Rassegna stampa

GENNAIO 2020

Mi “accusano” di riportare solo brutte notizie… è vero, da questa volta sono andato alla ricerca anche di cose belle che per fortuna ci sono… Facendo una specie di “hit parade” e dando anche i voti ad ogni notizia..

>DAL TGCOM 24

E' bufera intorno all'Istituto Comprensivo di via Trionfale, a Roma, che divide gli scolari in sedi diverse in base al reddito. In un plesso della scuola ci studiano i ragazzi "dell'alta borghesia" assieme ai figli "di colf e badanti che lavorano per le loro famiglie", mentre nella sede che si trova "nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario" alunni di "estrazione sociale medio-bassa". Così si leggeva sul sito dello stesso istituto.

Dopo le polemiche, però, dalla pagina online di presentazione della scuola è stata rimosso il passaggio incriminato. Non c'era alcun intento discriminatorio ma una "mera descrizione socio-economica del territorio", ha spiegato il Consiglio di Istituto sottolineando comunque di avere proceduto ad "una modifica perché siano rimosse le definizioni interpretate in maniera discriminatoria".

La prima versione della descrizione, che ha scatenato le polemiche, era questa: "La sede di via Trionfale e il plesso di via Taverna accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana. Il plesso di via Vallombrosa, sulla via Cortina d'Ampezzo, accoglie, invece, prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell'alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)".

TGCOM 24

COMMENTO :

Quindi, più che una scuola, un albergo contemporaneamente a 5, 4 , 3, stelle…..un negozio dove trovare la scarpa giusta.

Le norme sull’autonomia scolastica del lontano 1999 non volevano portare a questo : dovevano essere il punto di arrivo del lungo processo di democrazia scolastica, al fine di sviluppare al meglio tutte le risorse presenti, in un’ottica di innovazione molto flessibile. Dovevano anche servire per dare più mezzi alle aree del nostro paese più deboli e prive di stimoli culturali.

Dall’autonomia delle scuole si è passati invece all’autonomia dei Dirigenti, con tutti i rischi annessi ….“l’autonomia si risolve nella necessità di autopromuoversi in quello che è diventato un mercato sui generis dell’istruzione.”(E. Galli della Loggia)

VOTO : ZERO MENO MENO

Il secondo posto nella hit parade va ai dati di una ricerca pubblicata su “Repubblica” dal titolo “ Anche i bravi ora vanno a ripetizione” . Dal sondaggio fatto da Skuola.net , risulta che circa il 30 % di studenti bravi, già dall’inizio dell’anno scolastico, vanno a ripetizione per far crescere la loro media… Dice il redattore che “ci sono famiglie che ambiscono a fare dei figli le vetrine dei desideri personali senza mai davvero valorizzare i loro punti di forza…” . Sono già capitati genitori che fanno prendere lezioni anche di musica.

Il business complessivo si aggira sui 950 milioni di euro all’anno e spesso si annidano gravi , deplorevoli e ripetute forme di evasione fiscale. La notizia segnala una sconfitta per il nostro sistema scolastico, vuol dire che i tanti corsi di recupero e i vari progetti PON poco incidono su quest’area fondamentale, o forse le famiglie preferiscono le lezioni a pagamento perché gratuito per tanti vuol dire “scarso” ?

VOTO : TRA L’UNO E IL DUE

NOTIZIE “BUONE”

Bravo ai ragazzi volontari della Comunità di Sant’Egidio che a Genova nel deprivato quartiere del CEP hanno fondato la “scuola della pace” presso la scuola A. Moro;anche nelle vacanze scolastiche e fino a tarda sera aiutano un’utenza molto difficile a fare i compiti e non solo…

Il tentativo di riscatto cerca di incidere sulla povertà più insidiosa perché corrode il futuro : quella educativa. Si è creata un’efficace sinergia tra pubblico, imprese , terzo settore, volontariato per rendere più vivibile un quartiere in cui il tasso di scolarizzazione è molto basso.

…..Ma allora c’è posto ancora per la pedagogia della speranza, non tutto è mercato e business”!

VOTO : DIECI CON LODE

Bravo anche agli scout della Sicilia che alle mamme dei clan hanno inviato questo appello “mandateci i vostri figli!” Già dieci ragazzi figli di “boss” sono diventati scout e hanno iniziato un percorso di risocializzazione con i pari e di impegno per la legalità. I dieci ragazzi non hanno ancora raccontato ai compagni le travagliate storie familiari che hanno vissuto, ci vuole tempo….

VOTO : DIECI CON LODE

FEBBRAIO 2020

NOTIZIA N. 1 :la lettera di una docente precaria di 35 anni che insegna diritto ed economia politica

Francesca Gambacciani, 35 anni, vive fra Firenze e Sesto Fiorentino, insegnante, precaria, di Diritto e Economia politica “Studiate il meno possibile, tanto non serve a niente. Non credete nelle istituzioni: sono cariche che servono a dare soldi a chi li ha già. Non pensate di cambiare le cose, e non pensate mai di poter cambiare il mondo: state invece attenti perché potrete, al limite, sperare di cavarvela e sopravvivere. Sorridete e siate gentili con tutti, ma non vi fidate di nessuno e non preoccupatevi mai di chi vi sembra in difficoltà; vi useranno e vi sfrutteranno, approfitteranno della vostra comprensione ma nessuno vi aiuterà se cadrete. Non lamentatevi né pensate di unirvi in battaglie comuni; siete soli e nessuno vi ascolterà". "Sono questi i consigli che mi sento di dare ai ragazzi delle superiori, in particolare ai maturandi che pensano di affacciarsi al mondo del lavoro, o di scegliere l’università in base ai propri sogni, e non sanno che sono niente, numeri di futuri frustrati depressi, impoveriti, sfruttati. Tutto questo lo direi non per cattiveria ma per esperienza. Eppure no, non lo posso fare, perché sono una insegnante – proprio di Diritto e Economia Politica – supplente precaria ovviamente". "E ogni giorno posso solo dire e insegnare falsità. Posso insegnare come funziona – o dovrebbe funzionare – un sistema Stato in cui ormai non credono più neanche i governanti. Insegno leggi e diritti, quando lo sanno tutti che appena si entra in contatto con il mondo del lavoro si vede quanto sia necessario scordarsi tutto quanto sia stato acquisito per diritto, e adattarsi a dire sempre sì pur di avere un lavoro. Insegno che lo Stato ha come obiettivo la redistribuzione del reddito, e il fatto che la nostra Repubblica si occupa di rimuovere gli ostacoli per l’uguaglianza sociale – ma l’Italia sta diventando una Repubblica delle Banane con pochi cittadini (magari i vip della tv) ricoperti d’oro mentre il resto arranca".

"La paura degli italiani non è paura del diverso, è consapevolezza di non contare ormai niente in questo paese. La risposta se non viene da destra la darebbero i pensatori e le vecchie scuole economiche di sinistra (non solo Marx, anche Keynes): ma parlare di patrimoniale e redistribuzione delle ricchezze darebbe fastidio a troppe persone che si autodefiniscono di sinistra, meglio cantare bella ciao e parlare di Mussolini, non ci si rimette un euro di tasse. Davvero, cosa insegno a fare economia politica? Perdoni la lunga e assurda lettera, torno da una lezione al serale".


VOTO E COMMENTO : 10 a Francesca per incoraggiamento e per i contenuti molto significativi : quanti docenti vivono in questo stato di depressione ?

NOTIZIA N. 2 : DALL’INDIA : Nel college femminile Shree Sahajanand Girls Institute, le ragazze durante le mestruazioni non possono entrare nel tempio o in cucina, devono restare lontane dalle altre. Per essere identificate hanno l'obbligo di firmare un registro. Ma negli ultimi due mesi, 68 di loro si sono rifiutate di farlo, provocando la reazione del gestore che le ha denunciate VOTI E COMMENTI : 4 ai gestori del College ; 10 alle ragazze….speriamo che a qualcuno in Italia non venga in mente di fare come in India….

NOTIZIA N.3 DALL’ITALIA :

Droga, l'allarme di Don Ciotti: "I ragazzi cominciano a 14 anni, noi non li capiamo"

ROMA "In Italia c'è una strage di giovanissimi che arricchisce i trafficanti di stupefacenti. Avevano tutte 16 anni, Alice trovata senza vita nel bagno della stazione di Udine, Carmela in una casa popolare del Catanese, Desirée morta dopo aver assunto sostanze ed essere stata violentata in uno stabile degradato di San Lorenzo a Roma". Don Luigi Ciotti nel suo libro "Droghe, storie che ci riguardano", fotografa un'Italia che cambia. Dove l'età del primo incontro con hashish o cocaina, oppio o amfetamine è in media a 14 anni, tra gli europei gli adolescenti italiani sono tra i primi posti per consumo di droghe legali e illegali. E dove il numero dei morti da tre anni ha ricominciato a salire, 334 nel 2018, e ci sono più tossicodipendenti in carcere che in comunità.

Tutto questo accade mentre i nostri governi fanno "la politica dello struzzo tra cecità e demagogia, hanno approvato leggi proibizioniste invece di capire le differenze tra le varie sostanze e i motivi per cui i ragazzi le usano. Perché in quel modo cercano di riempire il vuoto di senso, di relazioni, di opportunità. Così il no alla droga è solo per campagne elettorali", dice il fondatore di Libera e del Gruppo Abele, da 50 anni in trincea. VOTO E COMMENTI : 10 A Don Ciotti ; 3 ai politici ….

Diamo la parola e incarichi operativi a chi ha esperienza e lavora veramente sul campo 365 giorni all’anno !

Smettiamola di fare convegni e / o corsi d’aggiornamento inutili !

Eliminiamo tutti gli incarichi di consulenza troppo remunerati nel settore e che non servono a niente !

Superiamo la logica di comunità e centri di eccellenza per pochi ! ….gli altri sfortunati devono arrangiarsi…

NOTIZIA N. 4 DALL’ITALIA :

A scuola una maglietta che inneggia a Hitler: sei in condotta all'alunno di 13 anni

Al ragazzo anche il compito di fare una ricerca sulla Costituzione. Il padre vuole denunciare l'istituto contro il provvedimento

VOTI E COMMENTI :

➢ 10 all’istituto : una buona scuola deve tenere la “barra dritta” e non scendere mai a troppi compromessi !

➢ 3 al padre : è l’ora di finirla di mettere sempre in discussione quello che fa la scuola !

➢ Senza voto al ragazzo : probabilmente sa poco o nulla di Hitler….

MARZO 2020

La rassegna , questa volta, è interamente dedicata ad approfondimenti qualificati relativi all’insegnamento all’insegnamento a distanza, pubblicati, in genere, nella fase iniziale della pandemia ; ne vengono riportati solo degli stralci ; ovviamente, non essendo „notizie” non vengono attribuiti voti ; l’articolo completo può essere trovato utilizzando un ”motore di ricerca”.

Valentina Petri professoressa presso l’I.P. Lombardi (Vc). Autrice della pagina Facebook Portami Il Diario ( su cui si trova tutto l’articolo)

E quindi da adesso si fa sul serio. All’inizio siamo rimasti un po’ disorientati, lo ammettiamo. E’ stato spiazzante, di colpo, da un giorno all’altro, senza data di scadenza, passare dalla lavagna di ardesia col cancellino a girella e il casino da stadio all’overdose digitale di link e file inviati nel silenzio assoluto. Ma vorrei vedere la gente normale. Come se dalla bicicletta, quella con la ruotona grande e la ruotina da inizio Novecento, vi catapultassero sulla Honda di Valentino Rossi. Cioè. Un po’ si sbanda.

Per un attimo abbiamo anche scherzato. Poi è diventata una sfida, di quelle che si prendono di punta, una missione, un dovere da compiere. ... Abbiamo attivato piattaforme, distribuito password e username come caramelle, intimato il recupero delle credenziali, inviato elenchi allucinogeni di cose da fare....

Le famiglie ci odiano. “Beh però anche così, a star dietro a tutto, i video di uno, gli esercizi online dell’altro, io non vivo più, com’è che a distanza ‘sti ragazzi sono più impegnati di prima?”. Insomma, come fai sbagli......

> Però, dopo due settimane, anzi tre, di didattica a distanza comincia a venir fuori il problema vero. Che non sono i ragazzi, non lo sono mai. Sono le differenze.

Le differenze tra chi ha un computer, una stampante, un telefono, un iPad e i genitori che si interessano, chiedono, sollecitano, si incazzano pure, ma almeno ci sono. E chi invece ha i genitori che non hanno ancora capito bene, hanno soltanto un cellulare con la connessione zoppa, venti schede per materia, per ogni figlio, e non le possono stampare, anche perché magari i figli sono tre o quattro....

Ci esaltiamo tanto perché nelle chat virtuali ci sono quasi tutti. Quasi. E chi manca? Non i più disinteressati. I più deboli. ....

Ma quando sarà finita, e finirà, e sarà l’ora delle polemiche, io spero tanto che ci si segga intorno a un tavolo, a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro, e si discuta seriamente su come fare perché non ci siano più malati di serie a e di serie b o studenti di serie a e di serie b. O, banalmente, cittadini di serie a e di serie b.

Perché la scuola è di tutti e, se così non è, abbiamo perso. Tutti.

Riflessioni : testo molto appassionato che analizza il problema da più prospettive : docenti, famiglie, ragazzi.

L’autrice è scesa subito in campo, è andata in prima linea per compiere una missione (come dice lei ) senza avere le armi idonee.

Bello il richiamo agli alunni e alle famiglie più deboli ; pensiamo a chi vive una situazione di handicap o di recente immigrazione dall’estero.

Condivisibile il richiamo alla necessità di ragionare in merito, una volta finita l’emergenza : bisogna che i decisori politici di concerto con le rappresentanze sindacali prenda decisioni precise in merito : tale aspetto va ripreso nei futuri contratti di lavoro e va studiato una modalità efficace per premiare quei docenti che sono scesi subito in campo; non si può sempre far finta di niente e pensare che i professionisti dell’istruzione siano tutti uguali.

Mauro Sandrini / il Fatto Quotidiano del 6 marzo 2020

Coronavirus, ora tutti spingono per la teledidattica. Ma la scuola (e la nostra società) è pronta?

Il virus ha già cambiato la scuola con lo stop forzato dall’emergenza e l’utilizzo della tecnologia per le lezioni a distanza. La paura che diventa un improvviso incitamento a non fermarsi in modo fatalistico ma anzi a sfruttare questo tempo come un’occasione, avrà una grande influenza sulla scuola del futuro.

Dopo il virus serviranno meno insegnanti? Scopriremo presto che gli insegnanti possono essere sostituiti dalla formazione a distanza: la cosiddetta teledidattica. Non tutti certamente, ma la prima evidenza sarà che serviranno meno insegnanti di quelli attuali per “portare avanti il programma”. ...L’emergenza ha abbattuto in una settimana tutte le resistenze all’innovazione. Finora c’era una spinta retorica ad adottare le cosiddette nuove tecnologie a scuola. Generalmente tutto si risolveva con un laboratorio in più, magari con tablet a disposizione degli studenti. Strumenti di fatto sottoutilizzati nella pratica quotidiana...Ora, ovunque, si sta ragionando sul come applicare la teledidattica alle lezioni quotidiane. Non tra un anno, ma domani. È un vero esperimento sociale di massa di un nuovo modo di fare scuola. Se la crisi continua diventerà obbligatoria. Nessuna incertezza, nessuna obiezione sarà consentita: è l’emergenza....Senza il virus sarebbero serviti altri 10 anni per, lentamente, abituare insegnanti, alunni e famiglie ad utilizzare “normalmente” la teledidattica. Il virus ha compresso i tempi: il futuro è già qui. In un battibaleno saremo già tutti abituati.

Quali saranno le scelte dei governi per la scuola?In seguito all’epidemia e alle polemiche già nate sui mancati investimenti nella sanità i governi saranno costretti a investire in risorse sanitarie (cosa sacrosanta). Ma la coperta è corta. Se i denari li prendi da una parte li togli dall’altra. E se la teledidattica, tra le altre cose, permette di risparmiare sui costi del personale, come finirà?... Spero di sbagliarmi, ma i tagli continueranno, travestiti sotto il mantello di un piano d’investimenti per agevolare la teledidattica.

È l’unica via d’uscita? No.Ci sono altre vie. Per esempio: aule più spaziose e meno studenti per classe.Non è un’opzione tra tecnologia e insegnanti in carne e ossa. Se si continua con i tagli continueremo ad avere classi pollaio di trenta o più studenti gestite o meglio, sorvegliate grazie alla tecnologia, da insegnanti poliziotto costretti a rendere marginale il loro lavoro educativo.Oppure i governi potrebbero decidere di utilizzare la tecnologia davvero a supporto di insegnanti che seguano classi comp0ste da 15-20 alunni.

RIFLESSIONI : interessante analizzare il tema in proiezione futura e non limitando l’analisi solo alla situazione italiana ma a quella di tutto il mondo occidentale.

Il problema di quanti insegnanti serviranno in futuro, in una scuola più tecnologica, è sicuramente di primaria importanza . L’autore sembra essere pessimista circa la conservazione degli attuali livelli occupazionali.

La proposta dell’autore, al fine di non creare disoccupazione intellettuale, di ridurre il numero degli alunni per classe è interessante e intelligente; un’altra opportunità potrebbe essere quella di ampliare i servizi di educazione e istruzione , utilizzando anche le tecnologie e personale idoneo , al di là dei momenti istituzionali , ipotizzando corsi di recupero on line pomeridiani /estivi o percorsi di alfabetizzazione e formazione permanente.


GIOVANNA COSENZA – docente di semeiotica c/o l’Università di Bologna

”il Fatto Quotidiano” del 5 marzo 2020

A Bologna abbiamo perso solo una settimana. ..Non è stata cosa da poco, va detto, ma oggi il 60% degli insegnamenti dell’Università di Bologna si svolge in modalità online. La prossima settimana saranno online tutte le lezioni.. Lo dico subito. La didattica in presenza, tutti insieme in aula, dove la docente può costruire, coltivare, adattare di continuo, ora dopo ora, minuto per minuto, la relazione umana con gli studenti è ineliminabile. Nel mio caso, prima del coronavirus avevo già cominciato il corso ed ero circa a metà, avevo già visto tante volte quelle facce ora sorridenti, ora dubbiose o preoccupate, mi ero già fermata tante volte a parlare con loro nei corridoi, nel mio studio, a volte persino al supermercato vicino. La relazione umana c’era, insomma. Andare online è stato il seguito naturale di qualcosa che era già nato. Perciò è stato facile. Persino divertente.

Aspetti negativi. Mi sento sola in aula, con un monitor davanti al naso e 150 sedie vuote più in là. Mi mancano le loro facce, tantissimo. Loro vedono me, ma io vedo solo tanti bollini tondi con le iniziali dei loro nomi: CS, BP, MT… Loro sentono la mia voce, ma io non sento la loro. Interagiscono con me solo per iscritto: nella striscia verticale a destra della chat, scorrono domande, dubbi, commenti...Se ogni studente/ssa aprisse l’audio per intervenire a voce, si perderebbe troppo tempo a gestire i turni di parola e il caos sarebbe immediato. Davanti al monitor, insomma, sentirsi sola è inevitabile, anche se dall’altra parte stanno oltre 120 studenti, come accade a me in questi giorni, e anche se scorrono in chat mille parole e faccine.

Aspetti positivi. Le faccine, appunto. Comparsa la prima, ho cominciato anch’io. Mentre parlo, non mostro solo slide, video, materiali multimediali, ma scrivo anch’io in chat. E mando faccine, tante;.. ogni tanto scrivo anch’io in chat, con lo stile tipico da chat, non troppo sbracato (sono una prof), ma veloce e colloquiale (senza esagerare, sono una prof). E inserisco faccine, ma non solo quelle: cuoricini, puntini di sospensione, punti esclamativi. Cerco insomma di stabilire lo stesso clima d’intesa, ironia e autoironia che da anni cerco in aula, per far passare i concetti più seri e difficili. In presenza sono addestrata a farlo da tempo, a distanza mi sto adattando in poche ore. Ma funziona, accidenti. Le faccine scaldano e fanno sorridere anche me, oltre a loro.

RIFLESSIONI :

Sorprende la velocità con cui il mondo accademico ha fatto fronte alla nuova situazione....

Molto bello e vissuto il racconto della professoressa, il racconto del suo spaesamento di fronte ad un’ aula vuota.

Ancora una volta ha vinto la creatività ....la Prof. È stata molto brava a capire che usando le faccine e non solo la comunicazione con gli allievi sarebbe stata più efficace e utile per superare la sua solitudine.

Questo salto nella comunicazione è stato possibile perchè la docente, come racconta, aveva fatto conoscenza diretta con i suoi tanti alunni anche in momenti non consueti (supermercato).

Manlio Lilli - Archeologo e giornalista

Scuole chiuse, ai prof va riconosciuto il ruolo di ‘ammortizzatori’ sociali

Si potrà fare meglio, è indubbio. Si potrà essere più incisivi. Con l’esperienza maturata. Considerati anche gli immancabili errori. Non bisogna negarlo. Ma è doveroso rilevare anche altro. Più che per riconoscenza, per obiettività. In un Paese progressivamente chiuso per contagio, la scuola sta continuando ad essere aperta. Da casa, naturalmente. Con i ragazzi costretti tra le mura domestiche, la scuola non ha smesso di esserci. I professori hanno proseguito, come hanno potuto, a fare quel che devono. Insomma a spiegare le formule dei solidi poliedrici e l’analisi del periodo, la Resistenza italiana e gli aggettivi comparativi in francese. A suggerire esercizi e letture, video e quiz. Ma hanno anche, e direi soprattutto, guidato. Hanno accompagnato i ragazzi in queste prime settimane di permanenza a casa. Li hanno confortati nelle loro fragilità, che l’emergenza sta evidenziando. Perché il disastro nel quale siamo piombati, quasi senza rendercene conto, non può non comportare dei disagi. Anche psicologici. Che i ragazzi più di altri mostrano. La didattica a distanza finora ha avuto un merito indiscusso. Quello di alterare abitudini consolidate. Di mutare rapporti tra attori diversi. La mancanza delle consuete lezioni della mattina, a scuola, ha provocato una certa confusione. Anche tra gli alunni. Che al contrario di quel che erano soliti fare nella normalità, hanno iniziato a stare a scuola anche di pomeriggio ed anche di sera. Come? Inviando domande e restituendo compiti ai loro insegnanti. Utilizzando mail e chat di whatsapp. Cercandoli. Insomma avviando un rapporto che con le lezioni in classe sembrava impossibile. Addirittura inimmaginabile. Una scuola certo a distanza, ma sostanzialmente sempre aperta. Circostanza questa che, nonostante la disperazione di qualche insegnante fiaccato per le attività senza fine, può considerarsi un successo. Forse non per quel che riguarda la didattica. Certamente riguardo il fine ultimo al quale dovrebbe aspirare la scuola. Insomma, formare persone responsabilmente capaci di muoversi in circostanze differenti. In questi giorni lavorare sui ragazzi dovrebbe significare principalmente questo. Badare a rinsaldare le certezze, curando come possibile le insicurezze. Anche facendoli esercitare sulle somme dei polinomi e il dadaismo, la favola e l’incastellamento. Ma non soltanto su quello.

“A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era negato per gli studi”. Che l’emergenza ci costringa a ritornare a Don Milani? Ora più che mai gli eroi sono i medici che provano a salvare vite umane, E’ indubitabile. Dedicargli striscioni ed applausi è solo un modesto tributo. Ma riconosciamo a molti insegnanti un ruolo importante. Quello di “ammortizzatori” di ansie e paure dei nostri ragazzi.


INTERVISTA A GIUSEPPE BERTAGNA (stralci) / la Repubblica del 5 marzo 2020

«Sia l’occasione per i vostri figli di acquisire la competenza di saper affrontare situazioni gravi come questa». I bambini e i ragazzi a casa da scuola, per la terza settimana consecutiva in alcune Regioni, in tutta Italia da oggi, vanno gestiti. Cosa fare con loro? Il pedagogista Giuseppe Bertagna, docente all’università di Bergamo, suggerisce ai genitori, ma anche alla scuola, alcune strategie. Che non sono riempirli di compiti.


La prima cosa è spiegare ai figli perché la scuola è chiusa: in che modo?

«Non bisogna mentire sull’epidemia, va spiegata, con le parole adatte all’età, magari anche con qualche video. E lo si deve fare senza seminare panico, restando tranquilli voi per primi, spiegando le regole, come il perché del semplice lavarsi le mani aiuti sé e tutti».


Con i bambini a casa tutto il giorno come comportarsi?

«Le scuole si stanno muovendo inviando sempre più lezioni e compiti da fare: non è questa la strada giusta. Maria Montessori spiegava che per avere qualcosa di buono a distanza devi sempre collegarti a una presenza. Le maestre della primaria, soprattutto, mandino messaggi personali ai loro alunni, in accordo con i genitori, per chiedere come stanno, non per caricarli di esercizi. Ciascun bambino deve capire che la maestra pensa a lui e, insieme, a ciò che lui può imparare dalla situazione in cui si trova».


Ma cosa proporre ai bambini della primaria?

«È l’occasione per riscoprire lo stare bene insieme. Li si incentivi a sentire al telefono i compagni, si evitino tv o videogiochi come “badanti”. Parlate con loro. E fatevi aiutare in casa, è un bel gioco».


E con i ragazzi delle medie che fare?

«Con i preadolescenti è più complicato, una buona soluzione è il lavoro domestico: fateli stirare, rifare il letto, portateli a lavare l’auto. Anche da come si deve far bollire l’acqua per la pasta s’imparano importanti nozioni di scienze».


E come organizzarsi in famiglia?

«Va riscoperta la dimensione cooperativa della genitorialità, condividete tutto, soprattutto il tempo; programmatelo insieme alla scuola come un’opportunità di crescita pur in questa difficoltà. Va ricostruita una relazione emotiva e sociale coi figli, dove la scuola è presente in modo collaborativo, non in esonero dalle responsabilità».





APRILE 2020

E’ stato molto difficile selezionare i contributi da pubblicare, il materiale era veramente molto. Riportiamo quindi :

- Due articoli che parlano della situazione "DAD" da parte delle famiglie;

- Due contributi di autorevoli esperti ;

- La lettera di una maestra.

L'appello dei genitori dei bimbi disabili: "Mandate gli insegnanti ai disabili; mandate gli insegnanti a casa. Senza scuola non vivono".

«I nostri figli disabili sono stati dimenticati dallo Stato. I nostri bambini che regrediscono ogni

giorno. Senza scuola, senza terapie, senza assistenza domiciliare. Gianluca, in classe, mangiava la

merenda da solo, in casa, adesso, dobbiamo imboccarlo.

Sembrerà nulla, un’inezia a chi non abita il pianeta della disabilità, per noi, invece, era un’enormità.

Cosa pensate che possa apprendere mio figlio dalla didattica a distanza?». Antonella Perini,

impiegata, di Spinea, in Veneto, è una mamma indomita che da 11 anni, da quando è nato Gianluca,

affetto dalla sindrome di “Sturge weber”, rara e grave malattia genetica, lotta per i diritti del suo

bambino speciale. Gianluca, come Matteo, Emma, Pablo è uno degli oltre 260 mila allievi con diversi

gradi di disabilità che frequentano la scuola italiana.

Per loro, però, nei giorni del lockdown, a differenza dei compagni “normodotati” non è stata

prevista dal ministero dell’Istruzione, dicono le famiglie, alcuna didattica speciale.“Bambini fantasma”

come scrive in una lettera a Repubblica, la mamma di Carlo, in risposta a Daniela, mamma di

Nicolò, 13 anni, che ieri ha raccontato al nostro giornale, la sua solitudine di questi giorni. «Per gli

autistici come Carlo, cosi come tutti gli altri bambini in difficoltà, non è stata spesa nemmeno una

parola. C’è solo la disperazione delle famiglie». Ma c’è un elemento ancora più grave, che racconta la

dimenticanza dello Stato. «Nella task force del Miur, nominata per gestire la ripartenza della

scuola, non c’è nemmeno un esperto o un’esperta sulla disabilità».

Anche Martina Fuga, milanese, mamma di Emma, 15 anni, con sindrome di Down, parla di “alunni

dimenticati”. «I più deboli stanno pagando le debolezze del sistema scolastico italiano. Come si può

pensare che ragazzi con disabilità intellettuale possano apprendere attraverso una lezione frontale

in video?». Martina Fuga è responsabile della comunicazione dell’associazione “CoorDown”. A

Emma, la più piccola dei suoi tre figli, ha dedicato un libro, “Lo zaino di Emma”. «Le persone Down

devono affrontare l’esistenza come se avessero sempre, sulle spalle, uno zaino di dieci chili. Emma

non riceve nulla da questa didattica a distanza, nonostante sia lì, diligente, con le cuffiette nelle

orecchie. Il Miur non ha pensato ai nostri figli. Come mai non c’è alcun esperto di disabilità tra i

nomi incaricati di gestire la famosa fase 2 della scuola?». Alessia Condò, romana, è la mamma di

Pablo, 18 anni, autistico, tenacissima sostenitrice della sua autonomia, vulcanica ideatrice di progetti

di inclusione. A cominciare dalla famosa mappatura, «quando Pablo iniziò a uscire da solo» dei

negozi “friendly” verso le persone con autismo, indicate con un post-it sulla giacca e la scritta “Io

sono Pablo e qui sto bene”. «Pablo quest’anno farà la Maturità classica, un traguardo incredibile, ma

avrebbe bisogno di essere stimolato, coinvolto, invece è solo, la scuola è remota, lontana, così gli

amici. La comunicazione a distanza per lui non funziona e vedo già dei passi indietro.. Per fortuna

ci siamo noi, sua sorella ed io, è faticoso ma lo sosteniamo, siamo una famiglia allegra e strana.

Non esiste una didattica per le persone fragili, questa è la verità. E nell’emergenza il prezzo più

alto lo pagano i ragazzi come Pablo».

RIFLESSIONI : c’è da vergognarsi….non aver pensato ai più fragili non è da paese civile; l’idea di

mandare a casa, con le dovute precauzioni, i docenti non è da scartare, va approfondita. Nell’articolo

vengono descritte situazioni in cui le famiglie sono più che adeguate sotto tutti i profili …..e dove,

invece, la situazione socio-culturale è depressa cosa succede?


Giorgio Chiosso: sbagliato scambiare la didattica a distanza con la “nuova scuola”

(Contributo segnalato da G. Buonopane)

È diffusa non senza ragione l’opinione – fin quasi diventare un luogo comune – che dopo l’epidemia del

coronavirus “nulla sarà come prima”. Questa convinzione vale anche, e forse soprattutto, per il

mondo scolastico che nelle ultime settimane è stato sottoposto ad una vera e propria, imprevista,

rivoluzione delle proprie prassi e consuetudini con il transito dalle normali lezioni in presenza

ad attività didattiche svolte a distanza. Esistono valutazioni diverse sulla qualità dei risultati

finora raggiunti e si possono anche richiamare gli aspetti di debolezza che hanno accompagnato

questa scuola casalinga improvvisata, in primo luogo gli effetti particolarmente negativi per le

fasce di popolazione scolastica fragili per varie ragioni: povertà educativa e culturale, a rischio di

abbandono e dispersione, con difficoltà di apprendimento che già nella normalità della vita quotidiana

avevano (e hanno) bisogno di interventi ad hoc. Senza ignorare l’alto numero degli alunni

che addirittura non hanno potuto fruirne con regolarità per mancanza del pc in casa o insufficienza

della rete.

Ma bisogna anche riconoscere che in via generale gli insegnanti – spesso poco preparati nell’impiego

delle tecnologie e pur con il limite talora di trasferire un po’ semplicisticamente la lezione in

aula nelle comunicazioni via web – hanno saputo dare una grande prova di passione educativa e di

responsabilità professionale, mantenendo vivo il rapporto con gli allievi mediante tutte le forme

possibili per non lasciarne dietro nemmeno uno.

La stragrande maggioranza di maestri e professori si è dimostrata all’altezza del loro compito di

educatori – e non solo di erogatori di nozioni e di forgiatori di competenze – molto di più delle organizzazioni

sindacali che, come è noto, hanno eccepito sugli obblighi di servizio nelle lezioni a

distanza. Non sappiamo fino a quando questa inedita forma di homeschooling guidata contestualmente

da insegnanti e genitori resterà attiva, ma in ogni caso sarà un’esperienza destinata

ad incidere non solo nelle rispettive biografie, ma di cui tenere conto sugli assetti a venire

nella scuola italiana. Già in proposito si sono levate numerose voci con relative e specifiche

richieste che individuano nella scuola digitale la prossima riforma salvifica dell’istruzione italiana.

Richieste e proposte forse non del tutto disinteressate, se si pensa ai cospicui investimenti

economici necessari per la fornitura delle strutture necessarie e la formazione degli insegnanti

per realizzarla in modo appropriato. A costoro va ricordato che le tecnologie digitali rappresentano

senza dubbio uno strumento importante a sostegno dell’apprendimento, ma non possono sostituire

la vita della scuola nella sua molteplicità di spazi (aule, laboratori, palestre, ecc.), di tempi di

lavoro, di relazioni interpersonali, di collaborazione tra pari e di confronto di idee in presenza di

adulti esperti. Le varie possibili soluzioni escogitate per la scuola digitale non possono insomma

diventare la “nuova scuola” in grado di risolvere annose questioni che si trascinano da

molto tempo e rispetto a cui finora la politica (quella con la P maiuscola) non ha saputo dare

risposte convincenti. Un conto è guardare alle opportunità del digitale come a uno strumento

utile e un conto è immaginarlo espressione di una verità ontologica. Già, perché la scuola dopo

l’emergenza continuerà ad essere la scuola con le difficoltà che tutti conosciamo: esiti difformi e

squilibrati nelle diverse aree dell’Italia, molta dispersione, scarsi contatti con il mondo del

lavoro, alta età media degli insegnanti, precariato cronico, apprendimenti schiacciati sulle competenze,

bullismo, scuole scadenti in cerca di aiuto e molto altro ancora.

Sarà perciò necessario aprire un ampio dibattito per riportare la scuola al centro dell’interesse

nazionale e interrogarsi – lo diciamo in modo un po’ semplificato – sul senso da attribuirle: se

concepirla solo in ragione della spendibilità degli apprendimenti acquisiti e dunque puntando tutto

sulle competenze cognitive, oppure se guardarla come a un’occasione per formare anche altre qualità

della persona (per esempio mediante il potenziamento delle soft skills o il ricorso al service

learning) e avviarla a esperienze che non si monetizzano, ma qualificano la vita come “vita

umana”, come dimostrano le storie di quanti in queste settimane hanno lavorato per gli altri con

abnegazione, senso di solidarietà, gratuitamente.

Di fronte alla opinabilità dei “valori” come quelli appena accennati molti storcono il naso afflitti

ancora dai pregiudizi che una certa cultura libertaria e individualista ha messo in circolo nei

decenni passati. Ma la realtà è più forte di ogni preconcetto. Saprà la scuola di domani tenerne

conto?

RIFLESSIONI :“il digitale non è espressione di una verità ontologica”…così dice Chiosso con convinzione

e lungimiranza. Bello il passaggio in cui l’autore sottolinea che i docenti, in gran parte,

hanno cercato in ogni modo, di mantenere vivo il rapporto con ogni allievo. Circa il futuro Chiosso

sembra piuttosto pessimista ; in questi giorni si parla molto di ripartenza, ma è quasi tutto legato

al mondo della produzione e del commercio; il vero investimento per il futuro sarà far ripartire

per davvero e in modo nuovo la scuola.


Coronavirus, lezioni a distanza, i genitori prendono la nota: "Smettete di suggerire le risposte ai ragazzi"

Le lezioni a distanza sono un'occasione irripetibile per i genitori, in casa in smart working . Possono vedere e ascoltare i figli in un contesto inedito.

Conoscere la loro preparazione e scoprire come vivono e convivono con i docenti, i compagni. Fisiologicamente, i genitori esagerano. E in questi giorni si appalesano in stanza durante la lezione, suggeriscono durante la videointerrogazione. Già, la

scuola in remoto è la nuova frontiera del complesso rapporto italiano tra insegnanti e famiglie. I docenti

in questi giorni si scambiano, divertiti, un video postato su Facebook dall'attrice Maria Amelia

Monti nella parte di una mamma che suggerisce al figlio e che, scoperta, viene mandata in castigo

dalla professoressa. Alcuni presidi in questi giorni sono stati costretti a firmare circolari in cui,

appunto, certificano l'obbligo di non suggerire. "Il dirigente e gli insegnanti", si legge nella comunicazione

di una scuola media di Parma, "invitano le famiglie a vigilare affinché i ragazzi svolgano i

compiti loro assegnati nel modo più autonomo possibile, sostenendoli e guidandoli se necessario,

ma senza interferenze che possano vanificare l'acquisizione di saperi e competenze".Altre scuole

hanno inviato messaggi di questo tono ricordando che le lezioni sono obbligatorie e chiedendo agli

studenti di farsi vedere e non tener chiuse le telecamere.

"È un modo nuovo di insegnare", racconta Lara Pipitone, insegnante di Lettere alla scuola

media Manara di Milano. "Abbiamo faticato all'inizio perché ci siamo dovuti inventare una modalità

di didattica nuova".

Alfonso D'Ambrosio, dirigente scolastico di Vo', Lozzo Atesino e Cinto Euganeo, il primo focolaio

veneto, ha già programmato le simulazioni - a turno - dell'esame di terza media online. Ha scelto

la modalità della webcam - per controllare, appunto, se lo studente copia - e ha istruito diversi insegnanti

sulla loro presenza in remoto: "Si deve vedere se lo sguardo del singolo ragazzo è esclusivamente

sul pc o se sta ricevendo aiuti esterni". Usa Google Teams il professor D'Ambrosio e

spiega: "Le prove scritte saranno realizzate con sei studenti per volta, sorvegliati con la telecamera

della piattaforma. Si deve vedere se lo sguardo dell'alunno è rivolto al monitor o altrove". In

alcune scuole romane le circolari sono di senso contrario: genitori, state attenti all'utilizzo prolungato

del web da parte dei vostri figli, in questi giorni i rischi crescono".

RIFLESSIONI : incredibile..... la fantasia organizzatrice e sanzionatoria dei Dirigenti Scolastici arriva

ovunque..... E’ sicuramente vero, come viene detto che”la scuola in remoto è la nuova frontiera del

complesso rapporto italiano tra insegnanti e famiglie.” I genitori che riescono a seguire i propri figli a

casa si rendono conto molto di più del processo d’insegnamento e hanno l’occasione ghiotta di

aggiornare le proprie competenze. Circa il copiare si può dire che è una pratica che è sempre esistita,

cambiano solo le forme....copiare aguzza l’ingegno....


Pier Cesare Rivoltella “Scuola.Tecnologia più condivisione: così si può fare buon e-learning”

(Contributo segnalato da L. Pani )

L’emergenza costringe a ripensare le pratiche didattiche. E rivalutare il digitale. Il bisogno, l’emergenza, le situazioni estreme sono il momento in cui ci si accorge del valore delle cose. È vero per tante esperienze della vita: in questi giorni lo si sta sperimentando anche per la scuola e l’università.

Lo capiscono i docenti, privati dei loro studenti; lo capiscono gli studenti, cui sono sottratte le relazioni con maestri e amici. Occorre partire da qui per provare a comprendere il significato di quello che da più parti, anche se impropriamente, viene definito home schooling. Si fa lezione, si impara, si studia a casa, ma non perché si sia scelta questa situazione come alternativa alla scuola (è quel che capita nell’educazione parentale, l’home schooling vero), bensì perché lo stato del contagio ci ha costretti a questo. Sarebbe più opportuno parlare di smart learning, o di smart teaching, dove lo smart allude alle possibilità che la tecnologia ci garantisce di surrogare l’impossibilità della presenza.

Gli ambienti di videocomunicazione, le piattaforme eLearning, le applicazioni per l’apprendimento a distanza come un modo per non rimanere deprivati di tutto ciò che la scuola, dall’infanzia all’Università, rappresenta.

L’esperienza non è nuova nel nostro Paese, le prime esperienze risalgono al dopoguerra, anche se forse ce ne siamo dimenticati. La scuola, in seguito, con il Piano Nazionale per l’Informatica e il primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche, tra anni 70 e 80 aveva cominciato a ridurre il gap con gli altri Paesi europei. Da lì erano seguite le stagioni del multimedia in classe, delle Lim,

delle classi 2.0, con l’Indire a svolgere una funzione importante. Occorre ricordare questi passaggi per capire che quel che di positivo sta succedendo oggi tra classi di scuola e aule universitarie non è frutto del caso ma di un lungo percorso di preparazione.

Anche se poi, nell’opinione diffusa, alla formazione a distanza si è finito per associare l’idea di qualcosa che ha meno valore rispetto alla formazione fatta in aula, in presenza. Ma cosa sta succedendo oggi? Stante lo stop alle attività didattiche in presenza, il ricorso alla tecnologia sta garantendo che la scuola e l’università non si fermino. Certo, la situazione è a macchia di leopardo, c’è chi lavora più e meno bene, ci sono esperienze di eccellenza e altre che andrebbero riviste. Ma è importante che tutti ci stiano provando e, soprattutto, che ci si accorga che non è solo un problema di tecnologia. Non basta mettere gli studenti davanti allo schermo di un computer o assegnare loro compiti attraverso il registro elettronico. Occorre che tutto questo si inserisca

all’interno di una progettazione didattica, si avvalga di una regia metodologica.

L’apprendimento on line richiede un’attenzione particolare allo studente, ne vanno gestite la motivazione e l’attenzione. Non basta 'mandare in onda' la lezione e continuare a parlare come si sarebbe fatto in aula. Va studiata una sceneggiatura: materiali da mettere a disposizione prima, indicazioni di lavoro precise, ricorso alla comunicazione sincrona (chat e videocomunicazione)

per chiarire i dubbi, discutere i problemi. E poi si tratta di favorire la cooperazione tra gli studenti : il vero valore aggiunto della tecnologia è la possibilità della condivisione, di lavorare in gruppo. Si tratta di una modalità di lavoro che già dovrebbe appartenere alla normale didattica degli insegnanti e che ora le condizioni eccezionali in cui siamo costretti a muoverci stanno rendendo necessaria. Qui troviamo un primo aspetto di grande rilievo. È probabile che il virus stia riuscendo laddove anni di politiche educative hanno fallito: costringerci tutti a riflettere sulle nostre pratiche didattiche, studiare nuove forme per renderle efficaci, fare tutto questo in vista dello studente. Si scopre così che il digitale si può rappresentare diversamente. Non è solo ciò che erode spazio alle nostre relazioni, indebolisce i legami sociali, genera una vera e propria dipendenza.

Al contrario il digitale può riallestire il tessuto sociale, creare le condizioni perché le persone si riavvicinino, generare nuove reti di rapporti e di significati. Le tecnologie diventano allora tecnologie di comunità. Significa porsi il problema del divario ed eliminarlo: accorgersi che molti non hanno connessione, non hanno strumenti, non posseggono gli alfabeti, e creare le condizioni perché questi impedimenti siano superati.

Significa chiedersi come fare inclusione nei confronti di chi fa fatica, soffre una disabilità, sconta la differenza della lingua e della cultura: sono di comunità le tecnologie se sanno trasformare tutto questo in una diversità che arricchisce e non in un ostacolo che aggiunge separazione.

Significa attivare i territori. Le 'aule digitali' sono aperte: aperte ai genitori, alla comunità locale con le sue risorse, alle altre agenzie educative.

Da questa crisi possiamo uscire più forti, più coesi, più uniti. È in questi momenti che il capitale sociale può essere ripristinato e questo nel caso della comunità cristiana aggiunge valore al valore.

C'è un rischio. Che finita l’emergenza si torni alla normalità: la vecchia didattica trasmissiva, il 'bla bla bla' per dirla con Paulo Freire. Occorre lavorare a che non succeda. E per farlo serve pensare che la qualità della relazione non è una questione di formati o di strumenti e che il digitale non è un’alternativa alla presenza ma una sua dimensione.

La relazione è il risultato dell’intenzionalità educativa, è la consapevolezza che l’altro è al centro della mia attenzione. E il digitale può essere uno dei modi per mantenercelo. Lo è se diviene carezza nei momenti di sconforto, supporto nei momenti di difficoltà, legame nelle situazioni di solitudine, presenza quando si sperimenta l’assenza. Capitava già prima del virus: nelle scuole in ospedale, nei progetti di istruzione domiciliare, nelle scuole dei piccoli plessi, in tutte quelle situazioni in cui tanti docenti anonimi, senza protagonismi, hanno sempre dato testimonianza di cosa significhi insegnare.

RIFLESSIONI : P.C. Rivoltella è abbastanza ottimista sul futuro, la sua positività nasce dal fatto che inquadra l’uso delle tecnologie in una visione basata sulla pedagogia e la metodologia.

Fondamentale, secondo l’autore, è saper progettare tutte le fasi dell’attività. Molto bello il passaggio sulle”tecnologie di comunità” e su come rendere relazionale il digitale.

Anche l’idea delle ”aule digitali aperte” è da prendere in considerazione.


Scuole chiuse, la didattica a distanza non è democratica (di A. Corlazzoli )

In queste ore mi è stata segnalata la lettera aperta alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, scritta da due maestre napoletane. E’ la voce di tanti docenti che in questi giorni non riescono a raggiungere tutti i loro alunni. Me l’ha detto anche una professoressa di Lettere di un istituto professionale di Cremona: la didattica a distanza non è democratica.

Questo mondo l’abbiamo perso. Non c’è modo per raggiungerlo. Lo stesso ministero lo ha ammesso: 1,6 milioni di alunni non sono ancora stati raggiunti dalla didattica a distanza.

Allora hanno ragione le maestre di Napoli di cui riporto la lettera. Cara Ministra, Come maestra e cittadina ho ascoltato con attenzione il suo discorso di due giorni fa, però mancavano tantissime cose. Mancava Gennaro, del pallonetto di Santa Lucia con il padre in carcere e la madre che preferisce fare i selfie sul telefonino, piuttosto che seguirlo; Gennaro che è stato reso un elemento indispensabile in classe, attraverso gli incarichi, il gioco, le risate, le iniezioni di fiducia che tutte le docenti si sono impegnate ad attivare nel quotidiano. Dove sta Gennaro, cara ministra? Non riesco a raggiungerlo con nessuno dei canali informatici fondanti della Didattica a distanza ( e solo il nome mi fa rabbrividire in quanto la didattica o è in presenza o è altro…) Mancava Fabrizia, che ha forma di autismo gravissima e che con i video inviati per la didattica a distanza non fa altro che piangere, e alla sua mamma che non riesce a calmarla, né a spiegarle il perché della sua forzata reclusione che per lei è incomprensibile… Mancava Giovanni, con cui, vincendo le resistenze della famiglia per l’ accettazione delle sue difficoltà di apprendimento, avevamo avviato inclusione, infuso autostima e voglia di imparare e migliorare… Le mie colleghe, stanno facendo sforzi enormi per tenersi al passo e non lasciare indietro nessuno tra mille difficoltà. Si disperano perché capiscono le enormi difficoltà, anche future della scuola, con cui ogni giorno ci si incoraggia, tentando di escogitare metodi per raggiungere tutti i Gennaro, tutte le Fabrizia, tutti i Giovanni, sempre sulla buona volontà. Perché la scuola, come l’ avete resa oggi, si basa solo sulla volontà dei singoli che ne fanno parte. Mancavano le difficoltà quotidiane di una scuola che avete distrutto, dove anche avere il sapone e lo Scottex è considerato, per gli addetti ai lavori, un vero e proprio lusso…una scuola che si regge sulla buona volontà dei docenti, sul loro impegno e senso di responsabilità, dove mancano le lavagne in ardesia e figuriamoci le LIM! Mi ha colpito anche l’indagine sul grande numero di alunni che è stato raggiunto dalla didattica a distanza: in quel numero però Gennaro, Fabrizia con la sua mamma, Giovanni…mancavano! Parliamo poi degli strumenti necessari per interagire con i docenti. Quante famiglie hanno un pc o un tablet?

Hanno il cellulare, è vero, ma quanto può essere fruibile questo strumento da un bambino della scuola primaria senza l’aiuto di un adulto? Tutti ormai hanno la bocca piena di parole come download, upload, allegato, bacheca e dati condivisi, ma questo necessariamente richiede l’assistenza di un adulto. E dimentichiamo che molti adulti da casa stanno lavorando e devono barcamenarsi tra l’audiolettura di un figlio alla primaria, la videolezione di inglese del figlio alle medie su Zoom e quella di latino del maggiore su Skype. Quanti pc, tablet, cellulari occorrono? Ancora una volta ad essere penalizzate saranno le famiglie più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico. Si parlava poi di valutazione. Come si potrebbe mai dare un voto in una simile situazione? Valutiamo il numero di ore di connessione? O la velocità con cui si scaricano e si caricano i compiti? Sul documento di valutazione di Gennaro, Fabrizia, Giovanni scriveremo allora che l’alunno si è mostrato poco partecipe collegandosi raramente alla classe virtuale ed interagendo in modo saltuario con i docenti e con i pari. Questa emergenza sta semplicemente dimostrando che la tanto vituperata classe docente ha contato, conta e conterà sempre e soltanto sulla propria voglia di “fare la scuola” attraverso il rapporto umano che nessun software potrà mai sostituire. L’unica cosa sulla quale possiamo essere d’accordo è che quest’anno ormai è andato e segnerà per sempre la scuola oltre che le vite di tutti, ma deve servirci per fare una profonda e accurata revisione del sistema educativo, che di inclusivo ha poco o nulla. RIFLESSIONI : la lettera della maestra è una fotografia che rappresenta bene la situazione di chi insegna in una delle zone più problematiche del paese. La maestra di Napoli parla di una scuola che è stata distrutta e che si regge in primo luogo sulla volontà dei singoli che ne fanno parte. E’ vero quanto affermato e forse, negli ultimi anni, questa visione si è accentuata sempre di più. Giusto parlare di revisione del sistema educativo per renderlo veramente inclusivo, non solo a parole.

RIFLESSIONI : la lettera è una fotografia che rappresenta bene la situazione di chi insegna in una delle zone più problematiche del paese. La maestre di Napoli parlano di una scuola che è stata distrutta e che si regge in primo luogo sulla

volontà dei singoli che ne fanno parte. E’ vero quanto affermato e forse, negli ultimi anni, questa visione si è accentuata sempre di più. Giusto parlare di revisione del sistema educativo per renderlo veramente inclusivo, non solo a parole.


OTTOBRE 2020

Io, pecora nera a scuola, ora sono tra i 10 prof migliori del mondo"

( DA “LA REPPUBLICA “ DEL 01 OTTOBRE 2020 - DI CATERINA PASOLINI )

Carlo Mazzone, che insegna informatica a Benevento tra sfide e giochi in classe, è il primo italiano ad entrare nella decina finale per la conquista del Global teacher prize. Erano in gara dodicimila insegnanti di 140 nazioni, un milione il premio della Varkey Foundation: "Lo spenderei per aiutare gli studenti a diventare imprenditori ed evitare l'abbandono scolastico che al sud è drammatico. Ogni ragazzo che lascia è un pezzo di futuro che si perde". Mazzone da giovane era considerato la pecora nera di casa. Figlio e fratello di docenti, insegnanti, presidi, amanti di greco e latino, lui disdegnava le materie umanistiche. Voleva fare lo scienziato, amava l'elettronica, tanto da iscriversi di nascosto a radio Elettra leggendosi i fascicoli di nascosto, come giornaletti proibiti. Mancando volumi sulla sua materia, sui computer, negli anni ha cominciato a scriverli basandosi sulla sua esperienza prima nelle aziende e poi in classe, organizzando le lezioni in pratiche sfide tra gruppi di alunni per creare progetti. E molti sono stati premiati in concorsi europei.

COMMENTO : bravo professore ! Sei andato dietro all’idea che avevi in testa anche se eri osteggiato in famiglia. La tua bella storia dimostra due cose : - è difficile prevedere in età scolare gli esiti finali di un percorso formativo che dura tanto, forse per sempre ; - molte volte i percorsi poco lineari sono quelli vincenti e avvincenti !

27 AGOSTO 2020 UMBERTO GALIMBERTI LA PENSA COSI’. E VOI…?VOI…? SCUOLA, INSEGNANTI, ALLIEVI, GENITORI: UN GIOCO TARDO ESTIVO

Qualche tempo fa la rete televisiva BioBlu ha trasmesso la conversazione tra Danilo D’Angelo e Umberto Galimberti. Il tema riguardava l’istituzione scolastica italiana. A poco più di una settimana dall’inizio della scuola (14 settembre) risulta di un certo interesse discuterne Abbiamo selezionato solo il punto riguardante i professori che devono essere carismatici, e la loro formazione. Chi vuol leggere l’intera conversazione deve collegarsi a “albardelluvi.blog” . Lo strumento è interattivo quindi si può esprimere anche la propria opinione. Ecco il testo : I professori dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità (mi detestano quando lo affermo…). Insegnare vuol dire comunicare, essere carismatici, trascinare, vuol dire plagiare, perché no? Lo diceva Platone: si impara per fascinazione e per imitazione. Ci vogliono professori capaci di comunicare, che credono nel loro mestiere, capaci di affascinare. Se non hai queste doti, non devi fare il professore. Invece, alcuni professori sono l’ “imago mortis”:

quando entrano in classe, deprimono e demotivano i ragazzi. E quando hai demotivato un ragazzo, lo hai avviato sulla strada della depressione. Che compensa con grandi bevute, con un po’ di droga e a volte anche con un gesto estremo. In Italia si suicidano circa quattrocento studenti all’anno. La Svizzera italiana ha superato la Svezia e il Giappone nel numero di suicidi giovanili. Come mai la scuola li induce al suicidio? E’ la qualità dei professori.

Commento : che parole aspre ! Conosco bene Garimberti che ho avuto modo di ascoltare dal vivo….si esprime sempre così . Lasciamo perdere la provocazione sul test di personalità ; bello il pezzo sull’essere carismatici . Molto triste l’ultima parte : speriamo che quanto ipotizzato non sia vero.

Da “domani” >>ottobre 2020 Più armi che scuole. Qualcuno smilitarizzi il Recovery plan

• I progetti arrivati dai ministeri per l’elaborazione del Recovery plan svelano che la scuola trova poco spazio, mentre dietro le espressioni “sostenibilità” e “transizione verde” si nasconde l’ampliamento dell’industria bellica.

• Il ministero dello Sviluppo economico ad esempio classifica la sua richiesta per potenziare la «filiera industriale aerospaziale e della difesa» sotto l’etichetta «industria sostenibile».

• Con 12,5 miliardi, pari al costo per l’impiego annuale di 300mila insegnanti, potremmo risolvere i problemi urgenti della scuola italiana. Ma per il governo la priorità è produrre aerei di attacco.

Doveva essere un Recovery plan incentrato su scuola, sanità e sfida ai cambiamenti climatici, ma rischia di diventare il Piano per la competitività del sistema produttivo. Armi comprese. Nelle linee guida presentate il 16 settembre, il governo italiano indica sei missioni: 1) digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per la mobilità; 4) istruzione, formazione, ricerca e cultura; 5) equità sociale, di genere e territoriale; 6) salute.

Il rischio, però, è che le ultime tre finiscano con l’essere le cenerentole del Recovery plan. Questa è l’impressione che si ha scorrendo i 557 progetti candidati dai diversi ministeri alla selezione per il finanziamento europeo: una corposa lista che include, come precisato dal ministro Enzo Amendola, anche «ipotesi già ampiamente superate», ma che dà importanti indizi sui desiderata delle diverse amministrazioni. Poiché meno di un terzo di questi progetti potrà essere presentato a Bruxelles - la lista ammonta a 677 miliardi contro i 209 a disposizione dell’Italia -, ci sono ancora margini per un cambio di rotta. Magari nella direzione indicata da Ursula von der Leyen per rimettere in piedi l’Unione europea: sanità, clima e digitale. Con il 37 percento dei fondi del Recovery fund vincolato a politiche verdi.

Nel listone, la parte del leone la fa il ministero dello Sviluppo economico, che arriva a sommare richieste pari a 221 miliardi di euro, scesi a 153 miliardi nelle schede dettagliate inviate dal MiSE al dipartimento Politiche europee il 27 agosto. I progetti del ministero dell’Istruzione, invece, si fermano a poco meno di 27 miliardi di euro; quelli del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non arrivano a 30 miliardi, quelli del ministero della Salute superano di poco i 64 miliardi.

La stessa marginalità può essere riscontrata nelle parole chiave: “scuola” e “scuole” compaiono solo 24 volte in tutta la lista, “Covid” 23 volte, salute 54, “sociale” solo 28; “cambiamenti climatici” 13 volte. Il termine “sostenibile”, invece, è molto diffuso (141 volte al singolare, 46 al plurale), ma non sempre a proposito. Eclatante il caso del ministero dello Sviluppo economico che classifica la sua mega richiesta per potenziare la «filiera industriale aerospaziale e della difesa» - compresi i velivoli di attacco - sotto l’etichetta «industria sostenibile».

Commento : notizie preoccupanti, speriamo che il tiro venga aggiustato ; se su un contributo proveniente dall’Europa di 221 miliardi di euro , i progetti del Miur arrivano a poco più del 10 % del totale, vuol dire che ancora una volta investire sulla vera formazione dei cittadini non è una priorità. Clamoroso poi che si pensi di potenziare l’industria bellica ! Grave anche che non ci sia un vero investimento sulla sempre più necessaria “rivoluzione verde”.

Dal “Corriere della Sera “

Scuola, disabile senza assistenza: Italia condannata a Strasburgo

Il 10 settembre sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo contro l’Italia: effetti negativi sull’intero percorso scolastico della studentessa senza prof di sostegno (di Anna Gioria).

Il 10 settembre scorso, per la prima volta, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha incolpato l’Italia di aver violato il diritto di studio nei confronti della studentessa G.L., affetta da autismo. La condanna specifica è quella di non aver fornito alla studentessa stessa un’adeguata assistenza scolastica nei primi anni della scuola primaria. La Corte di Strasburgo imputa al nostro Paese di aver violato contemporaneamente sia l’articolo 14 della Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo che vieta ogni forma di discriminazione, sia l’articolo 2 del Protocollo Addizionale N1 della stessa che sancisce il diritto allo studio. Nello specifico, non si tratta solo di una mancanza di un’adeguata assistenza che sarebbe spettata di diritto a G. L. per la normativa vigente, ma occorre tenere in considerazione anche le gravi conseguenze che l’inadeguata assistenza nei primi anni scolastici possono incidere in maniera negativa sull’intero percorso di sviluppo della ragazza. La sentenza di Strasburgo Anche se quest’ammonizione da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nei confronti dell’Italia è un fatto grave in se stesso, rappresenta un importante passo in avanti nel rafforzamento dei diritti delle persone con disabilità a livello europeo e internazionale. La stessa accusa fatta dalla Corte di Strasburgo è stata ribadita da Filomena Gallo, avvocatessa e responsabile dell’Associazione Luca Coscioni, ente no profit impegnato nella promozione sociale e nell’affermazione delle libertà civili e dei diritti umani. La Gallo, a nome dell’associazione stessa, mette in risalto come il caso di G. L. non sia un episodio isolato, ma come nel nostro Paese si verificano continuamente situazioni simili. Purtroppo, in questo periodo della pandemia del Covid i casi di non assistenza e di non inclusione sono aumentati in modo spasmodico, creando un’emergenza nell’emergenza. Per questo secondo l’avvocatessa stessa occorrono immediate politiche in grado di contrastare le molte forme di discriminazioni ancora esistenti nel nostro Paese, come giustamente ha evidenziato la Corte Europea dei Diritti dell’uomo.

Commento : vergogna in tutti i sensi! Che per aver riconosciuti i propri diritti si debba andare davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è grave ! Esiste ancora nel nostro paese una politica ragionata riguardo agli interventi a favore dei soggetti più fragili ? Da sottolineare, nella sentenza, la finezza del passaggio in cui viene detto che non si tratta solo di una mancanza di assistenza, ma del fatto che gli inadeguati interventi nei primi anni scolastici possono incidere in maniera negativa sull’intero percorso di sviluppo del minore. Quindi, tutti i sacrosanti giorni di apertura delle scuole, gli alunni con il sostegno devono avere adeguati interventi e non devono pagare per primi la “smania” di risparmiare sul personale supplente, sempre più diffusa, senza una motivazione accettabile, nel mondo della scuola.

DICEMBRE 2020

DA “IL FATTO QUOTIDIANO” del 31 OTTOBRE 2020

La didattica a distanza è necessaria, ma anche la socialità. È così che nasce la Yurta urbana

(di Andrea Polo : esperto di comunicazione e papà)

Ho tanti amici che fanno i ristoratori e che solo pochi mesi fa hanno speso migliaia di euro per fare in modo che i loro locali fossero a norma per poter riprendere a svolgere la normale attività; tanti altri che lavorano nel mondo degli eventi, in quello dello

spettacolo o del turismo e che oggi sono preoccupati per quello che sarà e io non posso che esserlo con loro e per loro.

Ma c’è anche un’altra cosa che da padre, forse egoisticamente, mi preoccupa di questo secondo probabile

lockdown, “stop and go” o come preferite chiamarlo; che Marco e Giovanni ritornino ad una didattica a distanza al 100% e a tempo indeterminato, che perdano la possibilità di andare a scuola, di incontrarsi coi loro compagni di classe, sia pure

a distanza di sicurezza e con mascherina, che si trovino nuovamente a fare lezione tramite computer

o tablet (non chiamatela scuola, perché la scuola è un’altra cosa).

Marco, che frequenta la prima liceo, da qualche giorno è già a casa e purtroppo mi sento spettatore di uno spettacolo cui ho già assistito e che non mi è piaciuto per nulla. Nei mesi del primo lockdown ho visto Marco e Giovanni spegnersi poco per volta, passare dall’entusiasmo del non doversi alzare presto per andare a scuola, all’apatia dell’accendere meccanicamente il computer per leggere schede inviate via email o sentire parlare i loro insegnanti senza il piacere di vederli dal vivo o, anche, quello

del riuscire a non farsi vedere mentre di nascosto passavano un bigliettino ad un compagno, perché scuola è anche questo.

Lo hanno fatto comunque diligentemente, lo abbiamo fatto tutti. Era giusto farlo e forse sarà altrettanto

necessario a breve, ma forse con grande ingenuità spero che almeno per la scuola questa volta la storia sia diversa. In effetti quello che nei mesi di chiusura, forse, a loro e a me è mancato di più, è stato proprio il piacere di incontrarsi. La socialità

interrotta. Per questo motivo mi ha colpito l’iniziativa di un gruppo di genitori di Milano che hanno dato vita ad un progetto che a bocce ferme sembrerebbe folle: la Yurta condivisa.

Se non sapete cosa sia una yurta non preoccupatevi, siete in ottima compagnia. Io stesso non ne avevo idea fino a poco tempo fa. La yurta è una tenda usata dai popoli nomadi dell’Asia, un luogo di incontro e condivisione che questo gruppo di un

centinaio di genitori sta cercando con tutte le forze (e pochi mezzi purtroppo) di realizzare in un giardino

pubblico del capoluogo lombardo. Nel loro progetto la yurta sarà un punto di riferimento per bambini e genitori, ma anche per anziani e adulti, senza dimenticare le famiglie che vivono in case di pochi mq e non hanno grandi possibilità economiche.

La prima vera yurta urbana, dove dar vita a quello che in inglese si chiama community hub, in sintesi un luogo di scambio, incontro e condivisione per famiglie. Sfruttando soprattutto gli spazi aperti, ma avendo un punto di riferimento, ad esempio, per incontri con specialisti cui rivolgere le mille domande che passano nella testa di un genitore, di certo in tempi di pandemia, ma anche in tempi, speriamo non troppo lontani, di ritrovata normalità.

Nella yurta, o attorno ad essa, si potrà giocare, lavorare, condividere esperienze, vivere la propria infanzia o la propria genitorialità. O anche, semplicemente, incontrarsi. Spero proprio ci riescano, e se anche voi volete contribuire alla creazione della

Yurta urbana potete farlo. Ci vediamo nella Yurta, adesso anche voi sapete cosa sia e quanto bene possa fare.

Nella yurta, o attorno ad essa, si potrà giocare, lavorare, condividere esperienze, vivere la propria infanzia o la propria genitorialità. O anche, semplicemente, incontrarsi. Spero proprio ci riescano, e se anche voi volete contribuire alla creazione della Yurta urbana potete farlo. Ci vediamo nella Yurta, adesso anche voi sapete cosa sia e quanto bene possa fare.

COMMENTO : bella idea ! E’ importante che si trovino, in un mondo così portato alla divisione, nuovi spazi di incontro all’aperto per i ragazzi e i genitori ! L’idea della tenda , poi, è affascinante, il suo significato nella storia e nelle esperienze di crescita a volte è fondamentale.


EDUCAZIONE FINANZIARIA : l’Italia in ritardo ( da “Domani” )

Quando si parla di finanza, si pensa subito a borsa, azioni, titoli di Stato. Come se fosse un argomento lontano, che non ci riguarda. Sbagliato. Ogni giorno prendiamo decisioni che hanno a che fare con il denaro: non ci sono solo Piazza Affari, tassi d’interesse e fondi d’investimento. Anche il bilancio familiare, le scelte di acquisto o la paghetta dei figli richiedono un’educazione finanziaria (quantomeno) di base. L’Italia è in ritardo. L’educazione finanziaria è, più che mai, un’urgenza. L’Indagine sull’Alfabetizzazione e le Competenze Finanziarie degli Italiani, condotta nei primi due mesi del 2020, assegna agli italiani un punteggio medio di 11,2. Banca d’Italia sottolinea che, tra i 26 Stati analizzati, il nostro si “colloca in uno degli ultimi posti”, sui livelli di Romania, Perù e Colombia, sotto la media Ocse (13) e lontano dai primi della classe (Slovenia, Austria e Germania). Un gap che ne ingloba altri: le persone con un livello di istruzione elevato, gli uomini e il Nord registrano punteggi più alti. C’è quindi una debolezza di fondo sulla quale si innestano una questione formativa e una geografica. “I risultati – sottolinea Bankitalia – confermano la necessità di intensificare gli sforzi volti a migliorare l’alfabetizzazione finanziaria degli italiani”. In Italia l’educazione finanziaria latita sin dalla scuola. Secondo l’indagine Pisa 2018, gli studenti quindicenni italiani sono tra i più carenti dell’area Ocse. Uno su cinque non possiede le competenze minime necessarie per prendere decisioni finanziarie responsabili e ben informate. E la percentuale degli studenti con E la percentuale degli studenti con competenze di livello 5 (le più

elevate) è meno della metà rispetto alla media Ocse (4,5% contro 10,5%). Recuperare il terreno perso è

complicato. Ecco perché si deve partire il prima possibile. “C’è assoluto bisogno di introdurre

economia e finanza sin dalla prima elementare”, suggerisce Rinaldi. “Oggi invece si può arrivare

all’università senza avere neppure un’infarinatura di base”. “Non è mai troppo presto per iniziare”,

conferma la formatrice e coach Barbara Chiavarino . Serve quindi una nuova offerta didattica, che –

oltre ai metodi tradizionali – esplori iniziative che fondano gioco e apprendimento per abbattere la

diffidenza iniziale. Ad esempio con la realtà virtuale, come ha fatto la Fondazione per l’educazione

finanziaria e il risparmio (Feduf). Strumenti e linguaggi si evolvono poi nel tempo, accompagnando

gli studenti. “Il ruolo dell’istruzione – afferma Rinaldi – è creare cittadini consapevoli. Non è

possibile senza educazione civica ma non si può neppure prescindere da una formazione di economia

e finanza”..

“L’educazione finanziaria contribuisce a creare cittadini più consapevoli, che capiscono le manovre

del governo e delle banche centrali”, spiega Azzurra Rinaldi, docente di Economia Politica

dell’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza. “Ma non solo: in una prospettiva di

medio periodo, senza competenze si escludono le forme di integrazione al reddito. E così spesso i

soldi restano sotto il materasso solo perché non si possiedono gli strumenti per valutare rischi e

opportunità”.

COMMENTO: …ci sarà mai un’indagine comparativa in cui l’Italia sia ai primi posti ? Quest’aspetto,

come detto nell’articolo, è spesso giudicato secondario , eppure, pensandoci bene, si lega facilmente

a quanto scritto riguardo all’uso delle risorse nel numero precedente . Il concetto di risparmio,

quindi, oltre ad essere applicato nel settore ambientale deve essere sperimentato a scuola

anche riguardo all’uso e alla circolazione della moneta.

C’è da scrivere pertanto una nuova pagina nel PTOF su cui lavorare concretamente. Forza e

coraggio !


Lo scienziato ragazzino: "Vi spiego il segreto dei dinosauri" - La REPUBBLICA - 08 DICEMBRE 2020

Francesco Barberini ha 13 anni, è ambasciatore Wwf e alfiere della Repubblica.

E’ nato nel 2007, milioni di anni dopo la sua passione.

Francesco ama e studia gli uccelli e quindi i dinosauri. Studia, fa ricerche e scrive. Ha appena

pubblicato il libro “Che fine hanno fatto i dinosauri?” in cui, in 180 pagine, spiega in maniera molto

dettagliata il loro segreto, il loro fascino, la loro storia, accompagnandoci in uno strano mondo che

a poco a poco diventa il nostro.

COMMENTO : bravo Francesco ! Ce ne fossero di ragazzini così ! Speriamo che una parte delle tue

straordinarie competenze siano frutto di quanto appreso durante l’esperienza scolastica. Ti auguriamo

un futuro radioso! ….Tra l’altro sei stato bravo a correggere in TV il mitico Bruno Vespa che

pensava che i pipistrelli fossero uccelli…….


La preside del liceo Manzoni fa marcia indietro: niente media del 9 e casa in centro come criterio per

essere ammessi a scuola… da “ la Repubblica” del 25.10.2020

Dopo le proteste, una circolare emanata oggi sospende la decisione presa nei giorni scorsi dal

consiglio di istituto che stabiliva la selezione per gli studenti che vogliono iscriversi al primo anno nel

prestigioso liceo pubblico milanese ; "Dato lo scalpore suscitato dai nuovi criteri di iscrizione

alle classi prime per l'anno scolastico 2021/2022 si ritiene opportuno sospendere la delibera

in attesa di un ulteriore confronto": la circolare è firmata da Milena Mammani, dirigente scolastica

del liceo classico Manzoni di Milano, finito al centro di proteste e critiche per la sua decisione dei

giorni scorsi: media del 9 e criterio territoriale, che privilegia chi abita in centro, nei pressi della

scuola, per chi si iscrive al primo anno. E' una marcia indietro, anche se temporanea e in attesa di

un confronto tra le parti, quella della scuola.

Perché, è il senso della protesta nata dagli stessi studenti dei collettivi, il rischio concreto era di

creare così una scuola pubblica elitaria.

COMMENTO : purtroppo terminiamo con una notizia che rattrista e preoccupa ; spesso i Consigli

d’Istituto , per il quieto vivere, adottano delle delibere che confliggono non poco con i più elementari

diritti costituzionali. La democrazia scolastica è proprio ridotta male, ma nessuno parla più della

necessità di riformare gli Organi Collegiali istituiti nel lontano 1974.

Purtroppo “scuole pubbliche elitarie “ ne esistono più di quello che sembri.