L'industria cementiera lombarda e piemontese

L'industria cementiera lombarda

Giuseppe Piccinelli e l'Italiana Cementi

Dove la Valle dell’Oglio, già di per sé non molto ampia, forma quasi una gola rispetto alla pianura circostante sorge Palazzolo. Paese agricolo e commerciale fino alla metà del XIX secolo, subisce un’evoluzione socioeconomica che ha inizio nel decennio 1850÷1860 con la costruzione del ponte ferroviario sull’Oglio che richiese una grande quantità di materiale edilizio, tale da esigere in loco l’apertura, nel 1854, di un impianto di produzione della calce [1], grazie alla presenza nell’area di cave di calcari marnosi cretacici, che sarebbero stati in grado di produrre non solo la calce idraulica ma, con una seconda cottura, anche il cemento Portland [2].

Negli stessi anni, a una ventina di chilometri di distanza verso Nord-Ovest, in comune di Scanzo [3], dove era nato il 4 dicembre 1832, opera Giuseppe Piccinelli (fig. 1) che aveva individuato nei propri possedimenti calcari marnosi adatti alla fabbricazione di calce idraulica e sperimentato la produzione di questo innovativo legante, cuocendo le marne in un rudimentale forno predisposto nel parco di famiglia e macinando il materiale in un vicino mulino da grano.

Il 5 dicembre 1864 Piccinelli costituisce l’Accomandita Società bergamasca per la produzione dei cementi e delle calci idrauliche, meglio nota come Bergamasca Cementi, con la quale avvia i primi investimenti produttivi accompagnati dall’acquisizione di importanti commesse nazionali e internazionali.

I prodotti della Bergamasca Cementi sono tanto validi da ottenere l'autorizzazione del Ministero dei Lavori Pubblici a «l’impiego del cemento di Scanzo in tutte quelle opere per conto dello Stato in cui, a giudizio dei Signori Direttori, potesse reputarsi idoneo»[4].

Dopo una serie di acquisizioni di cave e impianti locali, l'11 febbraio 1873 la Bergamasca Cementi conclude l'acquisto anche degli impianti di Palazzolo, cambiando la propria denominazione in Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche, con Presidente il Prof. Francesco Brioschi (fig. 2), Senatore del Regno, matematico, fondatore del Politecnico di Milano, Presidente dell’Accademia dei Lincei, scienziato di fama mondiale.

Uno degli obiettivi principali della nuova Società era quello di arrivare a produrre il Cemento Portland artificiale [5]  nell’officina di Palazzolo, aggiungendo una nuova linea produttiva a quella originaria di produzione di calce idraulica. Tale linea sarà ultimata nel 1875, con una dotazione di 6 forni per una capacità produttiva di 15,000÷20,000 quintali annui.

Nel 1881, per  rimediare  allo  svantaggio  derivante  dalla  maggiore  qualità  della materia prima nell'area di Casale Monferrato,  l’Italiana Cementi acquista un fondo presso la stazione di Ozzano nel cui sottosuolo vi erano marne atte alla produzione di calce in zolle e del cemento Portland naturale.

L'obiettivo del Piccinelli non si limita a garantirsi una materia prima di alta qualità, ma punta anche alla fusione dell'Italiana Cementi con le realtà produttive locali.

La manovra trova, però, la forte opposizione dell'Anonima Casalese, diretta concorrente nelle gare d'appalto di lavori pubblici o privati di grande importanza.

Dopo varie vicissitudini, il progetto di fusione fallisce e nel 1884 la Italiana Cementi decide, quindi, di limitarsi a costruire, nel terreno ozzanese acquistato, una propria officina dotata di cinque forni, tre per la produzione di calce in zolle e due per la produzione di cemento Portland, mentre, a causa dell’assenza dell’energia idraulica necessaria, mancava l’impianto di macinazione, operazione che veniva svolta nell’officina di Palazzolo con conseguente aumento dei costi, successivamente superato con la costruzione a Ozzano di un impianto di macinazione azionato da una macchina a vapore.

Dopo una serie di ulteriori iniziative volte a espandere la presenza della Società sui mercati nazionali e internazionali, nel 1887 l’assemblea straordinaria dei soci approva un aumento di capitale a 4,000,000 di lire, suddiviso in 16,000 azioni da 250 lire, e la proroga per altri 25 anni della durata della società, con scadenza al 31 dicembre 1921.

Nel 1890 l’Italiana Cementi gode, quindi, di una posizione dominate nella produzione del cemento lombardo, avendo in attività 11 impianti per 69 forni di diverso tipo, con una produzione complessiva di 891,900 quintali, articolati in 682,900 di calce idraulica e 209,000 di cemento [6].

Tale posizione è consolidata nel 1903 quando, pur con una riduzione di impianti, passati a 8, i forni sono diventati 84 e la produzione complessiva a 2,330,000 quintali, di cui 1,380,000 di calce idraulica, 650,000 di Portland artificiale e 300,000 di Portland naturale  [6].

Tuttavia, da Alzano Lombardo si profila la crescita di una forte concorrente: la famiglia Pesenti.

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[1] L’impianto è realizzato dalla Società francese Lamarque e Lutrek, cui era stato affidata la costruzione della ferrovia.

[2] Secondo un’analisi dei materiali impiegati effettuata nel 1869 dalla Scuola Ponti e Strade di Parigi.

[3] In provincia di Bergamo, oggi unito a Rosciate a formare il comune di Scanzorosciate.

[4] Camillo Fumagalli: La Italcementi: origini e vicende storiche: per il centenario della Società, 1864-1964 – Bergamo, 1964

[5] Il cemento Portland richiede la presenza di calcare e argilla in una data proporzione (67-73% vs. 33-27%). Se le marne utilizzate rispettano tale proporzione, come in quelle del Monferrato, si parla di Portland naturale, altrimenti, se vengono richieste aggiunte nella miscela di partenza, si parla di Portland artificiale.

[6] Vera Zamagni, Sergio Zaninelli: Fra Ottocento e Novecento - Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo (1997)

Fig. 1 - Ritratto di Giuseppe Piccinelli

Fig. 2 - Francesco Brioschi

La società "fraterna" della famiglia Pesenti

Le prime tracce della famiglia Pesenti nel bergamasco risalgono alla meta del XIV secolo con un tal Giovanni (1350÷1370).

La prima notizia di un Pesenti in Alzano risale, però al XVIII secolo, quando Pierantonio si trasferisce da Villa d’Ogna, allora famosa come centro di produzione di carta.

Qui avrà tre figli, il primo dei quali, Luigi Vincenzo (1782÷1856), avrà a sua volta quattro figli, l’ultimo dei quali, Giovanni Antonio (1826÷1867) anch’esso cartiere, deve essere considerato come il capostipite della famiglia Pesenti strettamente intesa.

Particolarmente fecondo, avrà 12 figli di cui 3 deceduti in giovanissima età, morirà giovane nel 1867, seguito l’anno dopo dalla moglie Maria Elisabetta Bonometti.

A quella data i 9 figli (tab. 1) rimasti orfani erano ancona molto giovani, avendo un’età variabile tra i 15 anni del più vecchio e i 3 anni del più giovane.

La funzione di madre verrà, quindi, assunta dalla zia paterna Margherita, donna di grande spiritualità che esercitò una forte influenza sui fratelli, che cresceranno con uno spirito di sacrificio e fraternità.

Nel Medioevo era assai frequente una forma di comunione definita come “Communio ad eundem panem et vinum” [7], che era «costituita da fratelli e confamigliari i quali, dopo la morte del padre... continuavano a vivere insieme come se questi fosse ancora in vita, e cioè sotto lo stesso tetto, alla stessa mensa, tenendo in comune il loro patrimonio, versando in comune tutti i loro guadagni, senza tener conto se uno avesse guadagnato e versato, o se uno avesse consumato più o meno degli altri» [8] .

Guidati dal fratello maggiore Carlo, giovane ma già capace di assumersi le proprie responsabilità, i fratelli adotteranno, quindi, questa forma di comunione detta Fraterna e la rispetteranno per 40 anni fino al 1908, anche dopo che molti avevano costituito un proprio nucleo famigliare.

A parte la forza di volontà che era comune a tutti, ciascuno di loro emergeva al massimo grado in ambiti diversissimi:

L’entrata della famiglia Pesenti nell’industria del cemento è propiziata dalla scoperta di un giacimento di calcare marnoso in località Nese, fatta da Pietro nel 1876. Con il consenso degli altri fratelli, Carlo decide di coinvolgere la famiglia in una nuova [9] attività imprenditoriale, aprendo, nel 1878 in località Busa, il primo impianto di produzione di calce idraulica e cemento a lenta presa dei Pesenti, dotato di due forni per la cottura del calcare, mentre per la macinazione venivano utilizzati un molino per il grano, adiacente alla loro cartiera, e delle macine della stessa cartiera.

L'impianto garantiva una produzione giornaliera di più di cento quintali di cemento a lenta presa di qualità superiore a quello della concorrenza, trasportato alla stazione ferroviaria di Bergamo con carri trainati da buoi, non essendo stata ancora costruita la ferrovia della Val Seriana.

Unendo la capacità imprenditoriale di Carlo, le conoscenze tecniche e la genialità di Cesare, la visione acuta e l’intuito di Daniele, nel 1883 i tre fratelli Pesenti costruiscono ad Alzano Sopra, in vicinanza della cartiera di famiglia, un nuovo impianto, dotato di sei forni, tre per il cemento a lenta presa e tre per la calce idraulica, e un’officina meccanica molto ben attrezzata, in grado di soddisfare le esigenze meccaniche dei vari aspetti dell’attività: estrazione, produzione, trasporto.

La Val Seriana è una sorta di paradiso delle cementerie data la grande quantità di calcare marnoso di varie gradazioni e i Pesenti sfruttano la situazione per ingrandirsi sempre di più.

Con un cruccio: non riuscire a produrre il cemento Portland naturale con la qualità di quello casalese.

Solo nel territorio del comune di Pradalonga si potevano trovare cave con marne di composizione adatta e in quel comune operava la Ditta Guffanti, con cui i Pesenti trovano un accordo anche attraverso il matrimonio tra Marino Guffanti e Margherita Pesenti, figlia di Luigi.

Tra il 1893 e il 1896 vengono, quindi, individuate le cave idonee e realizzati gli impianti di produzione, ma solo nel 1899 la penetrazione nel mercato diventa tale da essere notata dall’Italiana Cementi, il cui Direttore Piccinelli, nella seduta del 30 maggio, «informa il Consiglio degli ampliamenti della Ditta di Alzano e della Ditta Guffanti di Albino, i quali hanno iniziato la fabbricazione del cemento Portland».

Ma non è tale da destare preoccupazione, se pochi mesi dopo, nella seduta del 18 dicembre, lo stesso Piccinelli osserva che: «qualora alla suscettività di produzione della Ditta Pesenti in calce, cemento e Portland si volesse contrapporre la potenzialità anche solo dello stabilimento di Palazzolo, nascerebbe manifesta l’assoluta superiorità di quest’ultimo, senza tener conto delle altre officine della Società Italiana...».

Si trattava di una grave sottovalutazione, come svelerà l'ultimo decennio del XIX secolo caratterizzato da una crescita esponenziale della Ditta Pesenti, sostenuta dalla qualità e differenziazione dei prodotti offerti (calce idraulica, cemento bianco, cemento Portland), da forti campagne pubblicitarie, dalla diffusa rete di agenti, rivenditori, magazzini, da una presenza costante dei membri della famiglia nelle varie sedi delle ditte, dalla capacità di selezionare una manodopera competente a tutti livelli e motivata dal fervore dei titolari.

Figure come il ragioniere generale Enrico Donadoni di Nese e il direttore commerciale Alessandro Valli di Nembro svolgeranno un ruolo molto importante nella crescita dell’azienda, che si affaccia al nuovo secolo in una situazione di sostanziale parità con l’Italiana Cementi.

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[7] "Partecipazione comune allo stesso pane e allo stesso vino".

[8] Camillo Fumagalli: La Italcementi: origini e vicende storiche: per il centenario della Società, 1864-1964 – Bergamo, 1964

[9] I Pesenti si occupavano già della cartiera di famiglia ad Alzano Sopra, di cui successivamente si occuperà in modo particolare Luigi.



Tab. 1 - I fratelli Pesenti

Fig. 3 - Carlo Pesenti

Fig. 3 - Cesare Pesenti

La fusione Italiana Cementi- Ditta Pesenti

Nel 1904 comincia a farsi largo l’ipotesi di una fusione: da una parte una società, l’Italiana Cementi, più grande ma che forse ha raggiunto il proprio apice di sviluppo, con un solo uomo al comando, il fondatore e direttore Giuseppe Piccinelli, ormai settantaduenne e meno presente in azienda essendo stato eletto al Parlamento, primo liberale sostenuto dai clericali; dall’altra la Ditta Pesenti, in piena ascesa, guidata da un gruppo familiare numeroso, coeso, pieno di eccellenze nei vari campi dell’imprenditoria.

I fratelli Pesenti sono molto interessati alla questione, a patto di non essere assorbiti e perdere il controllo della azienda.

Ma come fare? Se la fusione fosse avvenuta su basi patrimoniali e di produzione, l’Italiana Cementi, con i suoi 8 impianti e una produzione annua complessiva di oltre 233,000 tonnellate, avrebbe avuto senz’altro la maggioranza della nuova società.

I Pesenti proposero allora un altro metodo di calcolo: valutare le singole aziende in proiezione futura, in base al loro rendimento a parità di condizioni.

I dirigenti dell’Italiana Cementi accettarono questo metodo: forse perché consapevoli che alla lunga una competizione selvaggia li avrebbe visti perdenti; certamente perché la loro guida Piccinelli, già in parte allontanatosi dall’attività aziendale per via degli impegni parlamentari, nell’agosto 1905 era stato vittima di una trombosi, da cui non si sarebbe più ripreso fino alla morte avvenuta il 24 dicembre 1910.

La valutazione proposta dai Pesenti e svoltasi per tutto il 1905 dette come risultato che pur se con minore produzione (83,500 tonnellate di cemento contro 130,000) la loro ditta aveva guadagnato di più (8.5 lire/ton contro 3.5) [vedi nota [8], pag 356].

Di conseguenza, secondo l’accordo, ai Pesenti spettava il 60% delle azioni della nuova società. La Fraterna Pesenti aveva ottenuto molto più di quanto i suoi membri avessero mai potuto sperare: possedere e gestire una delle più grandi aziende cementiere italiane, con nove stabilimenti e una quota di mercato pari al 15%.

La fusione è ratificata dall’Assemblea Straordinaria del 21 gennaio 1906 con le seguenti modifiche dello statuto dell’Italiana Cementi, tra cui: proroga della durata della società di 29 anni, fino al 31 dicembre 1950; raddoppio del capitale sociale a 4,800,000 [10] lire con emissione di altre 12,000 azioni per un totale di 24,000 a 200 lire ciascuna; aumento del numero di Consiglieri d’Amministrazione da 9 a 12.

A rappresentare la Pesenti nel nuovo Consiglio entrano i soli Carlo e Daniele, mentre il Collegio sindacale sarà confermato.

Successivamente Carlo Pesenti sarà nominato Amministratore e Consigliere Delegato e il fratello Ing. Cesare Direttore tecnico.

Il titolo “Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche” veniva mantenuto, con l’aggiunta, fino a quando si sarebbe ritenuto opportuno, del sottotitolo “Società riunite Italiana e Fratelli Pesenti”.

La svolta di politica industriale imposta dalla gestione Pesenti è tutta improntata alla modernizzazione tecnica e all'aumento dell'efficienza produttiva e commerciale.

Già nella seduta del 4 luglio 1906, Carlo Pesenti illustra i progetti di ammodernamento, potenziamento e ingrandimento di ogni singola officina della società, per una spesa complessiva di 1,100,000 lire, pari a più del 15% del capitale sociale.

Oggetto di particolare attenzione era la sistemazione e l'ampliamento dell'officina di Palazzolo, grazie a cui si poteva utilizzare il pietrame estratto dalla cava di Tavernola per ottenere quel risultato di produrre un Portland artificiale di qualità eccellente, che era l'antica aspirazione del Piccinelli.

Altro intervento di rilievo riguardava l’officina di Ozzano, in cui era prevista la riattivazione dei forni per la produzione della calce in zolle, molto richiesta sul mercato piemontese.

Purtroppo, tra il 1910 e il 1911 la dirigenza societaria storica viene falcidiata: il 24 dicembre 1910 muore Giuseppe Piccinelli, dopo cinque anni di malattia in seguito alla trombosi che lo aveva colpito nel 1905; il 5 luglio 1915 muore Luigi Pesenti per un malore improvviso e undici giorni dopo, il 16 luglio, Carlo Pesenti, già gravemente malato; infine, il 23 ottobre 1911 muore anche Daniele Pesenti, a soli cinquant'anni per una caduta da cavallo [11].

A sostituire Carlo Pesenti nei ruoli di Amministratore e Consigliere Delegato viene nominato il nipote Antonio (fig. 4), figlio di Luigi e già Segretario del Consiglio, ruolo in cui sarà sostituito dal rag. Enrico Donadoni, già ragioniere generale della Ditta Pesenti.

Fig. 4 - Antonio Pesenti

Sotto il saldo controllo di Antonio, la Italiana-Pesenti affronta la crisi seguita all’entrata in guerra dell’Italia, prendendo in mano le redini della situazione attraverso la costituzione di un Consorzio di vendita con i maggiori produttori dell’Alta Italia, consorzio formalizzato in data 7 gennaio 1915. È il primo passo verso la successiva acquisizione di gran parte delle nove società partecipanti al consorzio

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[10] Nella successiva Assemblea dei soci del 26 dicembre 1906, fatto il conto delle azioni spettanti ai Pesenti in base al calcolo dei rendimenti delle due società, il capitale sociale venne portato a 7,200,000 con l’emissione di altre 12,000 azioni del valore di 200 lire.

[11] A chiudere il cerchio di quel disgraziato 1911, si segnala anche la morte a novembre dell’Avv. Lorenzo Limonta, membro del Consiglio di Amministrazione e avvocato dei Pesenti, che tanta parte aveva avuto nella contrattazione che aveva preceduto la fusione

La nascita dell'Italcementi

Fra le società partecipanti al Consorzio di vendita Alta Italia , la più importante era certamente la Società Anonima Fabbrica Calce e Cementi di Casale, con cui erano fallite le trattative di accordo intavolate dal Piccinelli negli anni ’80 del XIX secolo.

Oltre agli impianti piemontesi, l'Anonima Casalese, a cavallo tra XIX e XX secolo aveva esteso i suoi interessi realizzando due impianti fuori regione: a Civitavecchia, dove era utilizzata materia prima locale di alta qualità, e Venezia, dove si sfruttava il calcare istriano e le argille della laguna.

Alla fine della prima guerra mondiale, tuttavia, sopravviverà uno solo dei due impianti, quello di Civitavecchia.

Dalla costante frequentazione dei gruppi dirigenti all'interno del Consorzio matura l'idea di una fusione tra Italiana Cementi e Anonima Casalese: la prima interessata allo stabilimento di Civitavecchia, che costituiva lo sbocco al mare necessario al fine di un'esportazione su larga scala; la seconda convinta che la forte ripresa industriale provocata dalla fine della guerra avrebbe scatenato un’aspra concorrenza, da affrontare con un rafforzamento della situazione aziendale.

Sulla base di queste e altre considerazioni legate alla possibilità di una diminuzione dei costi di produzione a parità di qualità, le due dirigenze decidono di realizzare la fusione delle due società sulla base dello scambio di tre azioni dell’Anonima casalese per una dell’Italiana Cementi più un conguaglio di 24 lire per azione.

La fusione viene approvata dalle due Assemblee societarie straordinarie, tenutesi il 22 agosto 1917 a Bergamo e Torino, e ratificata il 13 marzo 1918 presso il notaio milanese Geronimo Serina.

La denominazione cambia in “Società Italiana e Società Anonima Fabbriche Riunite Cemento e Calce”, con sede a Milano e capitale sociale salito a 9,400,000 attraverso l'emissione di 12,000 azioni a 200 lire ciascuna, di cui 11,667 in cambio delle azioni dell'Anonima e le restanti 333 da piazzare sul mercato.

Il 25 marzo 1918 il nuovo Consiglio di Amministrazione nomina Presidente Cesare Pesenti [12] e Vicepresidenti  Augusto Caio e Giusto Masino (fig. 5), già presidente dell'Anonima.

Il successivo decennio è dedicato all'espansione della Società con l'acquisizione di numerose aziende cementiere, tra cui nel 1921 l'Anonima Giacinto Giuffanti, la prima a produrre in Lombardia Cemento Portland di buona qualità.

A fine 1927 l’Italiana Cementi copre, quindi, una quota superiore al 40% della produzione di cemento italiano, con ben 33 impianti, a fronte dei soli 9 impianti posseduti dalle cementerie piemontesi, equamente suddivisi tra tre ditte, Milanese & Azzi e Marchino & C. (Casale Monferrato) e SA Unione Italiana Cementi (Torino), e dei 2 impianti (Portoferraio e Bagnoli) della genovese SA Cementerie Litoranee. Le altre 99 cementerie operanti nel paese possedevano un solo impianto.

A suggellare questo risultato, l’Assemblea Generale straordinaria dei Soci, riunitasi il 24 marzo 1927, decide all’unanimità il cambiamento della denominazione in “Italcementi Fabbriche Riunite Cemento – Bergamo”, per brevità Italcementi (fig. 6)

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[12] Cesare è rimasto l'ultimo dei Fratelli Pesenti a occuparsi direttamente della Società, dopo la morte del Consigliere di Amministrazione Augusto (21 marzo 1918) e l’estraneità alla gestione degli affari di famiglia di Pietro, che morirà due anni dopo nel 1920.

Fig. 5 - Ing. Giusto Masino

Fig. 6 - Logo dell'Italcementi

L'Italcementi dopo il 1927

Il 24 novembre 1933 muore Cesare Pesenti, l’ultimo sopravvissuto dei nove fratelli che 65 anni prima avevano dato origine alla “Fraterna”.

Gli subentrerà il nipote Antonio, già Consigliere Delegato, che continuerà a gestire la Società fino al 1945, quando fu accusato di collaborazionismo con la Repubblica di Salò.

Riabilitato due anni dopo, lascia comunque l’azienda al quarantenne cugino Carlo  (fig. 7), figlio di Augusto il più giovane dei 9 fratelli Pesenti, che nel 1946 diventa prima Direttore generale e poi Consigliere Delegato, rimanendo alla testa della Società fino all’anno prima della morte, avvenuta a Montreal il 20 settembre 1984, ed essendo, nel bene e nel male, uno dei più importati capitani d’industria dell’Italia del 2° dopoguerra.

Lo sostituisce il figlio Giampiero come direttore generale della Società, che si aprirà al mercato internazionale diventando una multinazionale controllata dal 2016 dal Gruppo tedesco HeidelbergCement.

La vera storia della Italcementi, radicata nella Fraterna Pesenti e nell'area di Bergamo, finisce però con la morte di Antonio, avvenuta il 12 agosto 1967, e Carlo, ultimi eredi diretti di quei nove fratelli che costituendo una Fraterna rivelarono la loro predisposizione alla collaborazione, sostenuta dalla comune fede cristiana.

Fu il modo in cui tale collaborazione fu realizzata che lasciò un’impronta indelebile: ciascuno fu lanciato in quello che poteva fare e dare e ci fu spazio per diverse personalità e diverse iniziative che frequentemente si sostennero a vicenda. Atteggiamento di valorizzazione dei talenti che fu applicato anche con i collaboratori.

Come molte grandi aziende di primo '900, l'Italcementi fu un'impresa sociale (pensioni, previdenza, borse di studio, case popolari), ma lo fu per intima convinzione e non per importazione di modelli esterni.

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[13] Carlo era stato estromesso dall’azienda nel 1943 per le pressioni dei fascisti della Repubblica di Salò, a cui si era dimostrato apertamente contrario.



Fig. 7 - Carlo Pesenti (1907-1984)

Bibliografia


Casale Monferrato e il Cemento Portland "naturale"

Premessa geologica

La zona compresa nel sistema collinoso del Basso Monferrato è nota fin dal II secolo d.C. per la sua calce aerea, detta “calce forte” a ragione di una formazione geologica, denominata appunto come “Formazione di Casale Monferrato”, che si estende per circa 40 km2 a Sud del fiume Po all’interno del pentagono che ha ai vertici Morano, Pontestura, Ozzano, San Giorgio e Casale Monferrato (fig. 8).

Questa formazione di età eocenica medio-inferiore (40÷45 Ma), particolarmente studiata nel 1912 dall’ing. Domenico Lovari [14], responsabile dell’Ufficio del Distretto minerario di Torino, è costituita da una successione di argille, calcari più o meno marnosi e arenarie.

Il Lovari ha individuato ben 23 banchi calcareo-marnosi (tab. 2) con spessori variabili tra 1.30 e 6 metri, per uno spessore totale di poco più di 80 m all’interno di una formazione che ha spessori variabili tra 600 e 1000 metri.

Tutti i banchi calcareo-marnosi (le pietre da cemento) si trovano compresi tra uno strato di calcari a fucoidi (Pè d’oca per i cavatori), a tetto, e uno strato di arenarie (Pietra Cagna per i cavatori), di spessore variabile a letto.

Il contenuto di calcare varia non solo da livello a livello ma anche nell’ambito di uno stesso strato, dove diminuisce progressivamente da letto a tetto, rendendo il materiale estratto adatto a diversi utilizzi:

Questa caratteristica ha permesso, sin dagli anni ‘50 del XIX secolo, la produzione del Cemento Portland naturale, ossia realizzato con la semplice cottura del materiale estratto, senza bisogno di aggiunte nella miscela calcare/argilla inviata ai forni, metodo con cui si otteneva invece un tipo di Cemento Portland definito artificiale.

Su queste basi si sono fondati, per tutta la seconda metà del XIX secolo, sia lo sviluppo del cemento casalese sia la resistenza di questo alla concorrenza del cemento lombardo.

Le nuove scoperte tecnologiche, che hanno consentito di ottenere un Cemento Portland artificiale di qualità simile a quello naturale, oltre all’esaurimento delle cave superficiali e alla necessità di coltivare la marna sempre più in profondità con conseguente aumento dei costi, hanno reso sempre meno competitivo il cemento casalese, provocando la chiusura di molte cementiere o la loro acquisizione da parte della società nata dalla fusione delle due grandi aziende lombarde, Italiana Cementi e Fratelli Pesenti, con le eccezioni di quelle della famiglia Marchino e della famiglia Buzzi, ancora in attività nel 1998 come Unione Cementi Marchino e F.lli Buzzi Cementi rispettivamente, poi unificate come Buzzi-Unicem.

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[14] Domenico Lovari: Descrizione dei Giacimenti calcareo-marnosi delle Colline di Casale Monferrato ed alcuni cenni sulla loro utilizzazione per la produzione della calce idraulica e del cemento – Roma,1912

Fig. 8 - Geologia del Monferrato casalese, stralcio da CARG 1:100.000 foglio 57 Vercelli

Tab. 2 - Successione dei banchi di marne da cemento individuati dal Lovari

La famiglia Sosso e la Società Anonima per la calce idraulica

La prima notizia sulla calce ozzanese risale al 1351 quando Ottorino de Ghisalbertis, vicario generale di Giovanni II, ordinò alla Comunità di Ozzano il trasporto di 50 carri di calce e pietre “de territorio Ozani ad fornaces Casalis” per la costruzione del castello.

Mentre nei secoli successivi si hanno solo notizie indirette, di tipo fiscale, circa l’estrazione di marna e la produzione di calcina, dal XVIII secolo la diffusione della calce diviene significativa grazie allo sviluppo della città di Casale e, di conseguenza, aumentano le relative notizie.

All’epoca l’estrazione avveniva a cielo aperto coltivando gli strati marnosi superficiali, pratica proseguita anche per tutta la prima metà del XIX secolo, non essendoci ancora tecniche adatte all’estrazione in profondità.

È il 1835 quando il venticinquenne Tommaso Sosso, commerciante in calce, si trasferisce dalla natìa Settimo Torinese in regione Lavello del comune di Ozzano, insieme alla moglie Luigia Aprà e al figlio Giovanni Battista, di appena un anno.

La decisione non è casuale ma motivata da tre elementi:

All’epoca Ozzano contava 1,042 abitanti, di cui 836 (80.23%) occupati in attività agricole, mentre la maggior parte degli altri operavano in varie tipologie di servizi: artigiani, negozianti, osti. Tra questi vi erano anche quattro fornaciai che producevano calce, mattoni e coppi.

Ozzano appariva, quindi, come un territorio economicamente dinamico, vista la non trascurabile presenza di servizi, e con una neonata attività cementiera che il Sosso aveva intenzione di sviluppare.

Già dall’anno successivo al suo arrivo comincia a produrre e commercializzare calce, prendendo in affitto un’area di poco più di 6,000 m2, posta in vicinanza della strada provinciale e nella quale operavano già due fornaci, che vengono ristrutturate e affiancate da altre due.

Nel 1840 anche l’amministrazione comunale di Ozzano comincia a vedere nella produzione di calce un mezzo per lo sviluppo economico dell’area, tanto che il Sindaco può dichiarare che «... nella strada detta di Cinaglio... sarebbe si rinvenuta una cava di pietra calce, da cui si potrebbe ricavare un reddito ancora di riguardo a vantaggio del Comune...».

Tuttavia, nel 1847 in Ozzano vi erano ancora solo dodici cave, di cui tre alimentavano le fornaci del Sosso, con una produzione media non superiore alle 5,000 tonnellate annue nel periodo 1840-1850.

Quella che nel frattempo cresce è, invece, la famiglia, grazie alla nascita di Pietro (1840) e Giovanni (1845), mentre la figlia Maria morirà lo stesso anno della nascita (1850).

È lo stesso figlio Pietro che, descrivendo i trasporti della calce a cui aveva partecipato nella sua infanzia, ricorda come «...da ragazzo, nel 1852-53, conducendo questa calce ad Asti, ebbi ad osservare che sul mercato ve n’era tre o quattro volte più della nostra, ed era tutta calce bianca di montagna... senza calcolare la calce di Penango cotta a Calliano, Alessandria aveva la calce di Acqui, Vercelli quella di Romagnano e Arona...» [15].

Il sogno di Tommaso Sosso s’interrompe bruscamente il 24 aprile 1850, all’età di 40 anni, in seguito alle conseguenze di una frattura alla gamba che si era procurato nel tentativo di dare una mano nel recupero di un carico di calce rovesciatosi presso i forni.

Il compito di proseguire l’opera paterna spetta ai figli, tutti molto giovani: Giovanni Battista di 16 anni, Pietro di 10 e Giovanni di 5.

Naturalmente i primi anni della Ditta Fratelli Sosso sono complicati, ma presto emerge la loro genialità.

È Pietro che, a soli 15 anni nel 1855, ha l’idea di utilizzare come combustibile la lignite picea della vicina miniera di Cadibona invece della legna, modificando allo stesso tempo la struttura dei forni, onde rendere praticabile la sostituzione.

L’uso del carbone, adottato anche da altri fornaciai, dà un notevole impulso alla produzione delle fornaci ozzanesi.

Un’altra modifica introdotta dai Sosso riguarda il metodo di coltivazione con l’introduzione dei pozzi verticali per l’accesso ai filoni. I pozzi a base quadrata venivano rivestiti da legna per evitare il franamento delle pareti e utilizzati tramite verricelli per l’accesso ai filoni e il recupero del minerale estratto.

Nel 1859 l’ormai venticinquenne Giovanni Battista si trasferisce a Casale dove apre due nuove fornaci nel quartiere di Porta Genova.

L’importanza della produzione di calce è, tuttavia, ancora limitata nell’economia ozzanese e del casalese tutto. Sarà la costruzione delle nuove vie di comunicazione (le strade del Volo e di Fumarola, la Novaresa e la provinciale per Asti) e, soprattutto, della ferrovia Casale-Asti a porre le basi per fare della calce, e successivamente del cemento, l’elemento portante dell’economia del Monferrato, di Ozzano in particolare.

La costruzione e l’allargamento della rete di comunicazione, riflesso delle grandi opere infrastrutturali avviate dopo l’Unità, agiva a favore della produzione di calce su due aspetti: da un lato favoriva il trasporto del materiale estratto e del prodotto finito, dall’altro accresceva la domanda di calce e cemento.

Per aumentare la produzione, Pietro Sosso brevetta nel 1869 un nuovo tipo di forno denominato “fornace verticale ad azione continua per la cottura delle calci e i cementi” (fig. 9) che permette la produzione di 80÷100 quintali al giorno di calce cotta.

Anche in questo caso, l’invenzione di Pietro Sosso sarà applicata da tutti i più importanti cementieri casalesi.

È in questi anni che si comincia a delineare la concorrenza dei cementieri bergamaschi, che sono produttivamente più grandi di quelli casalesi ma che non hanno la disponibilità di un materiale con le proprietà necessarie alla produzione del Cemento Portland Naturale, proprietà che invece possiedono le marne casalesi.

Per fronteggiare la concorrenza bergamasca, il 27 marzo 1870 i cementieri casalesi costituiscono la “Società Anonima di Casale Monferrato per la cottura di calce idraulica” (di seguito Anonima) attraverso la socializzazione delle fornaci delle famiglie Sosso, Cerrano, Giordano, Gonnella e Porta.

Nello stabilimento di Ozzano è introdotto, per la prima volta in Italia, un forno modello Hoffmann in grado di produrre 200 quintali al giorno di calce in zolle, funzionante in modo continuo da primavera alla fine dell’autunno.

Dopo tre anni, l’assetto societario viene modificato in Società Anonima per azioni al portatore, con un capitale di 2 milioni di lire, molto alto per l’epoca, suddiviso in 20,000 azioni da 100 lire ciascuna.

Come Direttore e Vicedirettore vengono nominati Giovanni Battista Sosso (fig. 10) e Giuseppe Cerrano (fig. 11), rispettivamente.

Lo sviluppo dell’attività cementiera ha, nel frattempo, modificato la struttura sociale di Ozzano, come risulta dal censimento del 1881.

Dai tempi dell’arrivo di Tommaso Sosso la popolazione è più che raddoppiata (2,098, +101%), i cementieri sono passati da 4 a 73, contando solo i residenti, l’attività agricola è sempre prevalente, ma la proprietà è più suddivisa e molti agricoltori lavorano anche come cavatori. Infine, il livello d’istruzione è piuttosto elevato, essendo il grado di alfabetizzazione superiore al 70%, assai maggiore di quello nazionale che era di circa il 38%.

Gli anni ’80 del XIX secolo sono quelli del tentativo della bergamasca Italiana Cementi di entrare in concorrenza con i casalesi nel loro stesso territorio, caratterizzato, come detto, dalla presenza di marne più adatte alla produzione di Cemento Portland naturale di quelle bergamasche.

Per evitare gli effetti negativi di una concorrenza così ravvicinata, il Consiglio di Amministrazione dell’Anonima decide di avviare le trattative per la fusione delle due società, incontrando però l’opposizione dei fratelli Sosso e del vicedirettore Giuseppe Cerrano, che contestano anche la strategia produttiva del CdA, tendente a privilegiare la produzione di calce rispetto a quella di Cemento Portland

Di conseguenza i Sosso e il Cerrano abbandonano l’Anonima, che viene così privata dei dirigenti operativi apicali, sostituiti nella figura del Direttore dall’ing. Luigi Musso.

Poco più di un mese dopo, il 27 gennaio 1883, Giovanni Battista Sosso muore a soli cinquant'anni, celebrato come imprenditore che «...spiegava sempre prontezza di mente e larghezza di vedute: era coraggioso senza essere arrischiato, possedeva insomma il vero spirito industriale... Era agricoltore stimato e intelligente... una colonna del partito progressista...».

Nonostante la grave perdita, l'opposizione alla fusione prosegue, supportata anche dalle Amministrazioni locali che si schierano in difesa della calce monferrina.

Nello specifico, il 10 gennaio 1885 il comune di Ozzano  delibera: «... risulta che già da qualche tempo si fa una guerra calunniosa alla calce idraulica di Casale, cercandosi tutti i mezzi per farle perdere la fama. Lo scopo di tali maneggi è di favorire l’industria della calce di Palazzolo... siccome la diffidenza circa la bontà della nostra calce ha fatto presa anche presso l’Amministrazione dello Stato, così è uopo invocare indagini e giustizia. Il Consiglio unanime delibera di associarsi al ricorso indirizzato al Governo...».

L’Italiana Cementi si rassegna, quindi, a limitare il suo ingresso nell’attività ozzanese alla sola costruzione di un impianto in regione Rollini, dotato di tre forni per la calce e due per il Cemento Portland naturale. È il 1884.

Lo stesso anno l’Anonima costruisce un nuovo impianto dotato di due forni Hoffmann da 200 quintali/giorno di calce, cinque forni Chanard da 100 quintali/giorno, quattro forni Dieztsch per il cemento da 100 quintali/giorno.

Nel 1896, in quest’impianto lavorano 52 operai, suddivisi per attività in 21 fornaciari, 5 fabbri e falegnami e 26 manovali, di cui 6 donne, mentre le cave di servizio occupano 173 unità, 114 uomini e 59 donne, insieme a 14 addetti ai binari.

Complessivamente, all’inizio degli anni ’90 l’Anonima gestisce 45 cave sociali e 5 cave private, tutte in territorio di Ozzano.

Nel frattempo, i fratelli Sosso, elaborato il lutto per la perdita di Giovanni Battista, sostanzialmente il capo-famiglia, ricostituiscono la Ditta Fratelli Sosso e tra il 1886 e il 1887 costruiscono un nuovo stabilimento in regione Fontanola, in una stretta valle lontana dalle principali vie di comunicazioni e con accessi in condizioni difficili.

L’impianto è dotato di nove forni verticali a crogiolo per la cottura del cemento e di un macchinario per la macinazione, con quattro mulini a pale sistema Siller Dubois e tre mulini Breyeur Marel.

Per ovviare alle difficoltà dovute all’ubicazione viene realizzato un piccolo villaggio composto da tre vasti fabbricati destinati agli uffici e agli alloggi degli operai.

Nel 1896 nell’impianto lavorano 34 operai (di cui 8 donne), mentre nelle cave di estrazione 33 cavatori (anche in questo caso le donne erano 8). I turni di lavoro sono di 12 ore e il salario variabile a seconda delle funzioni tra 2 e 3 lire/giorno per gli uomini e tra 0.50 e 1.40 per le donne

Intanto, la produzione complessiva di tutto il circondario casalese continua a crescere e, all’interno di questa crescita, il cemento inizia a sopravanzare la calce.

Si prevede una produzione complessiva di 80,000 tonnellate di cemento e 70,000 di calce, che richiederebbero 250,000 tonnellate di calcare.

Analizzando l’ubicazione, la profondità e l’estensione delle riserve conosciute, Pietro Sosso (fig. 12) afferma la necessità che tutti i cementieri monferrini adottino il suo sistema di sfruttamento, a base di gallerie principali in muratura e traverse di coltivazione opportunamente puntellate.

Propone anche di realizzare gallerie a partire dai fianchi delle colline  in modo da intercettare i banchi calcarei posti a profondità superiori a 70 m, aumentando così le riserve disponibili.

Secondo Pietro Sosso, con questo sistema i costi si sarebbero ridotti di circa 0.85 lire/tonnellata, per cui in quest’ottica i fratelli Sosso si rivolgono agli «... attuali industriali colleghi e li invitano ad unirsi in società e condividere con essi, come ora le spese, così gli utili avvenire che certo si avranno

Una risposta positiva arriva da parte di Giuseppe Cerrano e Angelo Allena insieme ai quali, nel 1895, costituiscono gli “Stabilimenti Riuniti Cementi di Casale Monferrato” di cui è nominato Direttore il Cerrano. Mentre il XIX secolo volge alla fine, il 16 ottobre 1898 a 58 anni termina anche la vita di Pietro Sosso.

Il comune di Ozzano, nella seduta del 5 novembre, così lo celebra: «... La perdita del Sig. Cav. Pietro Sosso non è stata soltanto una perdita grave per la sua famiglia, ma per questa rappresentanza comunale che si onorava di averlo membro, per il paese di Ozzano, per l’industria della calce e cementi; e che ciò sia l’ha provato l’imponente dimostrazione fatta ai suoi funerali.

Fig. 9 - Il forno verticale ad azione continua brevettato da Pietro Sosso

Fig. 10 - Giovanni Battista Sosso

Fig. 11 - Giuseppe Cerrano

Fig. 12 - Pietro Sosso

Fig. 13 - Giovanni Sosso

Alla famiglia Sosso, ai fratelli Giovanni Battista, Pietro e Giovanni Sosso, l'ultimo soltanto ancora superstite, è dovuto se l'industria delle calci e dei cementi ha preso nei nostri paesi lo sviluppo cotanto meraviglioso e cotanto proficuo per cui i loro nomi meritano ricordo imperituro nel sentimento di gratitudine di queste popolazioni. È morto a 58 anni, quando la sua salute, apparentemente floridissima, faceva ritenere che per molti anni ancora potesse sovrintendere all'attuazione dei suoi progetti... Ai figli proseguire l'opera! Ad essi, allevati alla luce del magistrale suo insegnamento e che già seguono le orme ammirate della sua operosità, il portare ad altra altezza, concordi al loro zio Giovanni, il progresso del lavoro!»

Purtroppo gli sviluppi successivi smentiranno gli auspici del Consiglio Comunale di Ozzano.

Due anni dopo, il 19 ottobre 1900, Giovanni Sosso (fig. 13) abbandona l’attività ai figli di Pietro: Tommaso, Giovanni, Carlo, Ottavio ed Enrico.

Morirà tre anni dopo, il 5 settembre 1903, e la sua morte segnerà sostanzialmente la fine del marchio Sosso.

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[15] Ezio Foresto, Vittorio Pansecchi, Giovanni Zavattaro: Uomini di miniera – La calce e il cemento di Ozzano dai Sosso ai tempi nostri, Ed. OperO (Ozzanesi per Ozzano), 2002

Le famiglie Marchino, Buzzi e la nascita della Buzzi-Unicem

L’entrata nel nuovo secolo segna la fine delle piccole, anche se efficienti, realtà cementiere di tipo familiare a favore delle grandi Società.

Il 16 novembre 1906, nello studio del notaio casalese Calleri, i figli di Pietro Sosso e la moglie, Mezzena Delfina, vendono la loro società all’Unione Italiana Cementi, rappresentata dall’on. Magno Magni, Presidente del Consiglio di Amministrazione.

Il prezzo di vendita viene stabilito in 1,500,000 di lire tra beni immobili (1,200,000) e beni mobili (300,000).

All’atto della vendita, la Ditta Sosso occupa circa 200 operai, che lavorano in galleria (la maggior parte), all’aperto e in ditta.

Tra i figli di Pietro, solo l’allora trentaduenne Giovanni rimane “nel mestiere”, esercitando il ruolo di Ispettore Generale dell’Unione dal 1907 al 1920 e mettendo a punto, seguendo il solco tracciato dal padre, numerose innovazioni tecnologiche, soprattutto nel controllo della produzione di cemento.

Per quanto riguarda lo stato dell'attività cementiera casalese, nel 1901 il Distretto Minerario di Torino segnala la presenza di 75 cave sotterranee e 3 a cielo aperto, con una produzione nel 1903 di 76,300 tonnellate di calce e 161,230 di cemento e una manodopera di 1,402 addetti ai forni e 1,196 all'estrazione.

Nel 1905 la produzione di calce cresce a 100,160 tonnellate (+31%) e quella di cemento a 263,000 (+63%); ancora di più cresce l'occupazione, salita a 2,450 fornaciai (+75%) e 1,700 cavatori (+42%).

All’orizzonte si profila, però, la crisi del settore edile, con immediate conseguenze sulla produzione e sul prezzo del cemento, e l’impatto della Prima Guerra Mondiale.

Come già sottolineato, non è più tempo di aziende a carattere familiare che non riescono più ad avere un’adeguata competitività: è tempo di personaggi come il Dott. Ottavio Marchino, figlio di Luigi, che dopo la laurea in Chimica presso l’Università di Torino inizia a occuparsi dell’azienda paterna, diventata “Società Anonima Casalese Industria Calce e Cementi”, assumendone la guida nel 1915 alla morte del padre.

Luigi Marchino, nato a Casale Monferrato nel 1843, è una figura singolare rispetto agli altri pionieri dell’industria dei leganti casalesi.

Non proviene dalle classi povere dedite all’agricoltura o all’artigianato, ha studiato, è geometra e fino al 1872 ha lavorato come libero professionista, conosce il cemento e il suo mercato perché è uno strumento del suo lavoro, intuisce il prossimo sviluppo delle attività edilizie e infrastrutturali collegate all’euforia post-unitaria.

Entra, quindi, in prima persona nel mercato del cemento casalese, prima come dirigente della Ditta Oneto, poi in proprio fondando nel 1872 la “Fabbrica per calce e laterizi Ditta Marchino e C. s.n.c.”, con un piccolo stabilimento per la cottura della calce idraulica e la fabbricazione di laterizi.

Nel 1878 ingrandisce il suo impianto e comincia a produrre anche il cemento Portland naturale.

Il Marchino è particolarmente interessato anche ai prodotti derivati dal cemento, tanto da annettere allo stabilimento un cantiere per la loro lavorazione e di modificare la denominazione sociale in “Fabbrica di calci e cementi idraulici con cantiere per lavori in cemento della Ditta Marchino e C., Casalmonferrato”.

Nel 1892 lo stabilimento occupa una superficie di 12,000 m2, con due forni anulari a fuoco continuo Hoffmann, sei forni verticali sempre a fuoco continuo, un cantiere per i lavori in cemento e una forza lavoro di circa 250 occupati, di cui 100 all’estrazione [16].

Nei primi anni del nuovo secolo il Marchino resiste ai tentativi di accorpamento con altre società più grandi e, anzi, rilancia trasformando la S.n.c. in Società Anonima con l’entrata di nuovi capitali.

Nel 1915, a 72 anni, Luigi Marchino muore e la guida della Società passa, come detto, all’ambizioso figlio Ottavio.

Nato a Casale Monferrato nel 1883, da Luigi e Emilia Foetta, diplomato geometra e poi laureato in chimica all’università di Torino, negli anni ’20 del XX secolo Ottavio intraprende una serie di iniziative quali:

La marna utilizzata veniva estratta, da minatori in gran parte provenienti dal Mugello, con gallerie sotterranee scavate nel Poggio Castiglioni;

A questo punto occorre fare un balzo indietro nel tempo, al 1911 quando l’avvocato Riccardo Gualino (fig. 16), nato a Biella il 25 marzo 1879, diventa Presidente dell’Unione Italiana Cementi.

Il Gualino è un personaggio leggendario ed emblematico di quei tempi: decimo di dodici figli di una famiglia di orafi, già a 17 anni si avvia al commercio di legnami, poi, a causa del legame familiare con il cugino Tancredi Gurgo Salice, socio di Luigi Marchino, si trasferisce a inizio XX secolo a Casale per avviare attività anche nel campo del cemento.

A questo scopo, nell’ottobre del 1906, costituisce a Genova la “Società Anonima Cementi Casalesi”.

Sono innumerevoli i campi in cui esercita la sua attività, a parte il legname e il cemento; tra gli altri: costituisce la Società marittima e commerciale italiana a cui affianca la Società di Navigazione Italo-Americana (SNIA), collabora con Agnelli in FIAT e per la scalata al Credito Italiano; fonda la SNIA-Viscosa [17] leader nel settore della seta artificiale; raccoglie un’eccezionale collezione d’arte, in parte conservata nella Galleria Sabauda di Torino; crea il Teatro di Torino.

Dopo il 1925, tuttavia, le sue fortune cominciano a declinare. In realtà è una sorta di “accumulatore seriale di debiti” e la situazione precipita dopo la decisione del governo fascista di rivalutare la lira a 90 lire/sterlina [18].

Il Gualino non è ostentatamente antifascista, ma nemmeno fascista come il duce vorrebbe.

La situazione tra i due peggiora proprio in seguito alla “Quota 90” che viene contestata, seppure privatamente con una lettera a Mussolini.

La crisi del ’29 è il colpo finale a un impero economico già traballante: attaccato frontalmente da Mussolini con un discorso al Consiglio delle corporazioni agli inizi di ottobre 1930, bollato come speculatore dalla Confindustria, viene arrestato il 19 gennaio 1931 e condannato dal tribunale speciale a cinque anni di confino a Lipari per aver arrecato gravi danni all'economia nazionale [19].

Perso il suo vulcanico Presidente, il 1° gennaio 1933 l’Unione Italiana Cementi, passata sotto il controllo dell’Istituto Finanziario Industriale (I.F.I.), si fonde alla Marchino e C. S.a.s. per costituire la Società Unione Cementi Marchino, con capitale paritetico tra Marchino e I.F.I., con Presidente Giovanni Agnelli (fig. 17) e Amministratore Delegato Ottavio Marchino.

Nasce così la seconda realtà italiana del settore, dopo l’Italcementi.

Sotto la guida del Marchino, dotato di grande intuito, lungimiranza e pragmatismo, la nuova società estende la propria influenza in tutta la penisola, giungendo alla gestione di sedici stabilimenti fra quelli presenti alla fondazione, quelli acquistati e quelli creati ex novo.

Acquisisce anche le miniere di lignite di Castelnuovo Magra (La Spezia) e Poggio Avane (Cavriglia, Arezzo), destinate a fornire il combustibile per l’alimentazione dei forni.

Nel 1939 comincia la costruzione della cementeria di Roma, nel limitrofo Comune di Guidonia.

Nel 1936, un grave incidente automobilistico ne comprometterà irreparabilmente l’attività, anche se la sua grinta gli permetterà di continuare a lavorare, sebbene a scapito della salute.

Nominato Cavaliere del Lavoro nel 1937, dal 1939 sarà Presidente dell’Unione Industriale della Provincia di Alessandria, fino alla morte a fine 1943, all’età di 60 anni.

La sua opera di capitano d’industria sarà proseguita dal figlio Teresio, a lui subentrato nella carica di Amministratore Delegato della Società insieme al Direttore della “Fiat - Costruzioni e Impianti" Ing. Vittorio Bonadè Bottino.

Durante la seconda guerra mondiale i frequenti bombardamenti su Casale Monferrato risparmiano i cementifici, utili sia per i Tedeschi, nell'immediato, che per gli Alleati, in prospettiva futura.

Finita la guerra, il 16 dicembre 1945 muore il sen. Giovanni Agnelli, Presidente FIAT e dell’Unione Cementi Marchino, che nel giro di due anni ha, così, perso il suo gruppo dirigente apicale, sostituito dal marchese Luca Ferraro Ventimiglia, come Presidente, e il rag. Giuseppe Ranzenigo, come Direttore generale, mentre gli Amministratori Delegati sono confermati.

Gli anni del dopoguerra, caratterizzati dalla ricostruzione, registrano un forte sviluppo dell’attività dell’Unione che sviluppa una politica di potenziamento e rinnovamento.

Da una parte vengono acquisite nuove Società, come la C.I.MA. – Società Anonima Calci Cementi Industria Materiali Affini, operante a Prato e a Calenzano, dove veniva coltivato il grande giacimento di Settimello. Dall’altra si opera per una trasformazione della produzione «... abbandonando le tecnologie di fabbricazione dei cementi naturali, costose e non più rispondenti ai requisiti di qualità. Nel Monferrato Casalese le coltivazioni delle miniere di marna divennero sempre più difficoltose e dispendiose... Le miniere di Ozzano e Coniolo furono chiuse e dismesse poco alla volta» [20].

Il 31 gennaio 1950, dopo 64 anni di attività, chiude l’impianto di Ozzano-Fontanola e i dieci operai che vi lavorano sono trasferiti allo stabilimento di Morano, ingrandito e adeguato tecnologicamente nel 1948, anche con ambizioni architettoniche. Come dichiarato dall’ing. Enrico Grassi, dipendente dell’ufficio tecnico dal 1950 e coprogettista dei suddetti interventi: «... Le ciminiere di Morano sono così imponenti (come gran parte dello stabilimento) perché dovevano essere “l’emblema della Marchino e di Morano”» (fig. 18).

Dopo il 1955, la politica espansiva continua con l’incorporazione delle varie Società controllate, distribuite su tutto il territorio nazionale con prevalenza nelle regioni centro-settentrionali, fino alla modifica della struttura societaria e della denominazione in “UNICEM – Unione Cementerie Marchino, Emiliane e di Augusta SpA” nel dicembre 1969.

L’anno successivo l’ing. Vittorio Bonadè Bottino lascia la Società, che nel 1972 realizza una produzione superiore ai 5 milioni di tonnellate di cemento, ancora seconda in Italia solo alla Italcementi.

Infine, Il 13 maggio 1997 viene stipulato un accordo tra Buzzi Cementi ed IFI/IFIL, che prevede il rilievo di una quota del capitale ordinario di UNICEM SpA e che porterà l’anno successivo alla fusione dei due gruppi e alla costituzione della “Buzzi UNICEM”, oggi multinazionale operante in 14 paesi, 4 continenti e con circa 10,000 dipendenti.

Anche la Buzzi è una società casalese, la cui origine risale al 1876 grazie all’opera di Luigi Buzzi, piastrellista originario di Malnate (Varese), fondatore di una ditta di manufatti cementizi denominata “Ditta Buzzi Luigi e figli”.

Morto il padre, nel 1907 i due figli Pietro e Antonio decidono di spostare la loro attività verso la produzione del cemento fondando la “Fratelli Buzzi S.p.A.”.

Il primo impianto, dotato di due forni Palena e due Dietzsch, viene costruito nel 1907 a Trino Vercellese e lavora la marna proveniente da due cave a Camino e Brusaschetto.

Nei primi anni la produzione è concentrata esclusivamente sul cemento Portland naturale, lasciando che la calce idraulica sia prodotta da una piccola società collegata, la S.n.c. Barbesino e C. di Morano sul Po.

Dopo le difficoltà connesse alla crisi del settore edilizio scoppiata intorno all’anno ’10 e al periodo bellico, la ripresa negli anni ’20 sollecita la costruzione di un nuovo impianto, localizzato a Casale e dotato di due forni verticali automatici e di un forno a tino per la produzione di calce in zolle.

Nel 1940, alla morte di Pietro gli subentra il figlio Luigi (fig. 19), nato a Casale Monferrato il 22 gennaio 1907, che si rivelerà un cementiere lungimirante e coraggioso, animato da profondo senso etico e da una particolare attenzione al welfare aziendale.

Il dopoguerra, come detto, è tempo di ripresa del settore cementizio e la Buzzi seguirà sostanzialmente la stessa politica della Marchino: abbandono della produzione del cemento Portland naturale ormai divenuta troppo costosa, rinnovamento tecnologico degli impianti, chiusura delle miniere casalesi, diversificazione degli approvvigionamenti di calcare e argilla su tutto il territorio nazionale.

Nei successivi anni ’60÷’80 la società continuerà a svilupparsi attraverso varie acquisizioni, tra cui la “Cementi Alta Italia” nel 1979, la “Bargero” nel 1980, la joint venture paritetica con HeidelbergCement, primo produttore di cemento tedesco, a costituire la “Additem Italia”.

Fino alla già citata fusione con la UNICEM nel 1998.

Fig. 14 - Cementizia di Prato

Fig. 15 - Stabilimento Società piemontese cementi e calci (foto Marelli, 1933)

Fig. 16 - Riccardo Gualino

Fig. 17 - Giovanni Agnelli

Fig. 18 - Ex cementeria di Morano sul Po

Fig. 19 - Luigi Buzzi

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[16] Pronzato Mario, Le origini dell’industria delle calci e cementi a Casale Monferrato. Immagini, testimonianze, documenti, Casale Monferrato, Edizioni Studio R.S. Pubblicità (1973)

[17] In questo caso l’acronimo SNIA sta per Società Nazionale Industria e Applicazioni

[18] Misura nota come Quota 90”

[19] Riotterrà la libertà già nel settembre 1932, concentrando la sua attività sulla cinematografia e l’industria chimica.

«Ideologicamente estraneo al fascismo, legato all'ambiente dei fuorusciti italiani in Francia, la cui frequentazione non aveva mai interrotto, così come agli ambienti della finanza anglosassone, il G., alla fine della seconda guerra mondiale, si vide restituire i diritti al possesso e all'amministrazione delle aziende da cui era stato interdetto nel 1931.» (Dizionario Biografico Treccani). Morirà a Firenze il 6 giugno 1964 a 85 anni.

[20] Marne, cave, cementifici nel Monferrato casalese – Atti e Rassegna Tecnica della Società degli ingegneri e architetti di Torino, vol. LXV-2 (aprile 2011)

Bibliografia