Rassegna stampa

IL CALO DEMOGRAFICO NON GIUSTIFICA UNA SCUOLA PIU' POVERA

di Chiara Saraceno da "Il Secolo XIX" del 9 giugno 2021

Sintesi dell'articolo: il calo demografico, secondo l’autrice, non può essere usato come motivo per ridurre, ormai da molti anni, la spesa in istruzione nel nostro paese. Secondo i dati della Commissione Europea la spesa per l’istruzione in Italia è tra le più basse nell’UE, sia in percentuale al PIL, sia in percentuale della spesa pubblica per l’istruzione.
A settembre ci saranno meno insegnanti, meno classi, più difficoltà a mantenere la struttura del tempo pieno con il doppio organico.
Tutto questo è in contrasto con le dichiarazioni dei componenti del governo e con gli stessi obiettivi del Pnrr su questo tema e sulla centralità della scuola per lo sviluppo del paese e per la crescita delle generazioni future.

Quindi ci saranno ancora le “classi pollaio”, saranno carenti gli interventi di contrasto della dispersione scolastica e di individualizzazione degli interventi educativo-didattici a favore soprattutto degli alunni con più difficoltà.
C’è da dire poi che nelle scuole secondarie di secondo grado il calo demografico non c’è ancora, anzi la tendenza attualr è all’aumento delle iscrizioni.
Si può parlare quindi, in conclusione di “cinismo amministrativo” e di tradimento del ruolo che la scuola deve avere nel dare attuazione all’articolo 3 della Costituzione Italiana che così recita nella seconda parte del testo: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana..."

COMMENTO : le riflessioni e le preoccupazioni di Chiara Saraceno sono del tutto condivisibili anche perchè si basano su dati incontestabili. Si potrebbe quindi dire che la tendenza attuale, nel nostro paese, grazie anche all'utilizzo dei fondi europei, è quella di investire molte risorse (forse troppe) sui progetti aggiuntivi, mentre sono carenti gli interventi sull'attività ordinaria delle scuole: abbiamo così, tra l'altro, un'edilizia scolastica molto carente, permane il fenomeno del precariato e i risultati complessivi del sistema-scuola non sono soddisfacenti.
Così non va bene...bisognerebbe che i nostri governanti si dessero una mossa, conoscessero per davvero questo mondo così particolare e facessero poche cose ma fondamentali.

L'ASILO TRA LA VIGNA E I CAMPI

da la "Repubblica" del 12 maggio 2021

Nel giardino d'infanzia "Intorno al melo" si gioca all'aperto sulle colline del Gavi e si seguono i ritmi delle stagioni. "Per crescere in un ambiente che permetta di svilupparsi in autonomia, di muoversi tanto e di stimolare la creatività", spiega Caterina Rossi Cairo dell'azienda agricola "La Raia" di Novi Ligure.
Sotto il portico c’è uno scaffale su cui sono allineati stivali di gomma di varie misure e fogge. I bambini li indossano il giovedì, per la passeggiata nel bosco, ma anche gli altri giorni della settimana per le attività nell’orto o per le escursioni tra vigne e campi. Perché al giardino d’infanzia “Intorno al melo” la didattica prevede che si trascorra molto tempo all’aperto e s’impari così come il paesaggio si trasforma in ogni stagione. In questo asilo – che ha sede in una cascina dell’azienda agricola “La Raia” di Novi Ligure, in provincia di Alessandria – vengono accolti alunni dai tre ai sei anni e si segue l’indirizzo Steiner-Waldorf. A fondarlo è stata Caterina Rossi Cairo, 43 anni e una laurea in Architettura; a gestirlo è l’associazione “Cascina del Melo”.
“Io e mio marito Tom, giovani e con un figlio in arrivo, ci siamo presi un anno sabbatico per studiare il pensiero di Rudolf Steiner – racconta Caterina – abbiamo allora deciso di applicare le sue idee alla Raia, l’azienda che la mia famiglia aveva acquistato nel 2002 e in cui entrambi lavoravamo come agricoltori. Innanzitutto, abbiamo contribuito a renderla biologica e poi biodinamica. Nel 2005, l’abbiamo affiancata all’asilo affinché diventasse un centro di cultura in senso lato”. Un progetto economico e pedagogico, insomma, basato sulle forze risanatrici della natura. E le famiglie della zona hanno apprezzato, visto che la struttura è frequentata da più di 20 bambini e che presto nascerà una nuova sezione per soddisfare ulteriori richieste.
Secondo il metodo steineriano, il piano formativo è calibrato per adattarsi alle diverse esigenze che i bambini avvertono durante la loro evoluzione e l’apprendimento è supportato dall’esperienza concreta. Il percorso coinvolge genitori, maestri, artisti, artigiani e figure che costruiscano una comunità e diano l’esempio. I più piccoli macinano il grano, impastano il pane, modellano la cera, dipingono ad acquarello, cuciono o tessono al telaio. E, indipendentemente dal clima, stanno all’esterno. “Il verde e la terra da cui siamo circondati sono da sempre la nostra fortuna e ancor più lo sono stati nell’ultimo periodo – assicura Caterina – nonostante la pandemia, abbiamo sofferto meno rispetto a chi abita in città”.
Il giardino d’infanzia e la scuola sono finanziati esclusivamente con le donazioni private e i contributi versati dalle famiglie degli iscritti; sono aperti a tutti, ma rappresentano pure un servizio di welfare a disposizione dei dipendenti della Raia. Del resto, sono parte integrante dell’azienda e di questo posto ricco di biodiversità e dalla radicata tradizione vitivinicola. Adesso, in cantina si sta procedendo all’imbottigliamento e all’etichettatura; tra i filari, invece, è un’esplosione di germogli.

COMMENTO : chissà perchè le idee originali scaturiscono sempre in ambienti particolari...in questo caso il contesto è molto ricco e attraente; devo dire che in passato ho visitato l'azienda nel corso di una esplorazione enologica del territorio e da subito si percepiva che c'era un'attenzione particolare per la bontà dei prodotti e per il rispetto dell'ambiente.
Si percepisce che gli ideatori dell'iniziativa non hanno avuto troppo le mani legate dalla burocrazia che mortifica spesso gli interventi innovativi nella scuola pubblica. Secondo alcune ipotesi del passato, doveva esserci un'integrazione positiva tra il "pubblico" e il "privato", per creare un sistema formativo integrato; così non è stato, i due segmenti camminano su binari diversi, senza incrociarsi quasi mai.

A PRATO LE PRIME ELEMENTARI CINESI MULTILINGUE

Da "il Fatto Quotidiano" 28 aprile 2021

A settembre sarà inaugurata a Prato la prima scuola primaria cinese multilingue aperta ai bambini di ogni nazionalità. L’iniziativa è di Jan Hu o, come viene chiamata in città, della maestra “Giulia”. L’insegnante è arrivata in Italia nel 2001 e ha già alle spalle una notevole esperienza: nel 2017 ha fondato una scuola paritaria dell’infanzia a Campi Bisenzio e nel 2019 ne ha messa in piedi un’altra, “L’isola felice”, proprio a Prato in via Paolini. Ora per dare continuità al progetto didattico ha scelto di investire sulla primaria, affinché i bambini che frequentano la “materna” possano proseguire il loro percorso nello stesso stile educativo. Secondo la fondatrice il livello culturale della comunità è troppo basso.
Oltre che insegnante, Jan Hu è una vera e propria imprenditrice. La passione per l’istruzione fa parte della sua vita. Si è laureata nel suo Paese d’origine in Scienze della formazione primaria; ha preso una seconda laurea in risorse umane sempre in Cina e può vantare anche un master a Roma. Da vent’anni vive in Italia, dove è ben inserita nella comunità toscana tanto da aver fatto la mediatrice culturale nelle scuole di Campi Bisenzio.
COMMENTO: questa notizia, molto bella, fa il paio e può essere confrontata con la precedente, quella della scuola nelle vigne...
Dà ottimismo il sapere che ci sono idee per il futuro, da leggere in un'ottica sperimentale. Questi progetti nati dal basso superano di gran lunga in velocità le innovazioni della scuola pubblica. Il pensare ad una scuola multilingue aperta ai bambini di ogni nazionalità non è male: in effetti non c'è mai stata una logica efficace alla base degli interventi a favore degli alunni di altra nazionalità. Anche in questo caso è il "privato" che avanza sulla base di percorsi formativi diretti da "imprenditori" molto qualificati.


Le nostre classi sono pentole a pressione!

di Mauro Sandrini (estratto)

“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Macché Bartali: è la realtà del mondo della scuola nel maggio 2021 e sta già montando l’ennesima polemica. Un po’ di soldi sparpagliati qua e là per un fantomatico “Piano estate” che sembra concepito per permettere ai governanti di turno di finire sui giornali col solito ritornello: noi i soldi ve li diamo, ma i prof non sono interessati. Tradotto: gli insegnanti non hanno voglia di lavorare.
A me sembra l’ennesimo segno della fine della politica. Una politica che ha come interlocutori esclusivi i media e non riesce a più incidere sulla realtà, in particolare nella scuola dove, dopo un anno, tutti – studenti, famiglie e insegnanti – si stanno arrabattando per trarre in salvo una barchetta che fa acqua da tutte le parti.
Per comprendere questa realtà bastano le parole che un’insegnante, Luisa, di Mantova, ha postato qualche giorno fa su Facebook:
molti colleghi, presi dal programma da seguire a tutti costi, appena rientrati in presenza hanno iniziato a fissare interrogazioni e verifiche a raffica. Ieri entro in una mia classe: per la lezione successiva avevamo la verifica (fissata da tre settimane). I ragazzi mi implorano di non farla. “Perché?” chiedo. “Prof questa settimana abbiamo otto verifiche (!!!) senza contare le interrogazioni”.
Guardo in agenda sul registro elettronico, è vero… resto agghiacciata. E comincia uno sfogo a valanga. I ragazzi sono stremati, dicono che (giustamente) se hanno tutte queste verifiche, cosa imparano? Niente, perché non hanno neanche il tempo di fissare le cose. Giusto. La tensione cresce finché il più bravo della classe, urla tremante: “Questa non è scuola, io così non posso andare avanti, se bisogna continuare così quest’anno, io mi ammazzo!”. Non servono commenti. Lo mando in bagno a sciacquarsi la faccia e lo rassicuro che così non continuerà. Anche se dentro di me so che non è così.
È questa l’aria che si respira in aula, oggi. Aria avvelenata da virus che infettano il corpo e l’anima. Francamente non so quali siano i peggiori. Cosa possiamo fare?
A scuola ci vai per allevare il futuro, non per dare ordini a soldatini e neppure a impartire istruzioni. Per quelli sono sufficienti i tutorial su youtube. Per insegnare serve una forza emotiva che nessuno ti insegna all’università e che nessuno ti chiede di avere quando fai il concorso. Da qui, però, si potrebbe ripartire: dalla consapevolezza che nel mondo post Covid-19 non sono i banchi quel che servono di più e, attenzione, neppure le tecnologie, che ormai ne abbiamo fin troppe.
Servirebbero piuttosto strumenti di consapevolezza per affrontare questo caos sociale che siede sui banchi di fronte a noi ogni mattina e ci guarda con gli occhi sgranati dalla disperazione, dallo stress, dalla depressione. Noi siamo lì per insegnare, non siamo psicologi, ma con loro possiamo volentieri collaborare. È un punto di partenza piccolo, ma concreto, per intervenire e incidere, per “far sentire” il sostegno delle istituzioni. Ma non c’è già lo psicologo scolastico per questo? Per niente. Per quel che è il suo ruolo attuale è utile solo per diventare l’ennesimo parafulmine su cui si scaricano le tensioni delle centinaia di alunni di un istituto.
E quindi?
Se invece di buttare soldi in un piano per trasformare le scuole estive in enormi centri ricreativi, si finanziasse un percorso di supporto psicologico ai ragazzi e alle famiglie come avviene in Francia, questo sì, sarebbe d’aiuto.

COMMENTO: i contributi che ci fanno capire come funziona per davvero la scuola nella sua quotidianità sono sempre apprezzabili per la loro schiettezza e autenticità. Tante volte in ogni ambito della vita e quindi anche in educazione ci "facciamo prendere la mano", esageriamo. La buona scuola sembra essere quella che fa tante verifiche, che trasforma la routine in una gara di resistenza...no, non è così. L'idea, non nuova, di inserire figure di riferimento stabili (psicologi) in tutti gli istituti ha buone motivazioni, così come dimostrato dall'autore. Più che dello psicologo (che molte volte non ha mai lavorato in un contesto scolastico) sarebbe più utile lo psicopedagogista, figura professionale con una visione più ampia. Molti anni fa il Ministero iniziò una sperimentazione in tal senso utilizzando docenti di ruolo che avessero i titoli e l'esperienza per farlo. I risultati furono molto positivi, poi tutto, come tante volte è accaduto, non si perfezionò e non fu messo a regime. Peccato!