il supporto al nucleo familiare quando necessario e  la messa in campo di risorse nuove, oltre alla formulazione del progetto di aiuto individuale. Questo è fondamentale, in quanto il rafforzamento della comunità educante, intesa come coinvolgimento di tutti gli attori, istituzionali e informali che ruotano attorno alla scuola e ai ragazzi, può favorire dei cambiamenti persistenti nel tempo e più profondi, evitando di etichettare il disagio come individuale e riportandolo ad aspetti sociali, nel rafforzare i legami e le reti indebolite che probabilmente sono o sono stati uno dei fattori scatenanti del malessere.

Nella logica della condivisione delle responsabilità, è fondamentale che sia la scuola sia i servizi sociali coinvolgano in primis la famiglia del ragazzo, per avere il punto di vista dei genitori, per renderli partecipi e consapevoli, nel caso  avessero rilevato gli stessi segnali o per comprendere in modo più approfondito il suo contesto di vita. Le Linee di indirizzo nazionali per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità, approvate il 21 dicembre 2017 in Conferenza Unificata, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che costituiscono una delle cornici teoriche di riferimento dei servizi sociali,  in questo senso, utilizzano il termine: promozione di una genitorialità positiva, facendo riferimento al mettere al centro non tanto la vulnerabilità e il limite ma le potenzialità individuali, in contesti che ne favoriscono lo sviluppo e le attivazioni di risorse. Questo ha come conseguenza che, per operare in un orizzonte di non frammentazione, di prevenzione e di supporto, la scuola, i servizi, sanitari o sociali, le associazioni, le famiglie e i cittadini non possono operare separatamente come se fossero monadi ma devono agire e progettare in una logica di rete, definendo obiettivi operativi e linee di azione condivise. A tal proposito possono essere molto utili protocolli operativi tra scuole e servizi sui temi di disagio, maltrattamento e abuso minorile.

Solo dopo aver coinvolto la famiglia, come attore attivo e protagonista del progetto educativo del ragazzo, al di là delle situazioni in cui venga rilevato un grave pregiudizio e una mancanza di consenso da parte della famiglia e che richiedono, pertanto, un coinvolgendo della Autorità Giudiziaria con relativa segnalazione, nelle altre situazioni, è possibile coinvolgere gli operatori del servizio. Il servizio sociale o quello sanitario, laddove sia necessario il suo coinvolgimento, può assumere, inoltre, proprio il ruolo di collante tra i vari attori coinvolti  e favorire le comunicazioni. Dalla collaborazione tra famiglia, servizi sociali, sanitari e scuola, si crea una sinergia grazie alla quale è possibile estendere proposte e progetti al territorio, includendo soggetti informali come associazioni o enti del terzo settore e, non ultimi, i ragazzi stessi che possono essere, attraverso la loro partecipazione ad alcuni progetti o nelle associazioni, i primi veri protagonisti  del cambiamento e della prevenzione nel contesto sociale che li riguarda.

Per aiutare il singolo ragazzo, dunque, è necessario partire proprio dalla comunità e dal contesto sociale in cui vive, creando accanto e insieme a lui una rete attiva di risorse. Un po’ come sostiene il famoso proverbio africano, tanto citato in questi progetti: per educare un bambino, ci vuole un intero villaggio.


Riferimenti sitografici/bibliografici:

https://www.mentinfuga.com/leta-tradita-parlando-di-adolescenza-con-matteo-lancini/

Eugenio Borgna, Le emozioni ferite, Feltrinelli, 2009.

Umberto Galimberti, La parola ai giovani, Feltrinelli, 2018.

Matteo Lancini, L’età tradita, Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti, Cortina, 2021.

Matteo Lancini, Loredana Cirillo, Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale, Erickson, 2022.