Editoriale
            (di F. Codebò)

SCUOLA: QUANTI A DISAGIO? QUANTI CON DISAGIO?

Care lettrici, cari lettori, in questo numero parliamo di disagio: lo ha deciso il Comitato di Redazione spinto dalla necessità di approfondire una tematica e un problema di grande attualità.
Partiamo intanto dal titolo dell'editoriale: non vuol essere un gioco di parole piuttosto banale ma intende ragionare sul fatto che è ben diverso, per una persona qualsiasi, essere a disagio o avere una forma di disagio. Essere a disagio vuol dire, in estrema sintesi, non star bene in una determinata situazione (spesso di gruppo) per un tempo limitato e circoscritto. Avere una forma di disagio vuol dire invece essere in uno stato di precarietà che si prolunga nel tempo e che può avere cause molto diverse e difficili da individuare. A scuola forse ci sono in contemporaneità entrambi i fenomeni: chi è a disagio (quanti docenti e dirigenti lo sono?) e chi ha disagio...  

Possiamo dire intanto che, parlando dei giovani, esistono tante forme di disagio; in ambito scolastico si parla di disagio scolastico, disagio giovanile-adolescenziale, disagio psicologico, disagio esistenziale. Non sono esattamente dei sinonimi, sicuramente la forma più grave e complessa è l'ultima che è necessario definire puntualmente.
Si tratta di uno stato in cui, in grado più o meno grave, il soggetto sente di non riuscire a godere dell'esistenza, a provare piacere, ad usufruire delle proprie risorse. Si sente disturbato da pensieri che non vorrebbe avere, si trova ad agire come non vorrebbe.
Questo stato patologico porta spesso a disturbi anche psicofisici gravi come l'ansia, la depressione, l'aggressività diffusa, la bulimia, l'anoressia, ecc.

 Sembra proprio che tanti giovani non soffrano di disagio scolastico o adolescenziale ma proprio del disagio esistenziale: sono per esempio in aumento, nel mondo occidentale, i giovani che si chiudono in casa e non vogliono più avere contatti con la realtà e con altre persone.  C'è anche una forma più sottile del problema che si riconduce al disagio nascosto di cui soffrono quei ragazzi che non riescono ad esternare il loro stato d'animo di sofferenza. Certi ragazzi invece sono in difficoltà in alcune esperienze di vita mentre in altre il loro stare è piacevole e positivo. 
Il problema forse sta diventando più complesso perchè a scuola questa forma di difficoltà si riconosce anche in tanti operatori e in tanti genitori alle prese con le difficoltà attuali della vita quotidiana?
Questa situazione di "disturbo" purtroppo non si riduce con la fine dell'adolescenza, ma rischia di durare, senza interventi adeguati, per molti anni.

Gli esperti del problema osservano poi che queste forme di difficoltà relazionali e comunicative non sono tipiche degli strati più "poveri" della popolazione (come si diceva o pensava una volta) ma riguardano tutte le fasce sociali; anzi nelle classi più abbienti i disturbi assumono forme più sofisticate e rare.
Anche la prospettiva storica è interessante: negli anni '60 nessuno parlava di disagio...forse il problema non era conosciuto o veniva catalogato in altro modo; probabilmente, comunque, i modi di vivere, in generale, erano più semplici e tali da non creare gravi problematiche   

Concentriamoci ora su due domande più specifiche che riguardano l'esperienza scolastica:
la scuola "importa" il disagio, o concorre a crearlo e/o ad aumentarlo?
La scuola ha il compito, in materia, di fare prevenzione e/o di curare le situazioni più problematiche? 

Spero che la lettura delle varie pagine vi permetta di farvi un'idea più precisa e personale in merito.
A questo punto sono in grado di riflettere solo sulla seconda domanda per dire che è ben difficile, in ogni situazione di vita, e quindi anche scolastica, fare contemporaneamente prevenzione e cura: pensiamo, per esempio al mondo della sanità dove i due aspetti vengono trattati quasi sempre con percorsi diversi.
A scuola, invece, dove tutto è organizzato in modo piuttosto rigido soprattutto nelle situazioni più problematiche, tutto viene gestito negli stessi spazi e tempi.  Per consuetudine e per gli indirizzi che vengono dall'alto  non si agisce ristrutturando il contesto, ma piuttosto sovrapponendo interventi e progetti sempre sulla stessa realtà che alla fine rischia di scoppiare per eccesso di cure. 
Ci vorrebbe quindi, in conclusione, una maggiore attenzione e riconoscimento anche economico  verso tutti coloro che vogliano sperimentare nuove linee pedagogiche e didattiche che cerchino di  disgregare una realtà forse troppo incardinata e che purtroppo deve fare i conti con obiettivi formativi troppo diversi.
Buon lavoro e buon viaggio, quindi, a tutti quelli che vorranno sperimentare in materia, con semplicità e giorno dopo giorno, nuove strategie d'intervento!