LAVORO DI TESI PER LA SPECIALIZZAZIONE
di CARLA BARZAGHI

Buongiorno a tutti! 
Ringrazio la Dirigente Scolastica  prof.ssa Paola Salmoiraghi per l'invito a questa iniziativa, che mi consente di trovare e ritrovare persone che da tempo
fanno parte della mia vita  e anche un nutrito numero di docenti ex  studenti e studentesse dei Corsi specializzazione sul sostegno istituiti negli ultimi dieci anni  dal Disfor dell’Università di Genova.  Molti di questi  mi hanno scelta come  relatrice della loro tesi di specializzazione, tesi  che rappresenta una parte importante dell’esame finale.
La tesi è un progetto formativo a tutti gli effetti.
Dalla scuola dell’infanzia all’università, sono i criteri  metodologici utilizzati  a  garantire  a qualunque livello di progettazione formativa congruenza ed efficacia , come ci è stato indicato dagli interventi che mi hanno preceduto .
Il Dipartimento di Scienze della Formazione ha la mission di promuovere  le competenze pedagogiche dei futuri docenti   non soltanto  promuovendo un sapere di tipo accademico ma  incrementando  la collaborazione con le scuole / con le reti di scuole  in quanto  terreno ottimale per  fare  ricerca educativa  in modo da diffondere   un atteggiamento sperimentale  ( Becchi e al., 1988).  Avendo l’opportunità , attraverso l’elaborazione della tesi, di mettere in campo  competenze di tipo sociologico e metodologico , i futuri docenti specializzati possano affrontare qualunque tipo di argomento arginando il rischio di  operare  generalizzazioni superficiali dei  problemi o presentando lavori di tipo compilativo -di cui non si sente il bisogno- attraverso l’abusato   “copia /incolla” di materiale recuperato  a caso in rete.

L’idea che mi ha guidato nel seguire le tesi di specializzazione come relatrice si può sintetizzare nella frase “Il miglior maestro non ha discepoli, insegna soltanto ipotesi “di Gesualdo Bufalino, (1987),  scrittore e  intellettuale di grande cultura ormai caduto nell’oblio.
Seguire la costruzione di una tesi rappresenta una forma di tutoring che si fonda su  un confronto metacognitivo tra docente e studente (Contini M.G., 2000)  i quali  dovranno imparare a conoscersi   condividendo alcune premesse concettuali, metodologiche e valoriali (i presupposti della scuola inclusiva, per fare un esempio). Si tratta inoltre di una fase del percorso di studio in cui possono essere valorizzate le qualità e le competenze professionali pregresse di ciascuno  degli specializzandi che possiedono un know-how  e una motivazione al ruolo di sostegno personale e non omologata.  Grazie a questa ricchezza, non c’è lavoro di tesi attraverso cui non abbia  personalmente  condiviso, appreso, approfondito io stessa nuovi contenuti, nuovi approcci , nuove strategie  per rendere la scuola più inclusiva ….
Risulta inoltre fondamentale sapersi muovere nel mondo della formazione e dell'informazione in rete per poter costruire il  progetto per la tesi . Per questo non mi sono mai tirata indietro di fronte a un'attività di servizio come quella di essere relatore di tesi (ne ho seguite sempre 10 all’anno con una “punta” di 15  nell’anno accademico 2020 /2021, anche a causa del graduale  progressivo aumento del numero degli specializzandi ).

Secondo i maggiori autori della Pedagogia Istituzionale (Andrea Canevaro, 1996), della Pedagogia Speciale (Canevaro, Ianes, 2019) e dei Disability Studies la sperimentalità dovrebbe  costituire  un pilastro   della funzione docente. (https://rivistedigitali.erickson.it/integrazione-scolastica-sociale/it/visualizza/pdf/1091 )
Ciò significa  che per mettere a fuoco un problema:
A) vanno ricercate le fonti: le fonti scientifiche, le fonti culturali, le ricerche precedenti a cui poter attingere per dare solidità, validità e identità culturale alla propria ipotesi di lavoro, avendo la consapevolezza che la ricerca è in continua evoluzione. Il caso delle importanti ricerche sullo spettro dell’autismo ne sono solo un esempio (Cottini, Morganti, 2015).
B) Si costruiscono strumenti di indagine internamente al proprio contesto professionale per poter indagare i diversi aspetti di un problema / per conoscere le diverse posizioni che si manifestano all'interno del corpo docente, tra le famiglie, tra gli studenti stessi, come abbiamo visto dalle relazioni che mi hanno preceduto.
C) Se si utilizzano strumenti d’indagine come il questionario o l’intervista si pone il problema metodologico della validità e della rappresentatività del campione. Tali caratteristiche possono creare le condizioni affinchè una procedura che risulti utile ed efficace possieda i requisiti per diventare una buona prassi in un contesto dato (Michelini, 2018) .
Attività di questo tipo potrebbero stare alla base della costruzione dei Piani per l’inclusione e delle indagini sui   processi di qualità che si attivano nelle Scuole, andando oltre il mero onere burocratico. 

La scuola secondaria di secondo grado offre un terreno particolarmente favorevole per sviluppare questi processi (Barzaghi, Azzini 2020), in quanto gli studenti possono essere i motivati protagonisti di una didattica che parta da situazioni di realtà e che si fondi sulla Ricerca – Azione (Traverso, 2015), oggi fortemente potenziata e facilitata dalla didattica digitale, dalla facilità di tabulazione dei dati, ecc.
Perciò un lavoro di tesi di livello accademico caratterizzato da un certo rigore metodologico   può incentivare al massimo il campo dell’innovazione didattica nelle scuole che coinvolge, aprendo nuove opportunità rispetto al successo formativo degli studenti.
Poiché chi mi ha preceduto ha impostato le proprie ricerche sull’inclusione partendo da problemi aperti, provo ad ampliare il dibattito attraverso ulteriori domande che vanno nella stessa direzione:
- Come si pongono i risultati scolastici nelle nostre scuole in rapporto ai dati nazionali di riferimento?
- I processi di innovazione didattica potrebbero incidere sui pesanti tassi di abbandono scolastico e di analfabetismo funzionale che impoveriscono a monte le future opportunità lavorative dei giovani?
-        Attraverso un progetto di continuità curricolare con la scuola secondaria di primo grado, come  possiamo misurare un miglioramento nei risultati di apprendimento degli alunni in alcune discipline nell’arco di un quinquennio?
- Quale accompagnamento al lavoro ricevono i ragazzi che frequentando i percorsi integrati ( Legge296/2006: D.M. n. 4 del 18 gennaio 2011)   seguono un PEI differenziato ? Quali sono i dati a nostra disposizione su questo campione di studenti e quale lettura dei dati risulta efficace nella prospettiva del progetto di vita?
E si tratta solo di esempi.

Dobbiamo sottolineare qui un limite di tipo temporale nella mia esperienza: un lavoro di tesi può proporre un’azione di ricerca  nello spazio / tempo  definito di un anno scolastico in parallelo alla durata del corso di specializzazione, mentre le domande qui sopra espresse richiederebbero tutte un respiro longitudinale, almeno della durata di un quinquennio .
Questo diventa possibile soprattutto se la Rete di scuole si impegna a lavorare su questi temi  coinvolgendo più scuole seguendo ad esempio un campione di alunni nell’ arco del quinquennio della scuola secondaria di secondo grado.
Molto spesso i dati che riguardano sia i numeri  del sistema scolastico  che le persone con disabilità , anche se sono a disposizione di tutti non vengono consultati, men che meno vengono utilizzati dalle scuole ( cfr.: rapporti ISTAT   istat.it/it/files/2022/12/Alunni-con-disabilita-AS-2021-2022.pdf Sito Ministero Istruzione e Merito  https://www.miur.gov.it/ )
Mi riferisco alla possibilità di mettere a confronto la situazione locale con la situazione territoriale regionale e nazionale per poi aprirsi anche al confronto internazionale (Dell’Anna e al. 2023) che è sempre più importante (www.european-agency.org). Stiamo verificando infatti che nel nostro Paese, nonostante il processo di integrazione / inclusione   scolastica dagli anni ‘70 del secolo scorso goda di una fittissima legislazione (nella scuola secondaria di secondo grado, solo dal 1987), molto spesso il progetto di vita dei ragazzi dopo la scuola non risulta essere inclusivo quanto le dichiarazioni di principio   consentirebbero di aspettarsi.
Per questo alcuni autori parlano di retorica dell’inclusione (Dell’Anna e al., 2023), evidenziando che per descrivere, comprendere e gestire un processo complesso come l'inclusione scolastica, è indispensabile averne una visione affidabile, esauriente e dinamica.
Grazie ai lavori presentati e anche ad altre tesi di docenti specializzati che vedo qui presenti in sala cito alcuni temi che lascio “aperti” alla riflessione dei presenti.
Il concetto di inclusione a cui la maggioranza di noi pensa, sembra riguardare solo alcune categorie di persone,  (in quanto così è strutturato il modello italiano), mentre il concetto di inclusione introdotto dalla Convenzione ONU del 2006 riguarda tutti gli studenti.
Infatti la definizione di inclusione scolastica a cui facciamo riferimento è la seguente:
                                                      ottenere il massimo degli apprendimenti nel massimo della partecipazione
                                                                                  ( Booth e Ainscow, 2014)
Si tratta di un diritto di tutti gli studenti, anche di quelli che presentano difficoltà pur in assenza di certificazioni sanitarie.  L’indicazione di lavoro, per la mia esperienza di Formatrice ma soprattutto di Dirigente scolastica in scuole collocate in area a rischio nella Valpolcevera e nel Ponente di Genova, è di approfittare della ricchezza di questo territorio che proviene:
- dalla eterogeneità sociale del territorio stesso, anche grazie alle realtà economiche e associative presenti che -pur nelle criticità di questo periodo – offrono a tutti gli studenti maggiori opportunità rispetto a un territorio segnato dal disagio socio-economico.
- dall’esperienza della rete di scuole “ Carlo Merani” (  intitolata a un carissimo, coltissimo  e mai dimenticato Collega) che ha saputo  esprimere attività di formazione condivisa di elevata qualità , non ultima proprio quella sulla costruzione del PEI  secondo il modello biopsicosociale (  Bedin, 2017).
- In un territorio accogliente, solidale e ricco di opportunità come questo, anche lo sforzo della scuola di interrogarsi al fine di  ottimizzare i processi interni e le opportunità dell’Orientamento sia tra ordini di scuola , sia verso l’Università e il mondo del lavoro , può ottenere risultati importanti nella condivisione , più che nella competizione tra scuole. Tale approccio risulta efficace   se saprà mettere in campo  tutti gli aspetti della continuità orizzontale con le famiglie e con gli altri Servizi e se sperimenterà - anche solo in alcune discipline - quel curricolo verticale che sarebbe un fattore di protezione e di incentivazione del successo formativo dei ragazzi e del loro futuro. (Lepri, 2019) 

Alla luce di quanto  ho appreso dagli specializzandi che nell’arco di 10 anni  hanno offerto il quadro di una realtà scolastica a livello regionale  totalmente disomogenea , se non addirittura contradditoria nel “modus operandi” , ritengo che per ottimizzare  l’esperienza formativa sul fare inclusione   occorra un approfondimento operativo sull’applicazione del principio di adattamento degli obiettivi della classe nelle varie discipline (Dovigo, 2017), che rappresenta il punto chiave  del processo di individualizzazione su cui si basano sia  il Piano educativo individualizzato che i Percorsi  didattici personalizzati ( Pdp) (Zambotti, 2015)  . Ma questo è un tema così importante che meriterebbe un approfondimento teorico e applicativo rivolto a tutti i docenti.
La domanda di fondo infatti è la seguente:
che senso ha individualizzare, se il PEI non è connesso con gli obiettivi e con  la progettazione formulata per tutta la classe?
So che questa è una provocazione -soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado - che vi regalo volentieri per iniziative successive …

Il dibattito pedagogico da 50 anni ha al centro una questione cruciale: qual è la differenza maggiore tra scuola dell’obbligo che si conclude a 16 anni e triennio del post - obbligo?
La risposta di molti, frequente purtroppo anche tra i docenti, è che la mission della scuola dell’obbligo sia  promuovere  tutti, ma solo nel senso di ammettere alla classe successiva indipendentemente dai risultati ,  quasi questa fosse una scusa  per fornire un titolo di studio ma non competenze corrispondenti: una scusa  per il non fare e implicitamente una dichiarazione di impotenza.
Al proposito, cito un pensiero del prof. Francesco De Bartolomeis (1969) – grande Pedagogista scomparso da pochi mesi a 105 anni di età, padre della scuola a tempo pieno nei primi anni ’70 e dell’organizzazione didattica per laboratori . Questo   pensiero è rimasto scolpito nel mio DNA professionale: nella scuola dell’obbligo la responsabilità dell’integrazione delle conoscenze e delle competenze per il singolo alunno è dei docenti, del consiglio di classe. Diversamente tradotto: nella scuola dell’obbligo il team docente deve preoccuparsi del dare senso al percorso formativo, deve sforzarsi di comprendere come tenere ciascun ragazzo dentro al percorso formativo. Solo più tardi si puo’ richiedere agli studenti una presa in carico autonoma del proprio percorso di studi.
Ma oggi questa presa in carico, è davvero condivisa? Perché i genitori a volte si accontentano di una promozione con debiti che di fatto non vengono mai effettivamente recuperati? E a chi spetta offrire occasioni di approfondimento e rinforzo? Alla scuola o alle ripetizioni private? La prassi di ammettere alla classe successiva   uno studente che non ha recuperato i debiti, come si chiama sul piano amministrativo?
Solo provando a rispondere a queste domande una scuola può affermare di seguire una strada inclusiva per tutti i suoi studenti.
Saper collaborare non è un punto di partenza. E’ un punto di arrivo. La formazione ne è lo strumento. Come si evince dai dati presentati dalla Prof.ssa Feno, a volte il lavoro in compresenza con il docente di sostegno può risultare fastidioso.  Si aggira in classe uno sguardo estraneo che sulla carta ha il mio stesso potere ma che inconsciamente posso sentire come giudicante nei miei confronti.  Ad esercitare il giudizio su qualcuno /qualcosa i docenti sono molto allenati, e sentirsi guardati mentre si fa lezione non è semplice. Ma quando scatta la consapevolezza che lavorare insieme mi aiuta, ciò è gratificante e migliora la didattica ( Fiorin, 2019) ; il consiglio di classe riesce a diventare un gruppo di lavoro. L’I care, diventa “we care” e i docenti possono sperimentare addirittura il piacere di lavorare insieme.
Il tema delle Alleanze educative interne ed esterne è molto ampio e si auspica che presto anche in Liguria le ASL adotteranno il profilo di funzionamento secondo le indicazioni dell’ICF, che in altre Regioni è in vigore da anni. Vorrei ascoltare da voi buone notizie, per questo. 

Mi avvio a concludere le mie riflessioni, riprendendo la domanda iniziale del prof. Antonaci:
“Perché un ragazzo con disabilità dovrebbe frequentare un Liceo?”
Penso che la risposta stia proprio nell’osservazione di alcuni caratteri di questa fase storica. Credevamo, scrive Alessandro Bergonzoni dalle pagine di “Avvenire”, di avere gli anticorpi, che gli errori del passato ci avrebbero resi irrimediabilmente migliori, e invece oltre ai venti guerra, assistiamo a un imbarbarimento del linguaggio pubblico che si esprime massimamente sui social e che rende ancora più fragili i nostri ragazzi.  Un termine che si presenta come opposto di inclusione è intolleranza intesa come: “incapacità naturale e biologica reazione al diverso.” (Enciclopedia Treccani)
Ma alla tolleranza ci si può educare.
Il liceo   ne può valorizzare al massimo   i presupposti filosofici e storici attraverso un’esperienza di tolleranza vissuta. Documentare un’esperienza di coeducazione in gruppi classe maggiormente eterogenei (nel senso delle diversità individuali e della provenienza sociale) può aiutare altri contesti scolastici a costruire percorsi in questo senso.
L'intolleranza non coincide con il razzismo, secondo Umberto Eco (2019) perché può essere di natura ideologica e riguardare anche persone che noi riteniamo simili a noi e che fanno parte del nostro villaggio. Nel caso, ad esempio, delle persone con disabilità non esercitiamo un vero e proprio razzismo ma assumiamo dei comportamenti abilisti.
Abilismo? ma che parola è? Concludo ma non chiudo, apro piuttosto, su un ulteriore terreno di ricerca.
Abilismo è un termine che viene dal mondo anglosassone che sempre di più le associazioni, e soprattutto i giovani con disabilità portano all'attenzione dei media . E’arrivato il momento di non vedere le persone con disabilità soltanto come persone con dei diritti sociali (che spesso si realizzano solo come interventi assistenziali). Le persone con disabilità sono titolari di diritti civili.
Tutti a volte assumiamo comportamenti abilisti verso le persone con disabilità: il pietismo, il confronto motivante          Vedi? se ce l’ha fatta lui…, l’occupazione dei posteggi riservati…( Bellacicco e al. , 2022)
«L’abilismo consiste nelle pratiche e negli atteggiamenti della società che sottovalutano le persone con disabilità e che ne limitano il potenziale»  https://www.linkabili.it/ .
A scuola spesso si odono espressioni abiliste che dovremmo esercitarci ad eliminare. Perché il contrario della parola rispetto è la parola disprezzo. Allora concludo davvero invitando me stessa e tutti i presenti a non scivolare nell’uso di un linguaggio ahimè diffusissimo tra i docenti che consiste nell’indicare un alunno non con il proprio nome , ma attraverso la diagnosi che è stata formulata  o con la categoria in cui è stato ingabbiato : ci sono alunni con BES o con DSA, ma  Carla , Fabio , Francesca , non sono BES o DSA , sono ragazzi e ragazze , con le loro paure, le loro aspirazioni  i loro talenti o difficoltà.
Una scuola inclusiva è una scuola che sogna e intravvede un futuro possibile per i ragazzi. Quelle etichette se le porteranno dietro come una zavorra , qualcosa per  cui avranno ricordi imbarazzati  e per cui forse si sono sentiti     derisi . Non ci vuole molto ad eliminare una fonte di disagio gratuito . Per favore, chiamiamoci tutti solo per nome.
Grazie per l’attenzione e buon lavoro !

Riferimenti bibliografici
Barzaghi C.M., Azzini F. (2020), Strategie inclusive nella scuola secondaria di secondo grado. Psicologia e scuola, n. sett. / ott.  Giunti Scuola, Firenze
Becchi E. ed al. (1988) Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa F. Angeli Milano
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Bellacicco R. ed al. (2022), Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia, Franco Angeli, Milano.
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Cottini L., Morganti A. (2015), Evidence-Based Education e Pedagogia speciale. Principi e modelli per l’inclusione, Carocci, Roma.
De Anna L., Covelli A., La pedagogia speciale nelle istituzioni internazionali. Gli organismi internazionali e l’educazione inclusiva, in P. Crispiani (a cura di), (2016) Storia della pedagogia speciale. L’origine, lo sviluppo, la differenziazione, ETS, Pisa.
Dell’Anna S., Bellacicco  R., Ianes  D. (2023)  Cosa sappiamo dell'inclusione scolastica in Italia? Contributi della ricerca empirica,   Centro Studi  Erickson , Trento.
De Bartolomeis F. ( 1969) La ricerca come antipedagogia  La Nuova Italia , Firenze ,
Dovigo. F. (2007), Fare differenze -Indicatori per l’inclusione scolastica degli alunni con bisogni educativi speciali Erickson TN.
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