25 aprile: pacificazione o revisionismo?
La via non violenta
della giustizia riparativa

                                                                            di Andrea Poggiali

Mi chiedo come mai nel nostro bel Paese sia così difficile fare i conti con il passato in modo da definire con chiarezza il rapporto tra fascismo e antifascismo.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Una cosa è il fascismo che della violenza ha fatto la struttura portante ed il metodo politico per imporre le idee di regime attraverso omicidi politici, confino per i dissidenti, nazionalismo, difesa degli interessi delle classi dominanti, razzismo, azzeramento delle opposizioni e della libera stampa, propaganda nella scuola e nella cultura, guerra … e un’altra cosa è l’antifascismo che, alimentato da sorgenti anche molto diverse per cultura politica e ideali, vede nell’opposizione a quel metodo la sua ragion d’essere e ha portato alla redazione della Costituzione, proprio per questo antifascista e fondata sulla pace (Art.11).

 

L’ambito educativo

 

Di passi avanti è difficile vederne sia nel dibattito pubblico che si incancrenisce su posizioni contrapposte, sia nell’ambito della formazione dove si constata l’assenza nelle nostre scuole, a parte casi sporadici, di una formazione alla cittadinanza politica che sviluppi una riflessione sugli anni più difficili della nostra storia post bellica: il periodo degli anni di piombo tra il ‘69 e gli anni Ottanta, nonostante il DL.682 del 1996 firmato da Luigi Berlinguer che riscriveva la scansione temporale per la Storia, prescrivendo che il quinto anno fosse esclusivamente dedicato al Novecento.

Per me, come docente, il tema privilegiato è proprio quello educativo. Sono le nuove generazioni che, abbandonati i livori che caratterizzavano gli anni di piombo, potrebbero ricostruire una nuova solidarietà sociale se aiutati a conoscere e capire la nostra storia più recente.

Purtroppo la questione rischia di rivelarsi un circolo vizioso: da un lato la scuola potrebbe costituire un ambiente/laboratorio ideale per discutere su come arrivare ad una reale presa di coscienza, dall’altro però risulta difficile farlo in mancanza di un dibattito pubblico aperto, ma soprattutto onesto e non ideologico.

Voglio dire che è difficile pensare ad una autentica ricerca di dialogo nel momento in cui si mettono in bella mostra i busti di Mussolini o ci si raduna sotto il segno del saluto romano! L’idea che alcuni esponenti dell’attuale maggioranza hanno di pacificazione è più simile a una semplice parificazione dettata dal revisionismo storico. Da un lato si rivaluta un fascismo “buono” da redimere e dall’altro lato si condanna solo il fascismo “cattivo”, subito assimilato al comunismo che viene considerato addirittura più nefasto (le dittature). Questo mi pare essere il senso delle recenti mosse politiche del Presidente del Senato che, proprio nel giorno della Liberazione, ha visitato la tomba di Ian Palach considerato un eroe anticomunista (ma dimenticando che la Primavera di Praga voleva istituire un “socialismo dal volto umano” e non uno sfrenato liberismo né, tanto meno il nazionalismo). Una scelta, questa, molto singolare per chi dovrebbe essere un esempio per la riconciliazione nazionale che si inscrive piuttosto nella ricerca di un’egemonia culturale nuova, sostitutiva di quella cosiddetta “di sinistra”.

 



Cosa fare? Un modello possibile: la giustizia riparativa

 

Siamo molto in ritardo su questo punto. Una seria riflessione sul rapporto tra il fascismo che ha caratterizzato la prima parte del secolo scorso ed ha avuto un largo consenso popolare e l’antifascismo, che ha dato vita alla Costituzione Repubblicana, comporta a mio avviso un percorso di autocoscienza storica che sappia rifondare una coesione sociale ed una cultura comune.

Dall’anno scolastico scorso, con la collega Alessandra Risso e grazie alla mediazione di Davide Capone, abbiamo intrapreso un interessantissimo percorso sulla giustizia riparativa e sul concetto di perdono, che prevedeva un laboratorio sulle teorie della giustizia, sulla pena carceraria e sulle misure alternative, aperto dall’analisi dell’incontro, tenutosi a Camogli, tra Mauro Palma (Garante nazionale delle persone private della libertà), Marco Travaglio (scrittore e giornalista) e Gherardo Colombo (scrittore ed ex magistrato) di cui abbiamo letto: Il perdono responsabile (ed. Ponte alle grazie). Il momento più significativo del percorso è stato il doppio incontro con Agnese Moro e Franco Bonisoli, uno dei brigatisti della cellula che rapì e uccise Aldo Moro. Proprio quest’ultima esperienza mi pare utile e paradigmatica per impostare un percorso di autentica pacificazione. Moro e Bonisoli con fatica e dolore ma anche con grande tenacia e senso di giustizia sono riusciti faticosamente ad avvicinarsi per dare un senso al sacrificio delle tante vittime del terrorismo. Oggi portano avanti il loro progetto nelle scuole e dimostrano con la loro presenza di aver stretto un’amicizia caratterizzata dal rispetto reciproco. Ma questo ha comportato un grande sforzo di apertura all’altro da parte di Agnese che ha così voluto superare una vita fondata sul rancore e sulla sete di vendetta che avrebbero finito per consumarla, e un altrettanto faticoso sforzo rigenerativo per Franco che ha dovuto fare i conti con la propria coscienza prima obnubilata da distorte idee rivoluzionarie.

È questa sincera apertura e questa autocritica che mancano oggi nel dibattito pubblico. Rendere collettivo ciò che si è dimostrato possibile per singoli individui può essere una strada percorribile?

Se la risposta è affermativa è necessario che, almeno chi ha responsabilità di governo, faccia questo atto di ripudio sincero verso un movimento, il fascismo, che ha nel suo stesso “codice genetico” la violenza e la discriminazione verso chi ha idee differenti o è diverso per qualche caratteristica personale. Insomma si dovrebbe affermare una volta per tutte che non c’è un fascismo buono, soprattutto oggi in un’Europa che vede una preoccupante ripresa di movimenti negazionisti, neofascisti e neonazisti.