Rassegna stampa 

RIFLESSIONI AUTOREVOLI...

Prove Invalsi 2023, Crepet: “Uno studente su due non sa niente. Oggi vogliono fare tutti l’influencer e lo youtuber”

Lo psichiatra Paolo Crepet, in un’intervista rilasciata a La Nazione il 13 luglio, ha commentato gli esiti, per certi versi molto preoccupanti, delle prove Invalsi 2023, presentati ieri, alla Camera dei Deputati, alla presenza del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.
Dal Rapporto Invalsi è emerso che le lacune dei nostri studenti sono ancora troppe, soprattutto in italiano e matematica, fin dalla scuola primaria. Crepet ha commentato questi dati con amarezza e disillusione: “Uno studente su due non sapeva niente. Oggi vogliono fare tutti l’influencer e lo youtuber, una volta almeno i maschietti sognavano di fare il calciatore, che è molto più difficile”, queste le sue parole.

Ragazzi metaforicamente orfani”

L’esperto si è poi concentrato sul triste caso relativo ad un festino di Capodanno nel 2021 a base di sesso, droga e alcol, emerso solo adesso dopo la denuncia di una madre che ha scoperto delle prove nel telefono del figlio, che avrebbe coinvolto dei minorenni, addirittura under 14, nella provincia di Firenze. Crepet dà la colpa di questo tipo di eventi ai genitori: “I genitori dove stanno? I genitori di preadolescenti che passano le notti fuori dov’erano? Le sembra normale che due ragazzine trascorrano il Capodanno come avessero 25 anni? Sta emergendo un mondo che denuncio da tempo e mi sono sentito dare del fascista”.
Secondo lo psichiatra i giovani hanno bisogno di paletti, regole che i genitori non sono più capaci di dare: “Sostengo che servono regole mentre una certa cultura le detesta. Ai nostri figli occorrono. La nostra è una società egoista. Poveri figli, mi viene da dire, si mettono al mondo bambini (pochi) per abbandonarli. Questi ragazzi sono metaforicamente orfani. Società fallita, ogni giorno c’è una storia simile. Prima i ragazzini in discoteca, poi lo youtuber a Roma e ora questa”.
“La politica non si interessa di tutto ciò”.
“Vivono con il telefonino in mano e sono lo specchio della nostra società. Io sono perchè sono in un social, io esisto solo perché esiste il social. Ragazzi smarriti, senza capitani. Con genitori fuggiti dalle proprie responsabilità. Educare è una responsabilità. La politica, di ogni orientamento e grado non se ne interessa”, ha concluso Crepet. 

Don Ciotti: "Autonomia? Disegno di legge che inquieta. Porterà maggiori disuguaglianze, dobbiamo fermarlo" -
da Il Fatto Quotidiano 

" ...il progetto dell'autonomia merita una riflessione seria, bisogna cercare di unire le nostre forze per fermare questo percorso che ci porta da un ECOSISTEMA culturale, sociale ed ambientale ad un EGOSISTEMA dove le forme di individualismo sono molto forti e affermate e soprattutto questo egoismo sociale ed egocentrismo nella storia del nostro paese rinforzerà alcune regioni e paesi con maggior presenza di industrie e sviluppo e creerà disagi e disuguaglianze nelle regioni che fanno più fatica."

"L'esperienza ci insegna che alcuni strumenti che dovevano aiutare per creare uguaglianza soprattutto nel campo della salute dei cittadini (LEA - LEP)  non hanno funzionato.
Voglio collaborare su questo tema ma io sto da una parte sola, quella degli ultimi, dei poveri, di quelli che sono schiacciati, che non possono usufruire di quello che è giusto che usufruiscano tutti, dalla parte dei diritti, della libertà e dignità della persona...per raggiungere un obiettivo: il bene comune di tutti.
Questi progetti inquietano, questo disegno di legge inquieta!

DAL PALAZZO...

Stretta del Governo Meloni sull’uso dei social da parte dei dipendenti pubblici: “Stop commenti che possano nuocere alla P.A.” 

Il Governo Meloni mette definitivamente il bavaglio ai dipendenti pubblici e nel mondo della scuola scatta la preoccupazione. Presidi, maestri, professori, dirigenti amministrativi, collaboratori scolastici (così come tutti gli impiegati dello Stato) dal 14 luglio non potranno più fare un commento, esprimere un’opinione su Facebook, su Twitter, su Instagram o su qualunque altro social media. Banditi, insomma, pareri e considerazioni “che possano nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”. Addio alla critica.  La nuova norma è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale nei giorni scorsi e va a modificare ed integrare il Dpr 62/2013 noto come codice di condotta o comportamento dei dipendenti pubblici, emanato ai tempi del Governo Monti.

Ci ha pensato il governo di destra a mettere il silenziatore ai cittadini che lavorano per lo Stato. Il nuovo decreto, firmato dal capo dello Stato Sergio Mattarella, dalla premier Meloni e dal ministro della Pa, Paolo Zangrillo introduce l’articolo 11 ter ove cita espressamente: “Nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.

Immediata la reazioni delle organizzazioni sindacali. Gianna Fracassi, neo segretaria della Flc Cgil, spiega a ilfattoquotidiano.it che “qualunque codice di condotta deve rispettare la libertà di parola prevista dall’articolo 21 della costituzione. Ho serie perplessità che questa coerenza vi sia.  Dove finisce il diritto di parola e di critica e il nocumento sull’amministrazione pubblica?” Preoccupato anche il numero uno della Uil Scuola Giuseppe D’Aprile: “Esprimere legittime opinioni, chiaramente nei limiti della correttezza e della legalità, è caratteristica di un paese democratico. Caratteristica questa che appartiene alla comunità educante, tutta, che non ha bisogno di un decreto per ricordarsene. Piuttosto bisognerebbe sanzionare chi si permette di giudicare il personale della scuola in modo illegittimo e senza alcuna conoscenza del lavoro che svolge tutti i giorni con dedizione e professionalità. Due pesi, due misure…”. 

DALL'ESTERO...

Elon Musk assume un ragazzo prodigio: a 14 anni sarà il più giovane ingegnere di Starlink

Kairan Quazi, nato nel 2009, si è laureato in scienza informatica e ingegneria all’università della Silicon Valley. Ha un cervello straordinario, ma la sua famiglia lo ha cresciuto come un bambino normale


NEW YORK - L’ingegnere di software Kairan Quazi comincerà presto a lavorare alla compagnia aerospaziale di Elon Musk, SpaceX, ma avrà bisogno di qualcuno che lo accompagni in macchina: Kairan ha solo 14 anni.

Nato a Pleasanton, San Francisco, in California, il 27 gennaio 2009, padre chimico e madre dirigente di Wall Street, entrambi di origine del Bangladesh, Quazi si è laureato alla scuola di ingegneria della Santa Clara University. 

Londra cancella un murale di Topolino dal centro per bambini migranti: “È troppo accogliente”

Per il conservatore Robert Jenrick, finito nella bufera, il disegno avrebbe veicolato “un messaggio sbagliato”. Con gli sbarchi dalla Manica che non si fermano, il governo Sunak si gioca le prossime elezioni sull’immigrazione


LONDRA - Persino Nigel Farage, il re dei brexiter e falco xenofobo, ha definito la decisione “eccessiva e un po’ crudele”.
Il riferimento è al provvedimento, da parte del governo britannico, di cancellare un murale di Topolino in un centro di accoglienza per migranti e richiedenti asilo bambini e minorenni sbarcati in Inghilterra, anche di 9 anni di età. Motivo: era “troppo accogliente” e avrebbero veicolato “un messaggio sbagliato”. 

                                   L'ASCENSORE SI E' FERMATO...
da  "Il Sole  24  ore" 

Nei Paesi ricchi i bambini i cui genitori hanno una laurea hanno il 45% di probabilità in più di finire l’università



















I cittadini che vivono nei paesi Ocse non credono nella reale mobilità sociale del proprio paese. Neanche fra gli statunitensi, con buona pace del grande sogno americano. Di fatto che vivano in Francia, in Italia, in Canada, in Finlandia, poco cambia: i rispondenti a una survey (sondaggio) di OCSE dipingono un contesto sociale dove quella che viene definita mobilità sociale, non è possibile per tutti. La domanda era la seguente: “Su 100 bambini provenienti dal 10% delle famiglie più povere in termini di reddito nel paese in cui vivi, quanti pensi vivranno ancora in una famiglia povera (appartenente al 10% più povero della popolazione) da adulti? I rispondenti italiani hanno risposto mediamente che il 55% di questi bambini nati poverissimi continuerà a essere poverissimo; gli spagnoli e i francesi che lo rimarrà il 60% di loro. E per gli americani la metà di questi bambini poverissimi non avrà chances.

La survey da cui è tratta questa domanda è del 2021, si intitola Does Inequality Matter? How People Perceive Economic Disparities and Social Mobility, ed è interessante perché restituisce uno spaccato – seppur tagliato con l’accetta, di quanto i servizi di supporto alla fragilità impattino sulla percezione delle persone che vivono in un certo paese.

Attenzione: mobilità sociale non significa che qualcuno sale e qualcuno scende rispetto alle condizioni della propria famiglia di origine, ma che chi è nato in condizioni meno fortunate dal punto di vista economico, abbia l’opportunità di vivere con maggiore benessere. Significa la possibilità per sé nella vita adulta oppure per i propri figli di cambiare la situazione socio-economica rispetto a un’infanzia vissuta in condizioni di svantaggio, fondamentalmente economico. Chiaramente quando la si misura, si tiene conto anche della mobilità verso il basso, cioè di quanti individui per varie ragioni vivono in età adulta in condizioni meno facili rispetto a quelle di partenza.


Il punto di partenza per chi fa ricerca sulla mobilità sociale è sempre il livello di istruzione della famiglia di origine, che impatta a tal punto la vita – chiaramente stiamo parlando di media, di statistica, poi ci sono le eccezioni – da riflettersi sullo stato di salute. Un esempio: lunghi periodi di disoccupazione possono avere effetti cicatrizzanti sulla salute dei lavoratori, riducendo così, a loro volta, le loro possibilità di assicurarsi un lavoro nuovo o ben retribuito. Un altro paper di OCSE ha stimato quanto il mancato lavoro e il basso reddito delle fasce più deboli impatti sulle finanze pubbliche. I governi starebbero perdendo fino al 7% delle proprie entrate fiscali per sostenere le persone che non ce la fanno ad arrivare a fine mese.

In tutta l’area OCSE – riporta un rapporto pubblicato a maggio 2023 – i bambini i cui genitori hanno una laurea hanno il 45% di probabilità in più di laurearsi all’università rispetto a quelli i cui genitori avevano meno di un diploma. Ma soprattutto, nonostante la massiccia espansione dell’istruzione sperimentata dalle coorti più giovani, questo divario è rimasto piuttosto persistente nel corso dei decenni. I 35-49enni i cui genitori in possesso di una laurea hanno 11 punti percentuali in più di probabilità di dichiarare di essere in buona salute e hanno un reddito disponibile superiore del 47% rispetto ai loro coetanei con genitori meno istruiti. Sono stati esaminati i dati più recenti provenienti da 38 paesi OCSE (36 per la salute e 32 per il reddito), dal 2019 al 2021 a seconda dei dati raccolti da ogni paese. Il 20% di chi non aveva genitori laureati si era laureato, contro il 70% di chi aveva genitori laureati.

Al di là del fatto di laurearsi, un altro indicatore interessante che mappa quanto aiuti nei primi anni di vita avere genitori più istruiti, è come sono seguiti i bambini in casa, oltre alla scuola. OCSE ha chiesto ai genitori di bambini di quarta elementare provenienti da status socio economici diversi di valutare quanto tempo avevano dedicato a insegnare ai propri figli a leggere o a scrivere o a contare prima dell’inizio della prima elementare. I bambini di famiglie dove il livello medio di istruzione è più basso arrivano più svantaggiati già alle scuole elementari. In Italia intorno al 35% di chi proviene da famiglie a basso reddito riceve questi stimoli prima della prima elementare, contro il 60% di chi proviene da famiglie ad alto reddito. In altri paesi come Francia, Germania e Canada, il gap è molto maggiore. In Irlanda addiritura il divario è dal 40% all’80% dei bambini.

Eppure fra i paesi OCSE lo scenario sembra cristallizzato da ben prima della pandemia. Se consideriamo la percentuale di popolazione in età lavorativa rimasta con un reddito bassissimo (quintile inferiore) o altissimo (quintile superiore) nell’arco di quattro anni, dal 2016 al 2019, vediamo che non solo le percentuali fra paesi OCSE, seppur con variazioni da stato a stato, sono elevate in entrambi i casi, ma anche che in Italia la polarizzazione è forte: intorno al 65% di chi era poverissimo nel 2016 lo era anche nel 2019, e nel mentre il 70% che apparteneva al 10% più ricco lo è rimasto. Nel complesso, nel periodo precedente alla pandemia, evidenzia OCSE, le persone nel quintile più basso del reddito familiare disponibile avevano una probabilità del 55% di rimanere nella stessa fascia di reddito dopo 4 anni. All’estremo opposto, quelli nel quintile più alto (i più ricchi) avevano una possibilità ancora maggiore (67%) di continuare ad appartenere alla classe dirigente. Inoltre, negli ultimi decenni si è assistito a un aumento del rischio di mobilità verso il basso per segmenti più ampi della popolazione, compresa la classe medio-bassa.