Miniere di antimonio del Gerrei

Geologia e giacimentologia

In fig. 1 è riportato un estratto del foglio CARG 1:50,000 n. 249 Muravera, che mostra i terreni affioranti nell’intorno del comune di Villasalto. La regione è suddivisa in due parti dal lineamento tettonico conosciuto come “Faglia di Villasalto”:

  • a sud affiorano quasi solamente le “Arenarie di San Vito”, di età compresa tra Cambriano e Ordoviciano inferiore (ca. 500 Ma);

  • a nord affiorano i “Calcari di Villasalto” [1], di età tra Devoniano medio e Carbonifero inferiore (390÷350 Ma), poggiati su terreni di età più antica, tra Siluriano e Devoniano medio (440÷390 Ma): Scisti a Tentaculiti, a nord, e Scisti carboniosi a Graptoliti, più a sud lungo il lineamento tettonico.


A tratti affiorano, inoltre, porfiroidi di tipo riolitico e arcose derivate dal rimaneggiamento degli stessi porfiroidi, di età ordoviciana media (470 Ma ca.).

Tra le arenarie, a sud, e i calcari e gli scisti a nord, una breccia tettonica di vario spessore in direzione E-W segna la faglia di Villasalto; in questa breccia è ubicato il solo giacimento di antimonio importante della Sardegna, quello di Su Suergiu-Martalai.


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[1] Con piccoli affioramenti appartenenti al Complesso di Pala Manna, di età Carbonifero inferiore (350 Ma ca.)


Fig. 1 - Geologia nei dintorni di Villasalto

La faglia di Villasalto appartiene alla prima, e più importante, di tre fasi di piegamento, con differenti stili e orientazioni, ma tutte appartenenti all’orogenesi ercinica.

Si tratta di una faglia in cui il lato settentrionale, caratterizzato dalla presenza di formazioni siluriane-devoniane, si è abbassato rispetto al lato meridionale, dove sono presenti le arenarie ordoviciane di San Vito, che sono poi sovrascorse sulle formazioni siluriane-ordoviciane (Accavallamento di Villasalto) creando la fascia brecciata sopra menzionata, che contiene tutti i tipi di roccia presenti sopra e sotto il contatto tettonico, appiattiti nelle superfici di scistosità ed elongate in direzione E-W.

I giacimenti coltivati a Su Suergiu e Martalai sono costituiti da lenti di antimonite con scheelite, anch’esse appiattite più o meno parallelamente al contatto tettonico ed elongate in direzione E-W.

Le mineralizzazioni ad antimonite, talvolta associate a vene e lenti di calcite bianca, sono incassate nella breccia, per spessori anche superiori al centinaio di metri e sviluppo di quasi 2 km, in una matrice di scisti neri siluriani, con grani sparsi e straterelli di pirite.

L’origine delle mineralizzazioni di Villasalto è stata, ed è tuttora, controversa.

Non considerando le ipotesi formulate in anni molto lontani, a partire dagli anni ’60-’70 del XX secolo ha cominciato ad affermarsi la teoria della scuola di Monaco, un cui esponente (H. O. Angermeier) fu anche consigliere tecnico della direzione della miniera, secondo cui il giacimento è di tipo Sedex (esalativo sedimentario) singenetico con gli scisti neri.

Tale interpretazione, tuttavia, presupporrebbe l’esistenza di un vulcanismo siluriano, mentre la maggior parte degli eventi magmatici in Sardegna sono più vecchi (porfiroidi di età ordoviciana) o più giovani (magmatismo ercinico).

Anche l’ipotesi di lisciviazione dell’antimonio presente negli scisti neri e la sua successiva concentrazione, richiederebbe un volume di scisti neri troppo elevato.

Occorre sottolineare, inoltre, che l’analisi isotopica su campioni di antimonite del giacimento lascia pensare a un’origine magmatica-idrotermale.

Si potrebbe, quindi, ipotizzare un deposito primario epigenetico idrotermale di età tardo ercinica (320÷280 Ma), anteriore o contemporanea all’Accavallamento di Villasalto.

Cenni storici

Pur se le risorse minerarie del Gerrei furono sfruttate dall’uomo sin dal Neolitico, come testimoniato dal rinvenimento nella necropoli di Pranu Mutteddu, presso Goni, di reperti in rame e argento riconducibili alla Cultura prenuragica di Ozieri (3,300÷2,500 a.C.), la storia del giacimento del Gerrei ha realmente inizio nel XV secolo quando, nel territorio di Ballao, venne individuata una sostanza non ben definita utilizzata in medicina: l’antimonio.

Bisognò, però, aspettare fino al 1764, per avere le prime notizie certe sulla presenza di minerali d’antimonio in Sardegna, quando in un dispaccio indirizzato al Ministro per gli Affari di Sardegna, conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino, si citava l’individuazione di quattro filoni che, a giudicare dai campioni forniti, parevano interessanti.

Il primo di questi di cui venne chiesta, nel 1766, la concessione di sfruttamento fu proprio quello di Ballao.

Tuttavia, solo circa un secolo dopo, nel 1854, l’imprenditore Francesco Ferro iniziò le ricerche minerarie di tale elemento che, come annotava nel 1861 La Marmora nel suo altro libro Itinéraire de l'île de Sardaigne, portarono al ritrovamento vicino ad Armungia di un filone di antimonio più ricco di quello di Ballao.

Nel 1880 furono due imprenditori Carlo Rogier e Giuseppe Carcassi a cominciare seriamente la coltivazione, mentre due anni dopo un altro imprenditore, il toscano Carlo Scarniglia, edificò vicino alle miniere la prima fonderia sarda di antimonio, capace di una produzione mensile di 30 tonnellate di stibina fusa (solfuro di antimonio, Sb2S3) che, trasferita a un’altra fonderia a Siena, veniva successivamente trasformata nel metallo puro.

Solo il 28 aprile 1884 [2], tuttavia, sarebbe stato pubblicato il Decreto Ministeriale di scoperta del giacimento di Su Suergiu di cui, cinque anni dopo con Regio Decreto del 28 febbraio 1889, fu assegnata in perpetuo la facoltà di coltivazione alla Società Miniere e Fonderie di Antimonio di Genova, che all’epoca controllava l’intero mercato

italiano di questo metallo e che prese in gestione anche la fonderia di Villasalto, la quale dopo alcuni anni di produzione elevata, con un massimo di 1,500 tonnellate di minerale estratto e 190 di trisolfuro liquato prodotto tra il 1883 e il 1884, era andata progressivamente in crisi fino al fallimento nel 1888.

Sotto la nuova gestione, nel 1889 la fonderia riprese l’attività mantenendo, però, una produzione ancora scarsa - solo 115 tonnellate complessive nel 1890 - soprattutto a causa dell’impossibilità di trattare i minerali con tenore di solfuro inferiore al 20%.

Il successivo potenziamento degli impianti permise di aumentare la produzione, che nel 1897 arrivò a 564 tonnellate di solfuro liquato e 36 di ossido di antimonio.

Agli inizi del XX secolo la produzione risentì del prezzo altalenante dell’antimonio sul mercato, ma nel biennio 1904-1905 in seguito al conflitto russo-giapponese il prezzo aumentò, per cui nel 1906 la Società investì per l’ammodernamento della fonderia e l’intensificazione di nuove ricerche.

Iniziarono così i lavori di scavo della galleria che doveva collegare i cantieri di Su Suergiu con la miniera di Martalai, oltre alla costruzione di cinque chilometri di strada per raggiungere Porto Corallo.

Nel 1907 la Società di Monteponi, consociata alla Società Miniere e Fonderie d’Antimonio, promosse la produzione di leghe piombo-antimonio per caratteri da stampa, con lo scopo di riutilizzare il proprio ossido di piombo.

La produzione di Villasalto fu, quindi, indirizzata prevalentemente all’ossido piuttosto che alla liquazione del solfuro, dotando la fonderia di due convertitori tipo Bessemer della capacità di 2 tonnellate di materiale, appositamente costruiti dalla Società Pertusola.

In tali convertitori, l’aria compressa veniva insufflata sotto la griglia di fondo che sosteneva la carica, costituita da strati alternati di minerale calcareo in pezzatura, polverino e coke metallurgico posti su uno strato di carbone vegetale incandescente, provocando la seguente reazione, con formazione di ossido di antimonio e anidride solforosa:

2Sb2S3 + 9O2 2Sb2O3 + 6SO2

I fumi, che fuoriuscivano da un cappello posto sulla parte superiore del convertitore, venivano aspirati e raffreddati opportunamente.

Poiché l’ossido prodotto doveva essere inviato a uno stabilimento di Livorno per ridurre l’antimonio allo stato elementare, con relativi elevati costi sia di trasporto che di trasformazione, fu deciso di costruire un forno a riverbero riscaldato a legna con una carica costituita da una miscela d’ossido e carbone vegetale, con l’aggiunta di una piccola percentuale (3.5%) di carbonato sodico come fondente, in cui avveniva a temperature superiori a 500 °C la riduzione a metallo dell’antimonio, secondo la reazione:

Sb2O3 + 3C→ 2Sb + 3CO

Nonostante tutti gli sforzi, però, nel 1908 ci fu una nuova contrazione del mercato che, portò alla riduzione della produzione (13 tonnellate di antimonio e 51 solfuro liquato) e al licenziamento di gran parte dei lavoratori.

La ripresa arrivò alla vigilia della 1a guerra mondiale, grazie allo sviluppo dell’industria bellica che assorbì tutta la produzione della miniera.

Nel 1916 si raggiunse il massimo assoluto della produzione del Gerrei con 4,685 di minerale[1] trattato per produrne 412 di metallo (tab. 12) con una manodopera in fonderia di oltre 50 unità.

Già nel 1919, tuttavia, la produzione e, conseguentemente, l’occupazione era tornata a livello minimale: 6 operai nella fonderia di “Su Suergiu” per 10 tonnellate solfuro liquato a fronte di sole 25 tonnellate estratte.

Complessivamente nei primi venti anni del XX secolo furono prodotte 1,742 tonnellate di antimonio metallico, 1,542 di solfuro liquato e 1,276 ossido, mentre la quantità di minerale estratto nella seconda decade arrivò a 21,259 tonnellate.

La crisi produttiva continuò fino al 1923, quando la produzione di minerale tornò a valori superiori alle 1,500 tonnellate (per la precisione 1,689) e la ripresa fu supportata anche dall’entrata della Montevecchio nel pacchetto azionario della Società Miniere e Fonderie d’Antimonio, di cui acquisì la maggioranza nel 1925.

Con il nuovo assetto societario la concessionaria potenziò la Fonderia, producendo nel quadriennio 1926÷1929 666 tonnellate di antimonio metallico, 235 di ossido e 324 di liquato, a fronte di 7,910 di minerale estratto, e ottenendo, con DM 1° luglio 1929 (GU 230/1929) [3], la conferma delle tre concessioni (Su Suergiu, Martalai e Corti Rosas).

Naturalmente la crisi del ’29 ebbe conseguenze anche sulla produzione di antimonio, calata nel triennio 1931÷1933 a 155 tonnellate di ossido e 168 di liquato, pur se con una buona tenuta di minerale estratto (6,018), e aggravata dalla contemporanea crisi della Montevecchio che nel 1933 fu acquisita in parti uguali dalla Monteponi e dalla Montecatini.

Tuttavia, pur se in forti difficoltà finanziarie, nel biennio 1934÷1935 furono estratte 4,307 tonnellate di minerale, producendo 402 tonnellate di metallo, 94 di solfuro e 195 di ossido.

Nel 1936, in seguito al passaggio della Montevecchio alla Monteponi-Montecatini e alla politica autarchica del governo fascista, la fonderia di “Su Suergiu” fu incorporata nell’Azienda Minerali Metallici Italiani (AMMI), a favore della quale furono anche trasferite e intestate le tre miniere di antimonio del Gerrei con DM del 2 dicembre 1941 (GU 77/1943).

Sotto la gestione AMMI, soprattutto grazie all’autarchia che aveva di fatto eliminato la concorrenza estera, l’occupazione raddoppiò e la produzione crebbe nel triennio 1936÷1938 a 9,311 tonnellate di minerale, 1,190 di metallo, 351 di ossido e 299 di solfuro.

Con il sopraggiungere della guerra terminò il periodo (1915÷1939) in cui la produzione di minerale di antimonio delle miniere del Gerrei aveva rappresentato più del 90% di quella nazionale (il 100% nel periodo 1926÷1934) e iniziò una nuova fase di crisi, in particolare dopo il 1942 e per i prodotti di fonderia, mentre il minerale estratto si mantenne al di sopra delle 2,000 tonnellate, senza però riuscire ad aumentarle significativamente a guerra finita, rimanendo al di sotto delle 2,850.

Negli anni ’50, grazie ai finanziamenti della regione Sarda, furono scavati ben 2,765 metri di galleria, più altri lavori di tracciamento e sondaggi.

Le attività di ricerca ed estrazione terminarono nel 1968, mentre continuarono le attività di manutenzione degli impianti.

Dagli anni ’70 in poi le sorti delle concessioni di antimonio nel Gerrei seguirono sostanzialmente quelle delle altre concessioni di minerali metallici sarde, con il passaggio del controllo dall’AMMI alla SAMIM con Decreto assessoriale (DA) del 25 ottobre 1979, dalla SAMIM alla SIM (Società Italiana Miniere) con DA del 5 giugno 1987, sebbene la SAMIM avesse fatto istanza di rinuncia in data 31 dicembre 1984, istanza surrogata dalla stessa SIM come risulta dal DA 17 luglio 1987.

Nel frattempo la Fonderia, che negli ultimi anni della propria attività aveva trattato minerale non locale ma importato da Manciano e dall’estero (Bolivia, Cile, Sudafrica, Australia, ecc.), aveva spento definitivamente i propri impianti nel 1979, col conseguente licenziamento degli operai addetti.

Complessivamente, tra il 1901 e il 1948 furono estratte 86,523 tonnellate di minerale, mentre nel periodo 1900÷1969 la Fonderia produsse 13,589 tonnellate di metallo, 3,951 di solfuro e 4,848 di ossido

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[2] Il giacimento di Corti Rosas, dichiarato scoperto con DM 28 febbraio 1893, fu concessionato con RD 10 gennaio 1897, mentre quello di Martalai, prosecuzione di quello di Su Suergiu, fu concessionato con RD 11 aprile 1915.

[3] Da questa data le tre concessioni seguiranno le stesse vicende amministrative.


Tab. 1 - Produzione di minerale e di antimonio metallo, solfuro e ossido nel Gerrei (Amat di San Filippo, 2014)