Dai lettori...

FEBBRAIO 2020

Tra i molti che ci scrivono abbiamo selezionato questi due contributi: - Anna Olivieri, ex docente di sc. Secondaria esperta in materia, si prende un impegno per il futuro che volentieri registriamo: “scriverò qualcosa sullo studio del territorio che mi sta molto a cuore, distinguendo fra ambiente, territorio, paesaggio.”

Luca Pani del Comitato scrive in merito al problema “adolescenti e cellulari”: “...e senza cellulare chi sono?”

Una provocazione e una domanda. Forse anche una proposta di riflessione profonda, un tentativo di separare il nostro io dall’oggetto degli oggetti: il cellulare. La domanda potrebbe anche essere posta, oggi più che mai, in questi termini: “cellulare a scuola: strumento o trappola”. Nel Web non si contano gli articoli di esperti che in merito all’uso del cellulare a scuola si schierano “pro” o “contro”: c’è chi eleva il cellulare a strumento didattico e chi lo mette al bando. Una cosa è certa: l’ordine di scuola che più “soffre” la presenza dell’oggetto degli oggetti è quello della Secondaria di primo grado e l’ultimo anno della scuola Primaria. Si moltiplicano i casi di uso improprio del cellulare a scuola da parte dei minori, durante le lezioni... e in tutti gli spazi dove si svolge la giornata scolastica. In alcuni casi mancano, nei Regolamenti di Istituto, norme in tal senso, in altri sono presenti le norme, ma i Dirigenti Scolastici procedono di testa propria e danno indicazioni “contrarie” agli stessi Regolamenti di Istituto, dimenticando che forse tali norme sono il frutto di un “Patto”, deciso e sottoscritto da genitori e scuola. Peggio ancora, in molte realtà scolastiche, si punta il dito contro il docente: il minore usa di nascosto il cellulare in classe? mancata vigilanza... quindi provvedimento disciplinare. Mi domando, a tal proposito, come può riuscire un docente a monitorare 15/20 cellulari, chiusi nello zaino, nelle tasche delle felpe! Difficile... molto difficile! Occorre, secondo me, sedersi attorno a un tavolo e ristabilire un PATTO EDUCATIVO tra genitori e docenti. Lo sappiamo! E’ faticoso! Molto più facile organizzare convegni aperti alla città, invitare il massimo esperto del momento. Tutto questo è utile, non ci sono dubbi, ma dobbiamo ristabilire un canale comunicativo tra genitori e docenti, non c’è tempo da perdere! Per il bene dei nostri ragazzi... altrimenti perdiamo il senso della nostra vera identità: noi siamo noi, con un nome, una storia, non siamo solo “profili” virtuali e, ancor meno, elevarci ad inquisitori dei nostri ragazzi. Massimo Recalcati, nel commentare le riflessioni di Papa Francesco a proposito dell’uso del cellulare a tavola, ha scritto: "Nessun rapporto è al riparo da conflitti e incomprensioni. Forse per questo spesso si preferisce il partner tecnologico a quello reale". Incontriamoci, dialoghiamo, confrontiamoci, entriamo in conflitto con chi educhiamo e con chi porta avanti insieme a noi l’arte faticosa dell’educare. “Io sono”, “Noi siamo”... anche senza cellulare.


MARZO 2020

Tra i molti lettori che ci scrivono abbiamo selezionato questi tre contributi molto qualificati :

  • Anna Olivieri , ex docente di sc. Secondaria esperta in materia, ha mantenuto la promessa fatta, inviando un suo scritto “sullo studio del territorio”


LA DIDATTICA DEI LUOGHI.

Visita a…………………………

Obiettivi di riferimento:

-sviluppare una didattica dei luoghi in grado di valorizzare visite didattiche e lezioni itineranti

-interrogare i luoghi della memoria alla ricerca delle tracce del passato e segni del presente che si possano trasformare in

-fonti per la ricostruzione di eventi storici o in strumenti per l’educazione alla cittadinanza.

Conoscere i concetti di diritto, dovere e libertà responsabile, identità, pace, sviluppo umano, cooperazione, sussidiarietà.

Premessa teorica

Mi sembra importante sottolineare che un oggetto può trasformarsi in fonte solo se assunto in un progetto conoscitivo ben articolato che è propedeutico al reperimento delle fonti stesse.

Dunque la fonte nasce ogni volta che qualcuno provvisto di pre conoscenze si crea un bisogno di informazioni sul passato mediante la tematizzazione o la problematizzazione e le informazioni non sono emesse dalla fonte ma costruite da chi indaga E’ un processo di costruzione intellettuale

In questo processo sono fondamentali le operazioni di selezione e contestualizzazione che, come scrive E. Morin tende a produrre l’emergenza di un pensiero “ecologizzante”, nel senso che situa ogni evento, informazione o conoscenza in una relazione di inseparabilità con il suo ambiente sociale, culturale, economico e naturale, in un approccio cioè transdisciplinare.

Ricadute didattiche:

- La trasformazione in fonte di un contesto di segni prevede una selezione, cioè fissazione di certe informazioni, che vengono tradotte in elementi della ricostruzione e della trascuratezza di altri, dichiarati non pertinenti.

- Una stessa fonte può essere sfruttata in diverse problematizzazioni

- Nessuna fonte ha il potere di restituire la realtà del passato, ma una fonte contiene soltanto materiale per la sua ricostruzione.

- Colui che indaga non ha una presa diretta sul passato perché tra lui e il passato ci sono le fonti, dunque del passato viene ricostruito ciò che è consentito dalle informazioni prodotte.

(Dalle lezioni di Ivo Mattozzi, corso di preparazione per docenti tutor per l’insegnamento della storia contemporanea, Genova aa ss.1998-99-2000)

Simulazione


Classe interessata: terza media, 17 alunni Scuola G Garibaldi di Ne, prov. Ge, entroterra del Golfo del Tigullio

Visita guidata al campo di concentramento N 52 di Calvari Pian di Coreglia. Comune di Orero., in occasione del Giorno della Memoria. La località si trova in Fontanabuona, a 30 minuti di bus dalla scuola. Resti visibili: palazzina del comando tedesco.

Progetto conoscitivo: La persecuzione degli Ebrei e il concetto di razza del nazismo e del fascismo.

Punto di partenza degli alunni

1- ciò che studiamo sul libro di storia ci sembra lontano e quasi inverosimile per la sua ferocia e insensatezza.

2- Analizziamo se anche vicino a noi sono successi episodi di persecuzione razziale

Punto di partenza per l’insegnante

a) Studio di storia locale in una logica interdisciplinare per poter studiare nella loro complessità i diversi soggetti in uno spazio e in un tempo

b) Raccordo con altri studi di storia locale quale “Gli anni del fascismo, della guerra, della Resistenza nel comune di Ne” elaborato dagli stessi alunni.

c) Possibilità di continui rimandi fra storia locale e generale, intendendo la prima non come sinonimo di dilettantesco o campanilistico, ma come altamente formativa perché attraverso essa si acquisisce un modello di indagine, applicabile ad ogni contesto per procedimento analogico.

Fino a pochi anni fa, l’esistenza del campo di Calvari era ignota alla maggior parte della nostra popolazione, relegata nei ricordi di qualche anziano del luogo, forse perché ritenuta una testimonianza scomoda del passato. Nessun storico, se non di sfuggita, ne aveva mai scritto o reso testimonianza.

La riscoperta si deve ad uno storico locale, Giorgio Getto Viarengo, che con caparbietà e precisione, ha sollevato il velo dell’oblio, suscitando non poco clamore. Infatti fra i testimoni, perché sorvegliante del campo, vi era il Sindaco del comune limitrofo di S. Colombano Certenoli, chiamato a ricordare un passato per lui poco piacevole.

Inoltre quando si parlava a scuola di persecuzione del popolo ebraico si faceva riferimenti a volte al campo di raccolta di Fossoli, senza citare mai quello di Calvari.

Il campo nasce come luogo di prigionia per soldati avversari fino all’armistizio e poi resta vuoto per un periodo per poi essere trasformato in luogo di raccolta e detenzione per ebrei, liguri che dopo un breve trasferimento al carcere di S. Vittore a Milano saranno deportati in campi tedeschi. Nessuno sopravviverà. Neanche Nella Attias, di cinque anni, la più giovane del campo.

Dopo questo “trasporto”del 21 gennaio 44 non transitarono più ebrei, il campo riprese l’attività in marzo ospitando prigionieri politici, che furono di lì a breve trasportati a Fossoli. I militari tedeschi restano fino al novembre del 44.

Percorso didattico. Durata 20 ore

Materiale da esaminare e classificare in varie tipologie di fonti dagli alunni:

mediante datazione, attenta lettura o visione globale, discriminazione delle informazioni dirette e pertinenti, incrocio con altre fonti, critica delle informazioni, schedatura.

1- Lettura delle Leggi di Norimberga del 1935, in particolare “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”.

2- Le leggi antisemite del 38 in Italia e loro conseguenze sulla vita quotidiana degli ebrei italiani Dal libro di testo di storia “Il percorso delle grandi trasformazioni” di Guarracino- Brusa ed. Bruno Mondadori.)

3- Visione del film “Jona che visse nella balena”di R. Faenza

4- Lettura dell’articolo del quotidiano La Repubblica del 6-2-04 “Il fascismo antisemita prima del 38” di Mimmo Franzinelli

5- Lettura di lettere di due deportate a Mauthansen abitanti in località vicina alla scuola.

6- Lettura di brani del libro “Documenti per una storia del fascismo nel circondario di Chiavari” di Giorgio Getto Viarengo ed. Pane e vino.

7- Proiezione con il video ingranditore delle piantine del Campo per prigionieri di Calvari, poi trasformato in campo di passaggio per ebrei.

8- Lettura di articoli di Fiamma repubblicana, organo dei fasci di combattimento della zona di Chiavari.

8- Lettura di articoli di quotidiani locali in occasione speciali (es. inaugurazione lapide commemorativa)

9- Visita a ciò che resta del campo e cioè: palazzina del comando oggi adibita a privata abitazione, restaurata ma lasciata integra nella struttura originaria, infermeria nella zona del fiume, visibile solo dall’esterno.

10- Dopo la visita, confronto con l’autore del libro Giorgio Viarengo per approfondimenti e ricerca di collegamenti.

VALUTAZIONE DA PARTE DEGLI ALUNNI

Interesse per la visita

Interesse per documenti particolari

Interesse per altri argomenti non affrontati

Attività più gradite

VALUTAZIONE DA PARTE DELL’INSEGNANTE

ORGANIZZAZIONE: trasporti, durata incontri, reperibilità materiale accesso alle fonti, rapporto con esperti

PROGETTAZIONE: efficacia dei sistemi di progettazione, realizzabilità di raccordi interdisciplinari, collegamento con altri percorsi didattici

CONDUZIONE. Effettiva praticabilità delle attività, interesse da parte degli alunni

VERIFICA: efficacia tipologie prove di verifica in rapporto ai contenuti, in rapporto all’acquisizione di metodo storico.


  • Marco Codebò, professore ordinario di italiano e francese presso l’Università di "Long Island University" - Brokville (stato di New York) ha mandato questo suo interessante contributo riguardo alla situazione dell’insegnamento a distanza nelle università americane

Nelle università degli Stati Uniti l’insegnamento a distanza ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni 90 del secolo scorso. Secondo dati del Department of Education, nel 2012, su poco più di venti milioni di studenti universitari quasi sette erano iscritti a corsi online. Numeri che sono chiaramente cresciuti negli anni a seguire a causa sia dei progressi della tecnologia sia dei costi crescenti dell’istruzione universitaria tradizionale. Rispetto a quest’ultima quella a distanza consente infatti risparmi significativi. Prima dell’attuale epidemia la didattica a distanza si svolgeva in prevalenza in modalità asincrona, vale a dire con studenti e insegnante mai tutti presenti contemporaneamente in rete. Non si creavano, insomma, classi virtuali. Nei corsi asincroni l’insegnante è un programmatore e un coordinatore. Esegue la maggior parte del suo lavoro prima che inizi il corso: raccolta dei materiali, organizzazione dei lavori di gruppo (Forum, Wiki, scrittura collettiva di testi in Google Doc), preparazione del calendario del corso, nonché di quiz, test e altri strumenti di valutazione. La modalità asincrona si è imposta innanzitutto per ragioni pratiche. I corsi online si indirizzano a studenti che, oltre a poter vivere in quattro fusi orari diversi, hanno impegni di lavoro e famiglia tali da rendere impossibile una loro comune presenza alla stessa ora davanti al computer. Esistono, però, altrettanto importanti ragioni pedagogiche. In rete si possono effettuare attività di gruppo asincrone (quelle di sopra accennate) che sfruttano appieno l’interattività insita nei media digitali. La lezione frontale via schermo, invece, risulta essere una copia più fredda di quello che accade in una classe tradizionale. La proporzione fra corsi sincroni e asincroni è completamente cambiata nelle ultime due settimane, quando tutte le università situate nelle aree colpite dall’epidemia sono passate all’insegnamento online, a grandissima maggioranza in modalità sincrona. Non c’era evidentemente altra scelta, sia per l’impossibilità di addestrare gli insegnanti sia per assicurare una qualche continuità con le lezioni in persona tenute prima del manifestarsi dell’epidemia. Dal punto di vista pedagogico, le settimane da qui alla fine del semestre saranno così un grande esperimento. Mi sento di poter anticipare che, alla fine, le università non torneranno completamente indietro: forse solo per un risparmio sui costi, specialmente nell’area umanistica, metteranno in rete una quota crescente dei loro corsi.

  • M. Parodi, dirigente scolastico , autore e fondatore del movimento “basta compiti” ci ha inviato questo articolo pubblicato su Tuttoscuola:


La scuola al tempo del contagio

Fuor di retorica tecnofrenica, le testimonianze di moltissimi genitori, già esacerbati da una condizione di straordinario disagio, confermano la propensione ad appaltare lo svolgimento di parti sempre più cospicue del curricolo scolastico alle famiglie che, ovviamente, non sono professionalmente attrezzate per affrontare il “compito” improprio.

Nulla di nuovo, dunque, ma l’esasperazione, dovuta all’eccezionalità delle circostanze, di un paradigma indiscusso, inespresso, addirittura inconsapevole, ma fondamentale: a scuola si insegna e si impara a casa.

Si tratta di un principio che ignora patentemente la riflessione sulle competenze di cittadinanza (l’imparare a imparare) e le stesse “Indicazioni nazionali” (a proposito di metacognizione), istanze che dovrebbero essere recepite da tempo ma che restano, invece, estranee alla didattica reale.

È per effetto di questa impostazione, assurda e consueta, che la scuola si concede invasioni di campo pedagogicamente inammissibili, espropriando gli studenti degli indispensabili spazi di rigenerazione cognitiva e affettiva – dopo le tante ore trascorse inchiavardati negli angusti stalli di strutture inadeguate anche rispetto a logiche puramente concentrazionarie.

In questi giorni sembra diffondersi la tendenza alla completa esternalizzazione del “processo”, interamente demandato allo studente e ai genitori, laddove gli stessi siano in condizioni di potersi sostituire ai docenti, ciò che produce un ulteriore aggravamento del carattere censitario della scuola italiana, già drammaticamente discriminante (siamo ai vertici delle classifiche Ocse per incapacità di compensare le diseguaglianze di partenza).

Si riversano caterve di compiti, che già abitualmente opprimono fino all’esaurimento del tempo e delle energie, su bambini e ragazzi isolati perciò, paradossalmente, in condizioni ottimali (nessun compagno che disturbi) per ascoltare la lezione e svolgere gli esercizi.

Delle due, l’una: o l’insegnamento può essere delegato allo studente e alla famiglia, e allora non si capisce a cosa servano la scuola e i docenti, oppure gli insegnanti svolgono un ruolo insostituibile, come delineato dalle stesse “Indicazioni nazionali”, e allora non può essere rimesso a chi non può e non deve occuparsene.

Questa triste evenienza potrebbe essere una buona occasione per ripensare i paradigmi, il senso, la filosofia di un sistema in gravissima crisi peraltro agevolmente trascurata giacché trattasi di apparato autoreferenziale e ipertutelato.

Ma lo sarà solo per quei docenti (e ve ne sono) che, tra mille difficoltà, di ogni sorta (carenze di risorse, organici, strumenti…), incomprensioni ostilità (anche da parte dei colleghi), già si impegnano ben oltre gli obblighi di servizio, con sensibilità e intelligenza, per qualificare gli “ambienti di apprendimento” nei quali operano (coloro i quali riescono anche in questa gravosa situazione a stimolare e sostenere la crescita dei loro studenti).

Per tutti gli altri, si tratterà della penosa conferma, anzi dell’“aulica” celebrazione di un malcostume pedagogico sempre più diffuso e nefasto.

APRILE 2020


Tra i tanti lettori che ci scrivono sono stati selezionati due contributi molto interessanti; il primo lo troverete subito dopo la presentazione, il secondo, in versione integrale, in allegato. Gli autori degli scritti sono :

- Giuliana Parrucci , docente di sc. primaria (in pensione ) e componente del Comitato di Redazione;

- Ainino Cabona – dirigente scolastico in pensione.


LA DIDATTICA DI MASSA A DISTANZA ( di G. Parrucci)

Certo non è paragonabile all’Italia degli anni Sessanta,tv in bianco e nero,un carboncino e un foglio, ma non c’è dubbio che le numerose iniziative mediatiche didattiche che si stanno diffondendo nei giorni dell’emergenza coronavirus richiamino alla mente,almeno a me è successo,la pionieristica trasmissione di Alberto Manzi “Non è mai troppo tardi”.

Nell’ottobre 2019, a Carrara ho avuto l’opportunità di visitare un’interessante mostra a lui dedicata,che mi ha particolarmente “intrigata” trovandoci tanti spunti di attualità. Il “maestro degli italiani”, riproduceva in televisione delle vere e proprie lezioni di scuola primaria,con metodologie didattiche innovative,davanti a classi composte da analfabeti o semianalfabeti. Le trasmissioni andavano in onda nel tardo pomeriggio,prima della cena; Manzi utlizzava un grosso blocco di carta montato su cavalletto sul quale scriveva con un carboncino,semplici parole o lettere,accompagnate da un rapido e al contempo accattivante disegnino di riferimento. Delle volte usava anche una lavagna luminosa,per quei tempi molto suggestiva.

Con quarant’anni di anticipo aveva ideato una lavagna interattiva multimediale. “ Non insegnavo a leggere e scrivere: invogliavo la gente a leggere e a scrivere” precisò Manzi. Ma torniamo ai tempi nostri, oggi come allora, a causa della situazione emergenziale, il mondo della scuola si trova di fronte ad un enorme cambiamento didattico,ma anche culturale. Si è aperto un dibattito dal quale emerge non solo la predominante impreparazione tecnologica degli insegnanti (causata da diversi motivi), ma anche la mancanza di strumenti adeguati per larghe fasce di popolazione.

Si legge che oggi sono circa 1200 i Comuni che non dispongono di una connessione veloce e un quarto degli studenti non ha accesso alle tecnologie basilari. Ne deriva che, con una didattica a distanza zoppicante, il Sistema Scuola fa passi indietro perchè aumenta il divario dei livelli di apprendimento e amplifica le differenze di classe sociale.Soprattutto viene meno il senso di comunità scolastica, intesa come formazione per integrare le persone, già difficile da realizzare con l’insegnante fisicamente presente in classe con tutti gli alunni davanti a sé.


Partigiani a Villa Zarello (Santa Margherita di Fossa Lupara) - Ricordi del 25 aprile

(di Ainino Cabona)

Partigiani a Villa Zarello (Santa Margherita di Fossa Lupara)

Ricordi del 25 aprile

(di Ainino Cabona)

A Santa Margherita di Fossa Lupara è forte la tradizione Partigiana. Il 25 Aprile, negli anni scorsi, era celebrato con una Messa in parrocchia e un successivo incontro presso il cippo dei caduti della vallata, nei pressi del Circolo Virgola, dedicato al Comandante Divisione partigiana garibaldina Coduri: Eraldo Fico “Virgola” (1915/1959).

Inoltre il 25 aprile era ricordato con una manifestazione all’Istituto di Istruzione Superiore “Natta – Deambrosis” di Sestri L (Come tutti sappiamo: Giulio Natta è stato un grande scienziato italiano e Giovanni Vittorio Deambrosis un partigiano, caposquadra di un reparto della Coduri che il 20 gennaio 1945, per sfuggire a un grosso rastrellamento si era nascosto con i suoi uomini a Ossegna (SP). Dietro segnalazione di una spia, venne catturato e rinchiuso nelle carceri di Chiavari. Dove, per rappresaglia, il 15 febbraio successivo venne prelevato e, insieme con altri, fucilato alla Squazza sopra Borzonasca (GE)).

Io partecipavo al raduno presso il circolo Virgola con mio padre fino al 2008, anno della sua scomparsa e organizzavo il secondo per l’incarico di Dirigente Scolastico dell’Istituto dal 1999 al 2008, anno del mio pensionamento. Dopo ho sempre partecipato con mia moglie, su gentile invito dei dirigenti scolastici che si sono succeduti, a tutte le edizioni successive.

Per le note vicende quest’anno non si è potuta svolgere né la Messa nella chiesa di S. Margherita F.L., né l’incontro al Virgola e ovviamente neppure l’incontro all’Istituto “Natta – Deambrosis”.

Questa triste e tragica contingenza, spesso impropriamente paragonata a una guerra, mi induce a una riflessione sulla situazione a Zarello e a Santa Margherita di Fossa Lupara, dall’8 settembre 1943 alla Liberazione del 25 aprile 1945.

Santa Margherita di Fossa Lupara dal 1943 al 1945 era zona di guerra. La Wermacht aveva il comando nella Ramaia in una villetta, con postazioni antiaree a fianco e sopra il Cimitero di Santa Margherita F.L., gli alpini della Monterosa erano accampati a Zarello.

A Verici, sopra Zarello, nel comune di Casarza Ligure iniziava la zona partigiana. Di notte, a bassa quota ronzava minaccioso l’aereo da caccia “Pippo”; nelle ventiquattr’ore non mancava quasi mai il sordo rombo dei caccia alleati che spesso sganciavano direttamente a Sestri o nelle città del Tigullio con vittime, feriti e distruzioni. Per fortuna gli abitanti di Zarello vicino a casa, in un boschetto di proprietà della Chiesa, nei pressi dell’accampamento della Monterosa, avevano scavato nella collina una galleria usata come rifugio antiaereo.

Incurante della presenza dei tedeschi e della Monterosa mio padre sopra il Cimitero, al limitare del bosco, segava i pini per ricavare legna da ardere che usava per estrarre il sale dall’acqua di mare raccolta a Riva Trigoso. Raccontava spesso che i militari tedeschi dislocati sul posto, minacciavano di portarlo in Germania perché sguarniva le loro postazioni. Per fortuna ciò non avvenne. Inoltre egli fece qualche viaggio per portare materiale da Zarello a Valletti al comando della Coduri, tra cui uno del quale parlava spesso il giorno prima di un rastrellamento.

Allora, a fianco della casa di Villa Zarello 6, vi era il pollaio separato da un sentiero. I militari tedeschi avevano messo occhio sulle galline. Quando sparirono sei galline mia madre andò da sola al comando tedesco per protestare. La cosa finì così ma le galline non tornarono.

Sono Ainino Cabona nato nel 1947, figlio di Cabona Giuseppe (1913/2008) e di Bernardello Felicina (1921/2005) residenti dopo l’8 settembre in Villa Zarello 6, con mio fratello Sebastiano “Bastianino” (1944/1946), conviventi con Bernardello Sebastiano (1892/1980), mio nonno e con Vattuone Felicina (m.1944) mia bisnonna. Ricordo che negli anni a cavallo del 1960, per molto tempo, almeno fino al 1968, in occasione della festa della Liberazione, nella casa dove sono nato, Villa Zarello 6, si radunavano alcuni partigiani della Coduri per un pranzo preparato da mia madre, buona cuoca. Altri venivano durante l’anno per salutare mio nonno Sebastiano Bernardello “Bastian” o “Colonnello”, e mio padre.

Tra le persone di cui ho un ricordo per le numerose visite sono i Partigiani “Bocci”, “Leone”, “Violetta” e “Miro” suo marito, sepolto nel cimitero di Sestri L.

Bocci, al secolo Giovanni Sanguineti (1914/1995) di Barassi, Cavi di Lavagna, è stato Capo di Stato Maggiore della divisione “Coduri”.

Leone, al secolo Bruno Monti (m. 1984) Commissario politico della “Coduri” originario di Milano, a lui è intitolato un parco urbano di Sestri Levante ed è sepolto nel cimitero di Riva Trigoso (Sestri L.).

Violetta al secolo Irene Giusso (1918/2016) partigiana della Coduri era la moglie di Miro.

Miro al secolo Vladmiro Cosso (1920/2015) vicecommissario amministrativo della Coduri.

Tra le cose che si facevano il 25 Aprile e che si fa tuttora, c’è l’omaggio al cippo “Monumentu” in località Zarello in un bosco poco distante da Villa Zarello 6, dove sono stati fucilati in tempi diversi sei alpini della Monterosa in fuga per unirsi ai partigiani. Si tratta di Grasso Vittorio fucilato il 04/08/1944 e di Mantovani Gino, Mercatelli Termine, Nardini Rolando, Gualandi Rino, Travasoni Raul fucilati insieme il 19/08/1944. Molti di questi fucilati erano di Argenta (FE). Io ho un vivo ricordo dei parenti dei sei fucilati che venivano ogni anno con un pullman da Argenta a rendere omaggio ai loro cari e ai loro concittadini ed erano accolti dalla mia famiglia e dai partigiani sestresi. Sulla Lapide oltre alle fotografie dei fucilati vi è questa iscrizione “Perché rifiutatisi di combattere i fratelli, da altri indegni, furono trucidati in questo luogo, il popolo memore, questo marmo pose, una prece”. Il testo fu scritto verosimilmente da mio nonno e la Lapide posta subito dopo la Liberazione. Il Comune da anni meritoriamente pulisce il sentiero di accesso al bosco. Purtroppo la Comunità Montana nel passato nel corso dei lavori di sistemazione idraulica del Rio della Valletta ha interrotto un guado che permetteva un percorso più agevole. Adesso ci vorrebbe un ponticello in legno.

Inoltre, presso la nostra casa ha convissuto con noi per alcuni anni Mario Cavagnaro, del 1926, di Genova. Partigiano e funzionario del Partito Comunista Italiano era stato inviato dal PCI come funzionario a Sestri Levante. Dai racconti dei miei genitori e dai miei ricordi era una persona di città gentile e educata, di modi signorili. Cavagnaro conviveva ancora con noi alla mia nascita nel 1947. In seguito venne a trovarci più volte fino al suo incarico in Polonia per conto del PCI quale dirigente di Radio Varsavia in lingua italiana.

Quanto descritto è una parte dei miei ricordi del 25 aprile a Zarello. Spero ci sia modo e tempo, anche con l’aiuto di studiosi e del Museo di Sestri di proseguire l’opera.

Bibliografia e sitografia

Giovanni Sanguineti, “Bocci”(1914/1995), Capo di Stato Maggiore, della Coduri www.netpoetry.it/ritratto-di-giovanni-sanguineti.

Bruno Monti “Leone” (m. 1984), Commissario politico della Coduri fascicolo n.5-Doc. n.9 “Testimonianze del commissario “Leone” (Bruno Monti) di Elio V. Bartolozzi.

Irene Giusso “Violetta” (1918- 2016), partigiana e moglie di “Miro”.

Vladmiro Cosso “Miro” (1920 – 2015) vicecommissario amministrativo della Coduri.

Per notizie su Violetta e Miro consultare il sito www.netpoetry.it

www.netpoetry.it è il sito di Elio V. Bartolozzi sulla Resistenza.

Franco Pogioli ciottolo n. 20. “Riva e Trigoso – cronache di altri tempi” parla di Luigi Marone fucilato a Santa Margherita di Fossa Lupara e della sepoltura a Sestri, dove è morto, di Bruno Monti “Leone”.

Berti Amato, Tasso Marziano, Storia della divisione Garibaldina “Coduri”, La Resistenza nel Tigullio e nel suo entroterra, Seriarte, 1982.

Marcello Flores, Mimmo Franzinelli, Storia della Resistenza, Laterza/Cultura storica GLF, 2019, pagg. 673, E 35

E’ un testo che ho acquistato e letto con piacere prima del Coronavirus. E’ una ricostruzione della Resistenza in Italia che ha l’ambizione di proporre uno sguardo complessivo sui fatti, momenti e protagonisti che hanno cambiato per sempre il nostro Paese, compreso un capitolo sul doloroso percorso della pacificazione. Nel volume è descritta la storia di Gio Batta Tasso socialista e del fratello della moglie Armida Tasso. Inoltre si accenna alla vicenda umana di Armida Tasso che ricordo molto legata alla mia famiglia, in particolare a mia madre.

Sulla rete si trova una biografia di Mario Cavagnaro.

Grazie a Elio V. Bartolozzi per le documentate ricerche storiche sulla Resistenza e per le citazioni delle attività di quel periodo della mia famiglia.

Sestri Levante 25 aprile 2020

DICEMBRE 2020


ANCORA SULL’EDUCAZIONE AMBIENTALE :

Riprendiamo i contenuti del numero precedente che è stato molto apprezzato, pubblicando due graditi contributi :

- il primo è di A. Olivieri e interviene in merito all’eventuale possibilità di costruire un curricolo di educazione ambientale ;

- il secondo è di V. Sanguineti , collaboratore di Pedagogia 20.20 e presenta un’ipotesi, già sperimentata nelle scuole superiori di utilizzo della robotica in agricoltura

Ecco cosa scrive Anna Olivieri :

alla domanda se ci può essere un curricolo di educazione ambientale risponderei senz'altro di sì, le condizioni per me erano e restano le seguenti:

>> primo: l'accordo fra gli insegnanti che agiscono sulla classe, infatti non può essere relegato ad una singola disciplina data la sua natura interdisciplinare.

>> Secondo: la formulazione di una programmazione chiara e trasversale con tempi, metodologie e modalità di lavoro per alunni.

>> Terzo: insisto sulla decisione sofferta del tempo scuola da dedicare, perché specialmente nelle Medie viene visto come erosione alle spiegazioni della singola disciplina.

>> Quarto: aver bene in chiaro gli eventuali interventi di esperti esterni e/o la collaborazione di esperti (nel nostro caso era Parco Aveto e non solo) .

>> Quinto: informare nei dettagli i genitori e colleghi di altre classi di un curricolo di " Educazione Ambientale", passatemi il termine romantico.

Sesto: passione ed entusiasmo.

Riportiamo ora il racconto di Valerio Sanguineti :

Aspettando Farmbot - Considerazioni sul ruolo della robotica nel recupero produttivo e paesaggistico dei territori svantaggiati

Bisogna partire dal prendere atto del fatto che la Liguria è la prima regione boscata d’Italia in rapporto alla superficie coltivabile . Tale “primato” è figlio dell’incuria generale del territorio: si tratta quindi di una vegetazione spontanea che ha preso il posto dei terreni coltivati soprattutto in collina; questo fenomeno continua a progredire e, in complicità con uno sviluppo edilizio ed infrastrutturale affatto lungimirante, porta inevitabilmente al dissesto idrogeologico, alla presenza di un sempre

maggior numero di frane, alla diffusione degli incendi.

La manutenzione dei terrazzamenti in pietra a secco, caratteristici del paesaggio ligure e così tanto vulnerabili all’abbandono, richiede una grandissima quantità di lavoro ed un presidio costante che devono trovare una giustificazione economica. Per secoli ciò non è stato un problema: un mix indovinato di coltivazioni impossibili in altre aree del Paese e di strategicità delle vie di comunicazione ha permesso il mantenimento del plusvalore necessario. Oggi, invece, non è più così. Nel secondo dopoguerra il modo di fare agricoltura è cambiato profondamente. I progressi nella meccanizzazione e nella chimica agroalimentare hanno messo a punto tecniche in grado di garantire produzioni abbondanti con un impiego di manodopera ridotto, ottimizzate tuttavia per il campo aperto e la coltivazione intensiva. Coltivare i campi terrazzati è quindi un’impresa sempre più ardua

e perdente rispetto all’agricoltura fatta in pianura.

A questo punto mi sono fatto una domanda ben precisa…c’è un modo per interrompere questa catena così pericolosa?

Secondo me sì, cerco di spiegare il procedimento da adottare :

>> in primo luogo bisogna liberare i terrazzamenti dalla vegetazione boschiva spontanea che nel tempo ha preso il posto delle coltivazioni, minando le strutture dei muretti a secco. Si tratta tuttavia, di un’attività onerosa e “a perdere”, il cui costo può erodere pericolosamente il margine ottenibile dai prodotti agricoli coltivati in seguito. Occorre quindi condurla in modo che sia vantaggiosa in sé e non vada a compromettere la competitività della coltivazioni successive. Un modo economicamente

sostenibile per farlo, per fortuna, c’è e consiste nel valorizzare la biomassa legnosa, trattandola come una risorsa e non come uno scarto ed avviandola a procedure di recupero. Con gli sfalci e le ramaglie, passando per un procedimento di bio-triturazione, si può produrre terriccio da impiegare nuovamente in loco; il legno, invece, può essere ridotto a scaglie per alimentare caldaie e centrali termiche.

Il cippato di legno, infatti, quando prodotto “a chilometri zero” può risultare per l’utilizzatore finale più conveniente di altre forme di energia ed ha pertanto un mercato interessante;

>> a questo punto, visto che il terrazzamento non è coltivabile con le macchine usate in pianura, entra in campo la robotica, che ben si presta ad essere impiegata in spazi confinati (si pensi ad esempio all’impiego in microchirurgia). Esistono infatti soluzioni nate per automatizzare in maniera quasi completa le coltivazioni orticole amatoriali, che, per certi versi, sono molto simili alle classiche “fasce” liguri, che possono essere paragonate al classico orto casalingo, spesso coltivato in cassoni di legno fuori terra. Una di queste è “Farmbot” : una macchina a controllo numerico computerizzato in grado di occuparsi autonomamente di un determinato appezzamento di terreno: gli metti a disposizione un “letto di semina” (preparato, magari, con il terriccio ricavato sul posto nella fase precedente) e lui lo coltiva dalla semina alla raccolta, svolgendo tutte le fasi che quotidianamente fa il

buon agricoltore. A questo punto, mentre il robot lavora, il contadino può andare avanti nel recupero del territorio ed occuparsi di altro che possa incrementare il proprio reddito.

La principale virtù di Farmbot, tuttavia, non risiede tanto nelle sue capacità tecniche, quanto nella natura “a sorgente aperta” del progetto. Il concetto di “open source”, familiare a chi si occupa di informatica, prevede che gli autori di una soluzione mettano a disposizione del pubblico tutte le istruzioni necessarie per realizzare il prodotto, ad una sola condizione: che ogni miglioria apportata al progetto originario venga resa pubblica nella stessa forma. Così facendo chi ha un’esigenza simile

ad altre già affrontate può risolvere il proprio problema senza partire da zero e reinventare l’acqua calda e concentrarsi piuttosto sulle personalizzazioni.

Il suo lavoro confluirà poi nel progetto originario, arricchendolo ed agevolando coloro che lo utilizzeranno dopo, e così via.

Per questa ragione, oltre che all’impiego in maniera massiccia nei terrazzamenti (che resta una sfida non facile, necessitando ad oggi di acqua, energia elettrica e collegamento al web), FarmBot si presta moltissimo alle attività educative ad ogni livello: non solo nelle università e negli istituti tecnici (dove gli allievi ed i ricercatori possono contribuire allo sviluppo), ma anche nelle scuole del primo ciclo, all’interno di un percorso che preveda tanto visite in azienda quanto la coltivazione dell’orto scolastico. Anche le attività con i disabili e con gli alunni più problematici potrebbero essere ricche di spunti e di obiettivi validi.

Per le attività didattiche ho pensato di coinvolgere anche lo staff genovese di Scuola di Robotica , che ha accolto l’idea con entusiasmo e sta predisponendo progetti e proposte didattiche ad ogni livello.

In conclusione, quindi, la robotica potrebbe contribuire sia alla ripresa dell’agricoltura nei nostri paesaggi terrazzati, sia alla difesa e al ripristino di un territorio così particolare e affascinante.

Chi desiderasse maggiori informazioni può scrivere a valerio@verderam.com

Sitografia di riferimento: