La scuola
del merito
(di A. Poggiali)
(ELABORAZIONE GRAFICA A CURA DI S. CERETTO)

Chi si merita la scuola del merito?

C’è un grande dibattito sul concetto di merito così come lo ha voluto porre l’attuale governo che ha introdotto tale denominazione accanto alla più tradizionale di Ministero dell’Istruzione.

Naturalmente in questo caso la definizione assume il significato di un atto di indirizzo. La “pubblica istruzione” di un tempo intendeva sottolineare l’apertura della scuola a tutti da parte dello Stato democratico dopo gli anni della scuola gentiliana, classista e autoritaria. La scelta attuale introduce un termine che sottintende criticamente come la scuola italiana oggi non faccia abbastanza per valorizzare e premiare chi si distingue. Si può immaginare che tutto il sistema sia sottoposto ad una revisione. I soggetti che dovrebbero essere valutati sarebbero dunque gli studenti, ma anche i docenti e le istituzioni scolastiche.

Per quanto riguarda i docenti i riferimenti normativi più recenti sono da ricercarsi nella legge 107 del governo Renzi che istituiva un fondo dedicato al riconoscimento del merito e il Decreto aiuti bis del governo Draghi che proponeva l’istituzione del “Docente esperto”. Entrambe queste misure sono state mitigate in sede contrattuale, non negando in toto il principio che sostenevano, ma rifiutando le modalità di attuazione. Su questo tema ci sarebbe molto da dire, ma preferisco rimandare ad un altro momento la discussione, perché la questione è spinosa e complessa.

Per quanto riguarda il merito riconosciuto alle scuole si deve risalire alle riforme Moratti e Gelmini. In particolare quest’ultima aveva tentato di collegare l’ordinario finanziamento, destinato agli istituti scolastici, al merito di questi ultimi, basandosi sui risultati dei test Invalsi. Anche in questo caso, e aggiungo per fortuna, l’attuazione del principio “meritocratico” è stata frenata. Certamente le scuole più “fortunate” che raccolgono studenti già in qualche misura selezionati per via del loro retroterra culturale, non hanno bisogno di essere ancor più favorite per non aumentare il divario che già esiste con quelle meno “fortunate” le quali, al contrario, avrebbero bisogno di interventi di sostegno allo studio previsto dall’Art. 3 della Costituzione. Il rischio che intravvedo riguardo a questo è nell’attuazione della riforma delle autonomie regionali che rischia di riproporre la questione delle aree più “meritevoli”.

Focalizzerei maggiormente il mio intervento sul riconoscimento del merito degli studenti, in quanto mi pare sia su questo che si concentra l’attenzione del Ministero anche se non è ancora chiaro in che termini. La scuola, secondo il dettato costituzionale, dovrebbe “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (Art. 3) garantendo ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” il “diritto di raggiungere i grdi più alti degli studi” (Art. 34).

L’accezione di meritevoli in questo caso va intesa come il riconoscimento dovuto a chi “è degno di lode”, a chi si dimostra capace di ottenere un risultato indipendentemente dal punto di partenza, anzi proprio per garantire, al di là di tutto, di poter partecipare alla vita pubblica.

Come possiamo essere di principio contrari al merito? Infatti, personalmente non lo sono. Ma mi chiedo se, quando pronunciamo la parola “merito”, intendiamo tutti la stessa cosa. L’ampiezza semantica di termini come questo, rischia di impegnare intellettuali, addetti ai lavori e persone comuni in sfiancanti discussioni senza via d’uscita in quanto viziate da un equivoco di fondo: la definizione del concetto cui ci si riferisce. Ma allora, a cosa rimanda il merito?

Chi merita e si distingue indubbiamente viene riconosciuto per le sue doti innate oppure per l’impegno e la dedizione nel compiere il proprio lavoro. Però, perché si possano riconoscere le qualità di uno studente qualsiasi è necessario dare a tutti pari opportunità, il che significa, secondo don Milani, che non ci debbano più essere Gianni e Pierini che partono da posizioni così differenti da rendere vano ogni sforzo per colmare il divario. Se oggi le cose non stanno così forse la responsabilità non è tutta della scuola. Probabilmente politica e società civile hanno la loro porzione di colpa nel non essere riuscite a rendere la società più omogenea non garantendo livelli di partenza né economicamente, né culturalmente simili.

Alla posizione che è propria di una scuola inclusiva e fedele al dettato costituzionale si va contrapponendo una filosofia di segno contrario che vede in questo atteggiamento un “danno scolastico” per cui, recita il titolo di un recente testo di Mastrocola e Ricolfi, la scuola progressista sarebbe una “macchina della diseguaglianza” tradendo le sue intenzioni. Tutti i passi compiuti nel tentativo di colmare il divario tra le classi sociali vengono giudicati inutili dagli autori, anzi si sarebbero convertiti nell’esatto contrario. Abbassando le richieste la scuola pubblica avrebbe amplificato le differenze di classe. Un diploma “sociale”, come viene definito da Luca Ricolfi, non è in grado di far accedere a posizioni sociali più ambite perché è proprio l’abbassamento dei livelli di conoscenze e competenze ad essere causa di immobilismo sociale. Per la Mastrocola è necessario ritornare alla scuola tradizionale, quella precedente alla rivoluzione pedagogica degli anni ’60/’70 contrassegnata dall’attivismo pedagogico e dalla progettualità educativa. Ritornino le lezioni frontali come modello didattico principale. A svolgerle dovrebbero essere insegnanti, di gentiliana memoria, capaci di coinvolgere la classe attraverso un linguaggio eloquente ed una capacità retorica trascinante. L’esclusione scolastica andrebbe combattuta proponendo le materie con i loro argomenti più difficili attraverso i quali lo studente potrebbe veramente acquisire le competenze necessarie per la propria promozione sociale. Ecco il merito! È a questo che guarda il Ministro? Non lo sappiamo ancora, ma le recenti esternazioni lo fanno sospettare.

Per quanto riconosca un certo fondamento a tali argomentazioni, mi sento di dissentire profondamente. Credo che chi pensa al merito in questi termini, non conosca evidentemente la realtà scolastica oppure la veda con occhio deformato, uno sguardo che pensa ai “bei tempi andati”. Per prima cosa, lo riconosceva già il linguista Tullio De Mauro, già Ministro dell’Istruzione, la scuola degli anni ‘50/’60 era una scuola d’élite almeno a livello liceale, gli altri, i tanti appartenenti ai ceti popolari, salvo rare eccezioni, neppure si affacciavano alla scuola superiore impiegandosi nei tanti settori del lavoro manuale. La realtà sociale è molto cambiata e la scuola di massa ci mette di fronte a nuove sfide, oggi molto complesse. Non voglio però cadere nella trappola di formulare un giudizio ideologico sulla posizione ministeriale. Temo però che, l’interpretazione del concetto di merito elaborata dal Ministero, possa portare a scelte quali ad esempio incentivare le bocciature, creare classi differenziate per competenze, premiare le scuole virtuose (con alti indici Invalsi), creare classi omogenee per livello ed altro ancora. Se merito vuol dire questo posso dire di essere molto lontano da questa prospettiva.

Se qualcuno merita altri demeritano? Pare questo l’implicito principio dell’impostazione di questa proposta che si traduce nella ricerca dell’eccellenza. La società, per chi sostiene una scuola meritocratica di tal fatta, è pensata come un terreno di scontro per il raggiungimento delle posizioni migliori, per allocarsi in alto guadagnando “status” ambiti. Immettendo la competizione nelle relazioni tra studenti, premiando i migliori e punendo i ribelli, l’impostazione meritocratica intende risollevare le sorti della nostra nazione! Ma quanti saranno i “morti” e i “feriti”? Fuori di metafora, quanti risulteranno esclusi dal percorso scolastico? Ci troviamo in un momento di forte crisi, psicologi ed osservatori attenti alle trasformazioni del mondo giovanile segnalano una progressiva fragilità emotiva tra i ragazzi e le ragazze che frequentano le nostre scuole. I docenti come me lo hanno sotto gli occhi, nelle classi aumentano visibilmente sindromi d’ansia e depressive, autolesionismo e problemi di alimentazione che portano molti adolescenti a rinchiudersi nelle proprie case o a vivere alla giornata e senza prospettive. Anche perché le prospettive sono davvero simili ad incubi: pandemia, guerre, crisi economica… Vogliamo davvero una scuola che riproduca le dinamiche competitive del neoliberismo economico oggi dominante? E ad essere esclusi, siamo sicuri siano quelli che non si meritano di andare avanti? Non saranno sempre gli stessi, quelli che attingono ad un patrimonio generazionale di alto livello, a partire favoriti e ad arrivare alle leve del potere? Si rischia, in questo modo, una nuova forma di neo-darwinismo.

Guardando la cosa da lontano, “sub specie aeternitatis” come direbbe Spinoza, la questione si ripropone sempre uguale a se stessa in forme solo apparentemente differenti, a partire dal dibattito che si era aperto in seno alla Polis greca su come essa dovesse essere governata. Nella Repubblica platonica troviamo l’origine del concetto di merito. Chi deve governare? Naturalmente chi sa, chi appartiene ad una classe riconosciuta come migliore, gli “àristoi”, meritevoli non perché nobili di sangue, ma per sapienza e capacità. A distinguerli dagli altri sono gli anziani, capaci di riconoscere in loro il prevalere dell’anima razionale così da avviarli ad un percorso di studi lungo ed impegnativo. Il fascino esercitato nella filosofia politica da questo “mito” originario è sempre stato forte. Soprattutto perché è in contrapposizione con il metodo democratico, o meglio demagogico, del sorteggio delle cariche pubbliche. Se per Platone tutto è chiaro e il riconoscimento oggettivo, per noi moderni o “postmoderni” le cose non sono così lineari, a partire da chi giudica, per finire alle caratteristiche di chi viene giudicato. Per noi oggi la questione si pone maggiormente in questi termini: un lato c’è una filosofia inclusiva, che ritiene l’uomo capace di affrancarsi dal proprio “stato di minorità”, che ritiene sia fondamentale l’uguaglianza, la partecipazione democratica, e si esprime in pedagogia nelle posizioni progressiste, inclusive e cooperative; dall’altro c’è la una filosofia elitaria e meritocratica che ritiene l’uomo artefice del proprio destino, il “self made man” della cultura anglosassone, il “genio” nel Romanticismo, che esprime il suo valore fondamentale nella libertà individuale (che in economia si manifesta come libera concorrenza e imprenditorialità).

Siamo in un momento storico caratterizzato da grandi trasformazioni tecnologiche nel quale stanno prevalendo politicamente le forze più conservatrici. La scuola del merito è da inscrivere in questo processo involutivo.

Penso ci sia un altro modo per intendere il merito, lo vedo nell’esperienza didattica quotidiana. Consiste nel riconoscimento dei progressi personali degli studenti. Sottolineare i miglioramenti ed evidenziarli può essere considerato una forma di valorizzazione del merito soprattutto verso se stessi e non in competizione con gli altri. La competizione è sicuramente una forma di vita importante per le società tecnologicamente avanzate, ma sottolineare questo aspetto come fondativo dell’istruzione scolastica elementare e media, appare pericoloso.

Percorsi bibliografici

Bauman Z., in collaborazione con R. Mazzeo, Conversazioni sull’educazione, Erickson, 2012

In particolare nel cap. 7 la conversazione si incentra sul tema della deprivazione culturale che viene avvicinata nominalmente, con un gioco di parole, alla depravazione. La tesi sviluppata nel capitolo è che la società dei consumi e dello spettacolo preferisca tenere le masse nell’ignoranza. È quindi funzionale al potere selezionare un’élite e tenere a bada una massa di consumatori privi di capacità critiche.

Benasayeg M. – Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2013

Gli autori, psicoterapeuti entrambi, si ritrovano a riflettere sul fatto che nei loro studi professionali vi siano sempre più giovani e giovanissimi affetti da stati d’ansia e depressione. Ipotizzano che questo non sia un caso, ma un malessere di natura sociale e culturale su cui la società intera dovrebbe interrogarsi.

Boarelli M., Contro l’ideologia del merito, Laterza, 2019

Il testo prende in considerazione gli aspetti nascosti del concetto di merito. Analizza l’origine del termine, che si colloca nella letteratura e nella sociologia tra Stati Uniti e Inghilterra, e l’applicazione politica che ha dato luogo alla meritocrazia, parola vicina ad aristocrazia fondata però su presunte competenze e capacità distintive e non sulla discendenza di sangue.

Contessi R., Scuola di classe, Laterza, 2021

Ricco di dati statistici il testo dimostra l’incapacità della scuola attuale di servire da “ascensore sociale”, funzionando, come dice l’autore, “solo per chi non ne ha bisogno”. A questa spietata analisi del malessere dell’istruzione scolastica in Italia compresa la pratica dei corsi di recupero e delle ripetizioni a pagamento, Contessi contrappone alcune possibili vie d’uscita da sostenersi politicamente.

Galimberti U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, 2007

Sono passati ormai molti anni dalla pubblicazione di questo importante testo nel quale l’autore è tra i primi a riconoscere la crisi di senso che colpisce la generazione dei giovani, anche di quelli di oggi.

Mastrocola P. Ricolfi L., Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della diseguaglianza, La Nave di Teseo 2021

Il testo presenta una critica nei confronti della scuola democratica e progressiva che ha caratterizzato la pedagogia a partire in Italia dagli anni ’60. Critiche aspre sono rivolte al “milanismo” e al “rodarismo” che hanno portato ad una scuola senza qualità, incapace di modificare la situazione delle classi svantaggiate. Una polemica particolare viene indirizzata alla riforma Berlinguer che ha aperto la strada ad una scuola per progetti che ha dequalificato l’istruzione.

Milani L. e i ragazzi di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967

Don Lorenzo e i suoi ragazzi denunciano con l’ausilio di dati statistici l’ingiustizia di una scuola che “cura i sani e respinge i malati”, una scuola che perpetua le ineguaglianze sociali impedendo di fatto il realizzarsi di quanto sancito dall’Art. 3 della Costituzione

Sandel M., La tirannia del merito, Feltrinelli, 2021

Il filosofo americano indaga sul lato oscuro del merito. Nonostante esso sia considerato generalmente un vantaggio (tutti vorremmo essere operati da un chirurgo altamente competente), una società impostata sulla meritocrazia può rivelarsi ingiusta. Anche se si arrivasse ad avere uguali condizioni di partenza, cosa tutt’altro che scontata, sarebbe giusto che il potere fosse nelle mani di chi si è distinto? Se a partire da eguali condizioni il merito dà potere, chi non merita, è giusto che sia assoggettato?

Scotto di Luzio A., Senza educazione. I rischi della scuola 2.0, Il Mulino, 2015

Oltre ai tanti aspetti relativi all’utilizzo della tecnologia digitale nella didattica, l’autore prende in esame le classi 2.0 che sono state lautamente finanziate dal Ministero con una sperimentazione che risale al 2009. La critica riguarda le modalità con le quali è proceduta la sperimentazione. Le classi invece di essere composte da alunni presi a caso, sono state selezionate sulla base di precedenti competenze e motivazioni. Questo procedimento inficia ogni risultato e dimostra come il “merito” non sarebbe frutto del caso, ma di una deliberata selezione.