Bacino lignitifero del Sulcis

A differenza del bacino antracifero della Barbagia di Seulo, il bacino lignitifero del Sulcis ha avuto grande importanza sotto tutti i punti di vista politico, sociale, economico e minerario tanto da condizionare e, in qualche modo, rappresentare le vicende della Sardegna nella seconda metà del XX secolo.

Inquadramento geologico e giacimentologico


Il bacino del Sulcis si sviluppa con andamento N-S fra l'insenatura di Funtanamare a N e il golfo di Palmas a S, estendendosi per una superficie di circa 200 km2.

I sedimenti paleogenici, di età compresa fra il Paleocene e l’Oligocene (60÷30 Ma), sono articolati come mostrato nella fig. 1.

Sopra le formazioni pre-terziarie, si trovano i terreni appartenenti alla formazione del Miliolitico, composti prevalentemente da sedimenti carbonatici che poggiano sia su sedimenti conglomeratico-arenacei, in particolare nella zona di Monte Margiani, che direttamente sul basamento.

I calcari del miolitico sono ricoperti in concordanza dal Lignitifero (fig. 2), di età eocenica (tra inferiore e media, 50÷45 Ma) e costituito “da ritmiche alternanze di livelli e strati lenticolari, decimetrici o metrici, di calcari marnosi, calcari bituminosi, lignite, argille carboniose, arenarie, marne e microconglomerati. Inferiormente sono più frequenti litologie carbonatiche in facies salmastre, mentre brevi e ripetute ingressioni marine sono testimoniate da calcari marnosi, ancora ricchi di Miliolidi e rari Foraminiferi ialini, intercalati nei depositi arenacei. Paleosuoli sono talvolta associati ai banchi di lignite. Verso l’alto diventano più frequenti le facies lacustri-palustri a Ostracodi, Characee e/o Molluschi; i banchi di lignite sono meno numerosi ma più potenti, mentre aumentano i depositi alluvionali (arenarie e conglomerati) intercalati” [1].

L’ambiente caldo-arido di formazione del Miliolitico persiste durante le fasi iniziali del Lignitifero per poi virare verso un ambiente umido che ha permesso “un più prolungato sviluppo delle torbiere con maggior accumulo di materia organica”.

Al tetto del lignitifero, con passaggio graduale o con netta discordanza angolare, si trova la “formazione del Cixerri”, costituita da arenarie, conglomerati, marne e argille siltose e in cui, dal basso in alto, è possibile individuare un trend evolutivo di carattere sedimentologico: le porzioni inferiori sono, infatti, caratterizzate da una relativa abbondanza di depositi clastici a granulometria da fine a media, mentre procedendo verso l’alto della successione le porzioni fini tendono a diminuire e diventano progressivamente più importanti prima le frazioni arenacee e, poi, quelle conglomeratiche, tipiche delle porzioni sommitali.

Come si osserva in fig. 3, ricavata sulla base dei sondaggi della Carbosulcis per la ricerca e la produzione mineraria, la serie paleogenica è completa solo a SW, mentre procedendo verso NE vengono via via mancando le formazioni basali, finché sul basamento pre-eocenico poggia direttamente la formazione di Cixerri.

Le lacune stratigrafiche della serie paleogenica testimoniano che nel terziario l’area del bacino sia stata all’interno dell’intervallo di oscillazione del livello del mare, con lunghi periodi di emersione che hanno causato l’interruzione del processo di sedimentazione e/o l’erosione degli stati già deposti.

Dal punto di vista giacimentologico, la mineralizzazione è contenuta in una serie di banchi ricchi di materiale carbonioso, raggruppabili in più fasci (seam) di potenza variabile, intercalati a materiali sterili, per lo più argillosi.

In base al contenuto di argilla (ca), si distinguono:

  • argille carboniose, ca > 90%;

  • argille con carbone, 50% < ca < 90%;

  • carbone impuro, 10% < ca < 50%;

  • carbone, ca < 10%).


All’interno del singolo seam raramente il carbone puro ha potenza superiore a 30-50 cm e, in generale, la continuità laterale è limitata da impurità argillose che possono divenire anche molto abbondanti.

La presenza/assenza del carbone è in relazione a una complessa distribuzione degli ambienti sedimentari, comprendenti zone canalizzate (con prevalente erosione) e zone di laguna-palude (con prevalente accumulo), che solo nelle parti marginali costituivano l’ambiente di sedimentazione del carbone, frequentemente contaminato da materiale argilloso.

Nella flora fossile rintracciata nel carbone sono presenti prevalentemente foglie, spore, pollini e alghe, mentre sono molto rari i rami (trovati solo a Seruci) e le radici, la qual cosa fa pensare che si tratti di depositi di materiale proveniente da località più interne, trasportato dalle acque e dagli agenti atmosferici.

Comprese le intercalazioni di sedimenti arenacei, siltosi, argillosi, marnosi e calcarei, la potenza complessiva media dei seam è di 70 m, con un trend di aumento costante verso W fino a valori massimi di 150 m.

In rapporto alla formazione “Lignitifero”, la potenza cumulata di carbone è compresa tra il 20 e il 40%.

Il giacimento è interessato da pieghe e faglie, originate dalla tettonica post-ercinica, che si sovrappongono all’originaria stratificazione sedimentaria, rendendone molto complicata la ricostruzione della geometria.

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[1] Dalla Scheda APAT-CNR Commissione italiana di stratigrafia, a cura di Anna Gandin, Marco Murru, Sandro Pasci, Paola Pittau, Edoardo Sarria

Fig. 1 - Serie stratigrafica paleogenica del Bacino lignitifero del Sulcis (Barca, 2000)

Fig. 2 - Alternanze di strati di carbone nel Lignitifero (da Scheda APAT-CNR)

Fig. 3 - Rapporti stratigrafici delle formazioni paleogeniche sul substrato pre-eocenico (da Scheda APAT-CNR)

Cenni storici

Dalle origini alla 2a guerra mondiale

“Il giorno 7 novembre 1834 percorrendo a piedi la strada che conduce da Iglesias a Gonnesa e Terra Segada, trovandomi al piede orientale del piccolo Monte Lisau, che domina il villaggio suddetto, nel cammino di Flumentepido rinvenni un frammento di arenaria bigia al quale era aderente una sostanza nera carboniosa; sottoposta quella sostanza alla prova del cannello mi parve costituire un vero combustibile fossile; furono vane le mie ricerche per iscoprire la giacitura di quella sostanza”.

Così il generale e scienziato Alberto La Marmora descrive nel suo Voyage en Sardaigne il primo rinvenimento di carbone fossile nell’area del Sulcis.

L’avvio ufficiale delle coltivazioni è, invece, datato 1853 quando, con Regi Decreti del 19 e 29 maggio, vengono affidate alle Società Timon Varsi e Tirsi-Po di Millo e Montani le concessione denominate, rispettivamente, “Terras de Collu” e “Bacu Abis”.

Tra produzioni variabili [2] e periodi di inattività alla fine degli anni ’50 del XIX secolo, la penetrazione del carbone sulcitano nel mercato nazionale era ancora debole, sebbene cominciasse a sentirsi la sua influenza sull’economia locale, trasformando i piccoli centri agricoli e pastorali dell’area in villaggi minerari e facendone sorgere altri nei punti più prossimi ai cantieri che via via si svilupparono.

Nel frattempo, con RD 30 Agosto 1868, era stata concessa ad Angelo Nobilioni la facoltà di coltivare la miniera denominata “Fontanamare[3], il cui carbone venne impiegato, a partire dal 1869, come combustibile per le pompe di eduzione e per gli impianti delle laverie meccaniche della miniera di Monteponi.

Quello stesso anno, l’ingegnere torinese Anselmo Roux fu incaricato di sovrintendere ai lavori di costruzione del tronco ferroviario che doveva congiungere la miniera di Monteponi con lo scalo di Porto Vesme.

In questa circostanza ebbe modo di valutare la consistenza dei giacimenti di lignite di Bacu Abis, che all’epoca si era stabilizzata su una produzione intorno alle 3,000 tonnellate annue.

Convinto assertore del roseo futuro della forza-vapore, il 21 aprile 1873 Roux fondò a Torino, in associazione con la Compagnia Generale delle Miniere, la Società Anonima proprietaria della miniera di Bacu Abis in Sardegna, che acquistò la Tirsi Po.

Oltre alla miniera omonima, alla nuova Società vennero assegnate nel tempo le concessioni Caput Acquas e Cortoghiana, entrambe acquisite da Roux nel 1896 e cedute alla Bacu Abis nel 1913.

Infine, dopo l’approvazione della nuova legge mineraria (RD 1443/1927), furono confermate a favore della Bacu Abis le concessioni:

  • Piolanas Nord, in perpetuo con DM 18 marzo 1929 (GU 126 del 31 maggio 1929);

  • Caput Acquas, in perpetuo con DM 25 maggio 1929 (GU 196 del 23 agosto 1929);

  • Cortoghiana, in perpetuo con DM 25 maggio 1929 (GU 196 del 13 agosto 1929);

  • Bacu Abis, in perpetuo con DM 6 novembre 1930 (GU 58 dell’11 marzo 1931);

  • Sirai, fino all’8 ottobre 1934 con DM 5 aprile 1932 (GU 145 del 24 giugno 1932).

Intanto, la concessione Terras de Collu, con atto del 12 febbraio 1905, era stata ceduta alla Monteponi che, con RD del 10 gennaio 1889, aveva già acquisito la concessione Culmine. Successivamente, queste due concessioni sarebbero state riunite con DM del 18 luglio 1934 (GU 222 del 21 settembre 1934) a formare la nuova concessione denominata Terras de Collu e Culmine [4].

Tornando alla fine degli anni ’80 del XIX secolo, la crescita del tessuto industriale nazionale determinò un aumento della domanda di energia, triplicata tra il 1878 e il 1889.

Il governo, gravemente preoccupato per la bilancia dei pagamenti e per le implicazioni militari che, in caso di guerra, potevano derivare da una ridotta autonomia energetica dell'esercito e soprattutto dei trasporti marittimi, avviò più di una inchiesta sui giacimenti fossili esistenti nel territorio nazionale.

La maggior parte delle ligniti della penisola risultarono di scarso pregio, ma quelle di Bacu Abis, pur se ricche di zolfo, furono considerate degne della massima considerazione per il loro alto potere calorico (fino a 6,000 kcal con opportuni arricchimenti).

Utilizzando le favorevoli conclusioni dell’inchiesta, il Roux riuscì a stipulare un contratto di forniture con la Regia Marina; anche gli ordini dei privati aumentarono rapidamente e la produzione passò dalle 15,000 tonnellate circa del 1890 alle 38,000 del 1901 con 657 operai.

Anselmo Roux morì improvvisamente, e in circostanze poco chiare, il 26 giugno 1899 a Tortolì in Ogliastra, mentre cercava di acquistare una miniera piombo-zincifera per diversificare la propria produzione mineraria.

La sua eredità venne assunta dal figlio Lorenzo che presto si trovò ad affrontare le proteste operaie dei primi anni del XX secolo, culminate in Sulcis con “i moti di Gonnesa” del 20 maggio 1906, in cui vennero presi di mira e danneggiati gli impianti minerari.

Lorenzo Roux si dimostrò impreparato al compito cui era chiamato e la produzione si ridimensionò a 15,000÷20,000 tonnellate con 240÷340 operai nei primi anni ’10 del XX secolo.

In quegli stessi anni si passò dalla coltivazione a cielo aperto, esclusiva durante la fase “pionieristica”, a quella in sotterraneo che, dopo un primo tentativo nel 1895 subito interrotto, divenne prevalente dal 1906, mentre l’estrazione a cielo aperto venne definitivamente abbandonata nel 1915.

In seguito alla crisi produttiva, nel 1914 i Roux cedettero tutte le quote societarie a Ferruccio Sorcinelli.

Avvocato nato ad Arezzo nel 1872 e trasferitosi in Sardegna per lavorare nel settore bancario, Sorcinelli aveva fondato a Sassari la Società Bancaria Sarda nel 1904. Interessato al controllo del carbone di cui aveva fiutato l’importanza per l’alimentazione delle nascenti centrali termo-elettriche sarde, il 24 maggio 2013 firmò un accordo per la fornitura di carbon fossile alla Società Elettrica Sarda e l’anno successivo acquisì il controllo della Società Bacu Abis.

La nuova gestione della Bacu Abis, che portò alle acquisizioni minerarie precedentemente descritte, e lo scoppio della 1a guerra mondiale dettero un nuovo impulso alla produzione mineraria che aumentò fino a superare le 70,000 tonnellate nel 1918 con più di 1,100 addetti.

Fascista della prima ora, Sorcinelli ebbe un ruolo importante anche nella formazione e nella gestione delle squadracce fasciste che operarono in Sardegna tra il 1920 e il 1922 per la repressione dei movimenti operai e socialisti, vincitori delle elezioni del 1921.

Proprietario dal 1920 del giornale L’Unione Sarda, lo allineò alle posizioni del regime in funzione nazionalista e antisardista.

Morto improvvisamente nel 1925, lasciò la Bacu Abis al culmine di una fase in cui la produzione annua si era mantenuta su valori elevati (costantemente maggiori di 50,000 tonnellate), cui seguì un periodo difficile, caratterizzato da produzioni generalmente inferiori alle 35,000 tonnellate, durante il quale rimasero attive solo le miniere principali: Bacu Abis, passata sotto il controllo della Montevecchio alla morte del Sorcinelli, e Terras de Collu, già passata, come detto, alla Monteponi dal 1905.

Solo con la nascita dell’Azienda Carboni Italiani (A.Ca.I.) [5], costituita con R.D.L. n. 1406 del 28 luglio 1935 (GU 180/1935) in pieno regime autarchico, il giacimento nelle sue numerose zone fu nuovamente oggetto di intensa attività.

Nel frattempo, il 12 aprile 1933 la Bacu Abis era fallita per difficoltà finanziarie e tutte le sue concessioni (Bacu Abis, Piolanas Nord, Caput Acquas, Cortoghiana, Sirai) erano state rilevate dalla Società mineraria carbonifera sarda (nel seguito Carbosarda) del gruppo A.Ca.I., con atto di cessione in data 11 gennaio 1934 e DM di trasferimento delle concessioni del 12 luglio 1934.

Oltre a rilanciare la produzione delle miniere esistenti, grazie ai numerosi e notevoli investimenti finanziari garantiti dal regime autarchico [6], alla Carbosarda fu assegnata per anni 60, con DM del 18 gennaio 1939, la nuova grande concessione “Serbariu”, che si aggiunse alle miniere ereditate.

Intorno a tale concessione, depositaria di risorse veramente strategiche, fu aggiornato rapidamente il programma insediativo autarchico, che ebbe come fulcro la città nuova di Carbonia

In pochi anni la produzione crebbe dalle 77,564 tonnellate con 1,060 operai del 1935 (tab. 1), alle 465,772 con 9,000 operai circa del 1938, fino alle 911,279 con 13,447 operai del 1939, in concomitanza con l’apertura di Serbariu.

La produzione continuò a salire nei primi anni di guerra fino a superare il milione di tonnellate nel triennio 1940-1942, con il massimo di 1,295,779 tonnellate con 12,650 operai nel 1940.


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[2] I dati sulle produzioni di carbone dei primi anni variano molto in funzione delle fonti e, pertanto, non sono particolarmente attendibili; ad esempio, per la produzione di carbone della miniera di Bacu Abis nel 1854 si riportano i seguente valori: 150 tonnellate [Fonte: Miniere di Sardegna - Archeologia mineraria, www.minieredisardegna.it (Miniere del Sulcis: Miniera di Bacu Abis)], 175 tonnellate [Fonte: Massimo Carta, Carbonia 70 anni 1938 - 2008, Edizioni Sulcis 2010], ben 2,950 tonnellate [Fonte: Regio Corpo delle Miniere e Notizie sull’industria mineraria in Italia (Ministero Industria)].


[3] Questa miniera, passata alla Monteponi con atto del 13 giugno 1872, ebbe vita breve, essendone stata revocata la concessione con DM del 25 aprile 1889; successivamente confermata per 5 anni a favore della Società Anonima Miniere di Lanusei con DM del 7 novembre 1930 (GU 58 dell’11 marzo 1931) fu definitivamente rinunciata con DM 20 gennaio 1934 (GU 79 del 4 aprile 1934).

[4] Terras de Collu era stata confermata con DM del 30 maggio 1929 (GU 186 del 10 agosto 1929) e Culmine con DM 7 giugno 1929 (GU 196 del 23 agosto 1929), entrambe in perpetuo a favore della Monteponi.


[5] Da questa data fino al 1965 i dati di produzione sono tratti da fonte ISTAT: Sommario statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, tav. 65 a pag. 90 (tab. 1); mentre quelle sugli operai (tab. 2) da fonte A.Ca.I. fino al 1942 e dal 1943 da fonte Alberto Vacca: Carbonia e i problemi dell'industria carbonifera sarda (1936 – 1976).


[6] Il R.D.L. costitutivo dell’A.Ca.I. prevedeva un contributo annuale di 3 milioni di lire “Per consentire all'Azienda il raggiungimento degli scopi di cui al precedente art. 2, a principiare dall'esercizio finanziario 1935-36 e per altri nove esercizi consecutivi” (Art. 3).


Dalla lotta dei 72 giorni al passaggio all'ENEL

Dopo la crisi del triennio 1943-1945, la produzione tornò ad essere maggiore di 1,000,000 di tonnellate nel biennio 1946-1947, con una forza operaia superiore alle 15,000 unità.

Il 1948, caratterizzato da una nuova forte contrazione della produzione (-28%), fu l’anno della vertenza sindacale, conosciuta come “la lotta dei 72 giorni” (vedi riquadro), intrapresa dai minatori della Carbosarda tra il settembre e il dicembre 1948 per trovare uno sbocco al problema del carbone del Sulcis, puntando alla sua gassificazione in conformità ai piani Levi e Carta [7].

La lunga agitazione, così identificata dai minatori in relazione alle altre lotte sostenute prima e dopo il 1948, è un simbolo per la città di Carbonia.

Essa rappresentò, infatti, lo sforzo cosciente e organizzato di difendere il proprio posto di lavoro e di opporsi a un disegno che voleva cancellare la vita di una città che aveva come unica ricchezza l’attività mineraria: chiudere la miniera avrebbe significato far morire Carbonia.

Per comprenderne tutta la portata è necessario collocarla nel contesto nazionale, nei nuovi equilibri di potere che si andarono creando in Italia nell’immediato dopoguerra.

Il 18 Aprile del 1948 si ebbero le prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana e le Sinistre furono sconfitte: tale risultato certificò la fine dell’unità antifascista, del clima di collaborazione tra tutte le forze politiche che avevano elaborato e varato la nuova Costituzione della Repubblica.

La classe padronale, rinforzata dalla vittoria dei partiti centristi, non mancò di fare sentire tutto il suo peso sul piano politico ed economico.

Nel Luglio del 1948 maturò la scissione sindacale e, sempre a luglio, ci fu l’attentato a Palmiro Togliatti. Come in tante altre città operaie, i lavoratori di Carbonia scesero in piazza per manifestare la loro solidarietà al leader comunista e per manifestare il loro assoluto dissenso nei confronti della scissione sindacale che vivevano come un pericoloso indebolimento della forza del movimento operaio.

Anche queste manifestazioni vennero utilizzate dal padronato per colpire in maniera massiccia dirigenti sindacali e politici: nella notte tra il 27 e 28 Agosto 1948 la polizia effettuò a Carbonia una vasta retata che portò all’arresto di 12 dirigenti sindacali comunisti.

A settembre la CarboSarda annunciò di voler aumentare gli affitti delle case, le tariffe del carbone, di cui aveva già ridotto le quantità da assegnare a ogni famiglia, e il costo dell’energia elettrica.

«...ci sono intanto le lotte per la casa per l’autoriduzione degli affitti che ormai si è estesa a tutto il quartiere basta guardare qui fuori dalla finestra queste case schifose dove ci obbligano a stare qui nel quartiere per vedere che condizioni di vita ci sono tutti questi palazzi che sembrano caserme costruite male senza nemmeno la licenza di abitabilità dicono che c’è la crisi e gli affitti che dobbiamo pagare aumentano però le paghe sono basse e così finisce che metà di questa paga se la ripigliano subito con l’affitto perciò la nostra rabbia e questo odio che abbiamo e perciò ci dobbiamo ribellare a questo stato di cose e per prima cosa questi porci se lo devono sognare di potere continuare ancora tranquillamente a rubarci tutti questi soldi e poi se lo devono sognare di poterci buttare fuori dalle case quando vogliono con la loro polizia...» (Nanni Balestrini: Carbonia. Eravamo tutti comunisti – Bompiani, 2013)

A fronte della protesta delle Commissioni interne e del sindacato che, non solo chiedevano di bloccare gli aumenti, ma soprattutto di attuare un piano di rilancio dell’attività estrattiva per impedirne la fine, la direzione della CarboSarda mantenne un atteggiamento intransigente e così le Commissioni interne deliberarono di passare allo stato di agitazione.

Il 5 ottobre la Federazione Minatori decideva di sospendere, a partire dal 7 ottobre, il lavoro a cottimo, mantenendo soltanto il lavoro in economia: iniziava così la “lunga agitazione”, la lotta dei 72 Giorni, nella forma della non-collaborazione, cioè la produzione in economia corrispondente alla paga-base, con l’esclusione del cottimo.

Cominciata per opporsi agli aumenti tariffari, la lotta dei 72 giorni - in cui confluirono il disagio per le battaglie precedenti perse e le tensioni quotidiane provocate dall’Azienda che disattendeva le richieste operaie di attrezzature di miniera, di scarpe, i maltrattamenti di capisquadra e sorveglianti, le multe, le minacce, le richieste di riparazioni nelle abitazioni di cui gli aumenti dei fitti non tenevano alcun conto - era soprattutto tesa a valorizzare le risorse locali e a difendere l’occupazione.

La CarboSarda reagì sabotando la produzione, per negare alle maestranze anche la retribuzione della sola paga-base, che all’epoca era pari a 299.60 lire mensili, corrispondenti a circa 6 € nel 2019!!!

Attuò poi tutta una serie di intimidazioni, multe, minacce di licenziamento, licenziamenti, rappresaglie nei confronti dei capisquadra e capiservizio che non provvedevano alla compilazione dei cosiddetti fogli-cottimo o che appoggiavano le lotte dei minatori.

Gli ultimi giorni delle lotte furono i più drammatici: i minatori colpiti da licenziamento stavano asserragliati nei pozzi, sostenuti dai compagni di lavoro che provvedevano a portare loro cibo, giornali e qualsiasi cosa di cui avessero bisogno, la polizia presidiava le miniere con le autoblindo, la città sembrava in stato d’assedio!

La resistenza era ormai al limite quando la sera del 16 dicembre si arrivò finalmente a un accordo tra i rappresentanti sindacali e la CarboSarda.

Tra i punti principali, la Carbosarda riconosceva ai minatori il 90% della paga-base maturata nel periodo di agitazione, mentre il 10% rimanente sarebbe andato per metà agli orfani dei minatori del Sulcis caduti sul lavoro e per l’altra metà alla Cooperativa di Consumo di Carbonia.

Erano previste, inoltre, forniture di materiali di lavoro per i minatori, interventi calmieratori dei prezzi presso gli spacci aziendali, la riassunzione dei minatori licenziati, seppure con mansioni diverse, la revoca delle multe comminate durante il periodo di non-collaborazione.

Attorno alla lunga agitazione dei minatori di Carbonia si sviluppò una vasta solidarietà da parte di tutta la città; attorno ad essi si mobilitarono anche i lavoratori dell’Iglesiente-Guspinese e di tutte le miniere della Sardegna, le popolazioni dei centri agricoli del Sulcis e dell’Oristanese.

Anche a livello nazionale si ebbero manifestazioni di solidarietà, tra queste l’UDI (Unione Donne Italiane), oltre a organizzare raccolte di fondi e di viveri da inviarsi a Carbonia, si fece carico di organizzare la partenza di decine di bambini provenienti dalle famiglie più disagiate che sarebbero stati ospiti presso altrettante famiglie di lavoratori in diverse regioni dell’Italia.

L’iniziativa dell’ospitalità familiare si svolse nell’inverno tra il 1948 e il 1949.

Nadia Spano ricorda: «Sul piazzale di Carbonia, di fronte alla Camera del lavoro dove si decideva giorno dopo giorno la prosecuzione della lotta, c’era ogni sera una folla immensa... C’era, implacabile, la fame: una fame che era entrata in ogni casa... La proposta quindi che arrivò nell’inverno tra il ’48 e il ’49 di inviare un centinaio di bambini di Carbonia a Torino e in Emilia ci riempì, a un tempo di gioia e di problemi. Quali domande accogliere? Chi scartare e per quali ragioni tra i figli dei 15000 minatori in lotta? Alla fine riuscimmo a compilare un elenco di 100 tra i casi più disperati; mancava, però, il denaro, dato che i biglietti di terza classe alla Tirrenia e sui treni dovevano pur essere pagati. Naturalmente... la provincia e la prefettura negarono qualsiasi aiuto e cercarono di ostacolarci... Non ricordo più chi mi diede quel suggerimento, ma, spinta dalla disperazione, perché la partenza sembrava ormai compromessa, chiesi di essere ricevuta da Einaudi, allora Presidente della Repubblica. Dopo aver ascoltato le condizioni di miseria dei bambini e le ragioni della nostra iniziativa, Einaudi ci promise la somma che ci mancava e dopo qualche tempo ricevetti l’assegno presidenziale.» (A. Minella, N. Spano, F. Terranova: Cari bambini, vi aspettiamo con gioia – Teti ,1980)


Nonostante queste vicende, il giacimento del Sulcis continuò a dare un apporto determinante alla ripresa economica e industriale italiana; per tutta la prima metà degli anni ’50 del XX secolo la produzione tornò a superare o ad avvicinare di molto il milione di tonnellate (massimo 1,086,697 tonnellate nel 1955), mentre la manodopera registrava, invece, un trend negativo costante: dalle 10,300 unità nel 1951 si passò alle 5,622 del 1956.

Nel biennio 1956-1957 avvennero tre eventi importanti che mutarono il quadro produttivo dell’area:

  • alla Carbosarda venne accordata per anni 60 la facoltà di coltivare le miniere di Seruci (D.A. n. 124 del 9 maggio 1956) e Cortoghiana Nuova (D.A. 132 del 22 maggio 1956);

  • l’A.Ca.I. cessò la sua attività il 28 febbraio 1957;

  • le miniere Piolanas Nord e Caput Acquas, già in fase di esaurimento dalla fine degli anni ’40, vennero rinunciate dalla Carbosarda (DD.AA. nn. 79 e 80 del 17 marzo 1957).


Ciò non bastò a evitare il sopraggiungere della crisi che cominciò a manifestarsi più acutamente a partire dal 1958, con una produzione inferiore a 700,000 tonnellate di carbone (-29.71% rispetto all’anno precedente) e una manodopera scesa abbondantemente sotto le 5,000 unità.

Abbandonata con la fine del fascismo la politica autarchica, ristabilite le normali regole di scambio e cessate le esigenze della ricostruzione italiana post-bellica, la perduta concorrenzialità del carbone del Sulcis, con tenori di zolfo troppo elevati e coltivato a elevate profondità, avviò l’intero settore verso una crisi che si rivelerà irreversibile, nonostante la nuova miniera di Seruci fosse stata progettata e gestita con metodi all’avanguardia, tanto da essere considerata una delle più moderne d’Europa, in cui si praticavano metodi di coltivazione a meccanizzazione integrale, consentiti dalla condizione tettonicamente meno complicata della zona mineralizzata, posta però a profondità molto maggiori di quelle delle altre miniere coltivate nell’area.

Intanto, mentre la produzione si era stabilizzata intorno alla 700,000 tonnellate e l’occupazione continuava nel trend di decrescita arrivando intorno alle 2,500 unità nel 1962, si profilava all’orizzonte la nazionalizzazione dell’energia elettrica, divenuta realtà con la legge 6 dicembre 1962 n. 1643 che istituiva l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL) in cui, come già ricordato nel § 2.1.2.3, confluirono le nuove concessioni attivate: Seruci e Cortoghiana Nuova, entrambe con D.A. n. 379 del 23 novembre 1965 e validità dal 27 novembre 1964.

Le altre ancora attive a quella data si avviarono rapidamente verso la chiusura:

  • Terras de Collu e Culmine, di cui fu accettata la rinuncia con D.A. n. 2 del 3 gennaio 1964;

  • Sirai, confinante con la concessione di Serbariu e assorbita da quest’ultima nelle sue espansioni;

  • Cortoghiana, già in fase di esaurimento nella parte alta del giacimento a inizio anni ’50, di cui fu accettata la rinuncia con D.A. n. 193 del 13 giugno 1969;

  • Bacu Abis, che cessò la produzione agli inizi degli anni ’60 e di cui fu accettata la rinuncia con D.A. n. 195 del 13 giugno 1969;

  • Serbariu, che cessò la produzione nel 1964 e di cui fu accettata la rinuncia con D.A. n. 89 del 23 aprile 1971.


La nazionalizzazione elettrica e il già citato Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna, approvato con legge n. 588 dell’11 giugno 1962, non riuscirono a rilanciare lo sviluppo del bacino minerario sardo come auspicato.

Come già sottolineato nel § 2.1.2.3, si aprì, anzi, un fronte di contrasto in relazione al passaggio delle miniere della Società Mineraria Carbonifera Sarda (S.M.C.S.) all’ENEL, che attraversò le stesse masse operaie: da un lato i sindacati, con in testa la CGIL, erano molto guardinghi perché ritenevano che le miniere di carbone sarebbero state chiuse se fossero passate all’ENEL, dall’altro i lavoratori erano molto eccitati dalla prospettiva di un passaggio all’ENEL che garantiva, comunque, un posto fisso e ben retribuito al di là delle sorti delle stesse miniere.

Le vicende successive dettero ragione a chi temeva il disimpegno minerario dell’ENEL, che indirizzò gli investimenti verso l'industria petrolchimica di base e l'utilizzo di combustibili più convenienti.

A ciò si aggiunse la grave crisi economica italiana ed europea che provocò la contrazione delle attività produttive, la caduta degli investimenti e un aumento della disoccupazione.

I minatori capirono che la sopravvivenza delle miniere dipendeva dall’utilizzo del carbone Sulcis nella nuova super centrale che l’ENEL aveva intenzione di costruire a Portovesme e iniziarono a mobilitarsi appoggiati dalle autorità politiche e sindacali a tutti i livelli e da tutti gli abitanti del Sulcis.

L’anno 1964 fu caratterizzato da numerose azioni di lotta e scioperi (fig. 4), a partire dall'occupazione dei pozzi di Seruci e Serbariu (febbraio-marzo), accompagnata da una manifestazione di 1200 minatori davanti al palazzo della regione a Cagliari il 2 marzo, per finire con il presidio di cantieri, pozzi e della super centrale, sfociato, il 12 ottobre, nella sfilata per le vie di Cagliari fino alla sede della Regione di oltre 600 rappresentanti dei lavoratori.

Il 28 ottobre il presidente della Repubblica firmò il DPR n. 1213 che stabilì il trasferimento, poi ratificato dalla Regione con il D.A. n. 379/1965 già citato, degli impianti minerari della Carbonsarda all’ENEL che, però, decise di non assorbire i 450 operai della miniera di Serbariu, inattivi da alcuni mesi per la chiusura degli impianti avvenuta prima dell’emanazione del DPR.

A marzo 1965 i lavoratori ripresero a scioperare e il 10 Aprile dello stesso anno i minatori di Serbariu, sostenuti dai sindacati, dalle popolazioni locali e dalle forze politiche isolane, iniziarono una marcia a piedi da Carbonia a Cagliari dove giunsero in giorno successivo.

Il 14 Aprile il consiglio di amministrazione dell’ENEL deliberò il passaggio di quasi tutti i dipendenti della Carbosarda compresi quelli di Serbariu.


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[7] Il Prof Giacomo Levi, presidente dell’ A.Ca.I. e direttore dell’ Istituto Politecnico di Milano, propose un Piano che prevedeva un intervento articolato su due livelli: sottoporre a gassificazione e distillazione 150,000 ton/anno di carbone minuto per ottenere concimi azotati per l’agricoltura sarda e nazionale; utilizzare 390,000 ton/anno di carbone minuto e scarto di laveria (slamm) per alimentare una centrale a bocca miniera capace di soddisfare i bisogni energetici delle miniere e dei relativi impianti.

Analogamente, il progetto presentato al CNR dal Professor Carta, già capo del Distretto minerario di Iglesias durante la 2a guerra mondiale e assessore all’Industria della Regione Sardegna nel 1949, si proponeva di sfruttare tutti i prodotti ottenibili dalla gassificazione del carbone del Sulcis. Il progetto fu promosso dal punto di vista tecnico-scientifico ma considerato all’epoca antieconomico.

Fig. 4 - Manifestazione dei minatori della Carbosarda a favore del passaggio all'ENEL

Dalla gestione ENEL alla chiusura nel XXI secolo

Le lotte continuarono per ottenere l'applicazione del contratto elettrico, che l'ente aveva già esteso ai minatori delle miniere di Santa Barbara a San Giovanni Valdarno, e il 6 maggio 1966 i minatori del Sulcis ottennero il tanto sospirato contratto che portò notevoli migliorie nelle loro condizioni di vita.

La costruzione della super centrale di Portovesme, costata 47 miliardi di lire, terminò con 2 unità da 243 MW: la prima entrò in funzione il 15 Aprile 1965 e la seconda il 6 maggio 1966; rimasero sulla carta il terzo gruppo generatore, installato solo nel 1986, e gli impianti di recupero dello zolfo e delle scorie di combustione, perché l’ENEL preferì utilizzare olio combustibile anziché il carbone.

La crescente richiesta di carboni esteri e di nuovi combustibili contribuirono a motivare il disinteresse dell’ENEL nei confronti dell'attività estrattiva, tanto che nel luglio 1972 presentò istanza di rinuncia per Seruci e Cortoghiana Nuova, cessando ogni attività produttiva (tab. 17).

Tuttavia, i minatori continuarono a battersi per evitare la chiusura definitiva degli impianti minerari e garantire il loro rilancio; in questa fase i lavoratori del Sulcis, appoggiati anche dalle altre industrie estrattive nazionali, chiesero che il Parlamento elaborasse un piano minerario nazionale, rilanciando l’idea della realizzazione di un impianto di gassificazione che, come era già stato sostenuto in passato (Piano Levi-Carta), avrebbe potuto determinare un vero rilancio dell'industria mineraria sarda.

Nel 1976 l'EGAM, Ente Nazionale per la Gestione delle Attività Minerarie, e l'EMSA, Ente Minerario Sardo, costituirono la Carbosulcis SpA con il fine di rilanciare l'attività di coltivazione e produzione del carbone sulcitano e di mantenere il livello occupazionale del Sulcis.

In questo quadro furono accettate, con D.A. n. 54 del 25 febbraio 1977, le rinunce dell’ENEL alle concessioni Seruci e Cortoghiana Nuova e il loro trasferimento alla Carbosulcis SpA, limitatamente alla manutenzione e alla custodia delle pertinenze per 6 mesi.

Inoltre, con D.A. del 12 agosto 1982 fu assegnata alla Carbosulcis per 30 anni la concessione Monte Sinni, che comprendeva i vecchi cantieri di Seruci e i nuovi di Nuraxi Figus, ancora in fase di allestimento all’epoca dell’acquisizione da parte dell’ENEL.

Il 27 giugno 1985 fu approvata la Legge n. 351 recante “Norme per la riattivazione del bacino carbonifero del Sulcis” che all’art. 5 autorizzava “L'ENI, l'ENEL e l'ENEA ... a costituire una società per azioni avente la finalità di sviluppare tecnologie innovative e avanzate nella utilizzazione del carbone (arricchimento, tecniche di combustione, liquefazione, gasificazione, carbochimica etc.) attraverso: a) la costituzione in Sardegna del centro di ricerca di cui all'articolo 1, lettera m), della legge 9 marzo 1985, n. 110 [8]; b) la progettazione e la realizzazione di impianti dimostrativi sulla innovazione tecnologica nella utilizzazione del carbone; c) la realizzazione di impianti industriali per l'utilizzazione del carbone in alternativa alla combustione”.

Il progetto Carbosulcis per la ripresa produttiva delle miniere, guidato dall'ENI che aveva rilevato le attività dell'EGAM, entrò così nella fase di realizzazione e, grazie agli stanziamenti pubblici in favore dell’attività estrattiva finalizzati a trovare un mercato al carbone del Sulcis, avviò una serie di opere e investimenti mirati a una produzione massiva, che però non vennero completamente sviluppati dal momento che anche l’ENI per ragioni di opportunità decise di abbandonare il settore minerario, concentrandosi su quello petrolifero e del gas.

Fallito sostanzialmente il progetto di rilancio del carbone sulcitano [9], in più circostanze la Carbosulcis fu messa in vendita senza successo, ma la prospettiva di una chiusura definitiva delle miniere portò a una nuova ondata di dure lotte sindacali dei minatori, con occupazioni e manifestazioni.

Fu così che nel 1995 la Regione Sardegna prese in carico direttamente la proprietà della Carbosulcis, con la finalità di guidarne la “transizione” verso la privatizzazione, senza peraltro ottenere risultati visto chi i vari bandi di gara internazionali pubblicati nel 2000, 2004 e 2006 andarono deserti.

Dal 2001 tutto il carbone prodotto dalla miniera venne utilizzato nella vicina centrale termoelettrica “Grazia Deledda” di Portovesme nelle quantità mostrate in tab. 3.

In questo quadro, la miniera si fece anche carico di gestire l’impianto di discarica autorizzato allo smaltimento dei rifiuti non pericolosi derivanti dal processo di combustione del carbone della stessa CTE.

Proseguivano, intanto, le iniziative volte a individuare una modalità sostenibile per lo sfruttamento minerario del bacino carbonifero del Sulcis.

Nel febbraio 2003 venne siglato un Protocollo di Intesa tra Ministero Attività Produttive e Regione Autonoma della Sardegna con il quale si commissionava alla Sotacarbo SpA uno studio di fattibilità per verificare le condizioni di validità del progetto della concessione integrata di cui al DPR 28/01/1994 (Attuazione del piano di disinquinamento del territorio del Sulcis Iglesiente), che aveva disposto l’affidamento di “una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e produzione di energia elettrica e cogenerazione di fluidi caldi mediante gassificazione” (art. 1, comma 1), al cui concessionario veniva assicurato l’acquisto di energia elettrica a prezzi fissati e con agevolazioni (art. 1, comma 2).

Nel Giugno 2004, la Sotacarbo concluse lo studio esprimendo una valutazione positiva sul progetto; tuttavia, la relativa gara di assegnazione indetta dalla Regione nel 2005, sulla base dei criteri previsti dalla Legge n.80 del 14/05/2005 che all’art. 14 riprendeva quanto stabilito dall’art.1 del DPR succitato, andò deserta.

Su questa gara e per le agevolazioni pubbliche previste, la Commissione Europea avviò una prima procedura di infrazione, la C36/2008, per la violazione della normativa comunitaria in materia di aiuti di stato, procedura che venne archiviata in seguito alla comunicazione del 30 settembre 2009 di sospensione della gara da parte del Governo italiano.

Nonostante le modifiche intervenute con Legge n. 99 del 23 luglio 2009 (art. 38), in cui si prevedeva l’assegnazione con gara internazionale di “una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta” entro il termine del 31 dicembre 2010, prorogato successivamente al 31 dicembre 2012, la Commissione Europea in data 21 novembre 2012 comunicava l’avvio di una nuova procedura d’indagine formale per aiuti di Stato.

Qualche mese prima, i minatori di Monte Sinni avevano dato luogo a una protesta eclatante: il 27 agosto in 40 erano scesi nelle gallerie della miniera a 400 metri di profondità, rimanendovi per una settimana.

Si battevano contro la chiusura programmata per il 31 dicembre 2012 e per l’applicazione della Legge 99.

Il 13 novembre, dopo mesi di scioperi e agitazioni sindacali, tra Governo e Regione Sardegna venne firmato un protocollo d’intesa per la definizione di obiettivi e condizioni generali di sviluppo e l’attuazione dei relativi programmi nel Sulcis Iglesiente, comprendente una sperimentazione sul progetto integrato miniera-centrale-cattura-stoccaggio CO2 previsto dalla Legge 99.

Ma la posizione della Commissione Europea era chiara: la condizione per la prosecuzione dell’attività della miniera dipendeva dal rispetto della Decisione del Consiglio UE n. 787 del 10 dicembre 2010, che autorizzava aiuti di stato alle miniere di carbone solo se finalizzati all’accompagnamento verso la chiusura, fissata al massimo al 30 dicembre 2018, e a misure di mitigazione sociale ed ambientale contenute nel “Piano di chiusura”.

Il Piano di chiusura, deliberato con DGR n. 53/75 del 20 dicembre 2013, approvato dalla Commissione europea e diventato pienamente operativo il 1° ottobre 2014, con L.R. n. 29 del 4 dicembre 2014, prevedeva un’articolazione in tre fasi:

  • nella prima fase proseguiranno le sole attività di coltivazione del pannello W3 e di manutenzione mineraria finalizzate al mantenimento in sicurezza dei cantieri del sottosuolo;

  • nella seconda fase che interessa il periodo compreso tra l’approvazione del piano e la fine del 2014 si completerà la coltivazione del pannello attualmente in esercizio con il metodo delle lunghe fronti e si riprenderà il tracciamento del nuovo pannello W7 che avrà dimensioni ridotte (80x500m);

  • nella terza fase che interessa il periodo 2015-2018 si prevede di tracciare e coltivare due pannelli (W7 e W8) di dimensioni ridotte con il metodo per fronti corte (Shortwall).

La miniera cessò l’attività di produzione il 31 dicembre 2018, mentre la concessione a favore della Carbosulcis rimane vigente fino al 31 dicembre 2026 per le attività connesse al progetto di messa in sicurezza e ripristino ambientale.

Dopo la cessazione dell’attività produttiva in miniera, la Carbosulcis, insieme a diversi Istituti universitari, si è impegnata a realizzare e supportare una serie di progetti innovativi nell’area:

  • la coltivazione dell’alga Spirulina (progetto Spirulina del Sulcis), in collaborazione col CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l'analisi dell'Economia Agraria) dell'Università di Cagliari, per l'utilizzo come superfood organico ad altissimo contenuto proteico e come fertilizzante, in un impianto sperimentale, inaugurato il 1° febbraio 2019.

  • La miniera può garantire un’ambiente ideale per tale coltivazione, grazie all'acqua di eduzione a una temperatura costante di poco meno di 40°C e all’uso di fotobioreattori in vetro borosilicato, che permette di garantire una maggior produttività e un maggior contenimento dei costi, non essendo necessario realizzare un sistema di serre;

  • la produzione di isotopi stabili (progetto ARIA), in particolare l’isotopo 40Ar d’interesse per i programmi di ricerca sulla materia oscura svolti presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso e studi pilota per la produzione degli isotopi 76Ge, 82Se e 136Xe, d’interesse per i programmi di ricerca sul neutrino svolti presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

Il progetto permetterà, anche, la sperimentazione e lo sviluppo della nuova tecnologia per la successiva produzione su larga scala di isotopi stabili arricchiti di interesse commerciale, quali 13C, 15N, e 18O.

L’impianto sarà il primo dimostrativo di questo tipo in Europa, e l’unico al mondo con questa tecnologia; la torre criogenica di distillazione di 350 m sarà installata nel Pozzo 1 di Seruci, mentre gli impianti saranno installati in parte in sottosuolo ed in parte in superficie;

  • un sistema di stoccaggio dell’energia (progetto Energy Storage), in collaborazione con vari dipartimenti della facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari, che prevede la realizzazione di un Sistema integrato, che cattura l’energia discontinua delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER), l’accumula in maniera efficiente, in forma elastica, cinetica e/o chimica, e la fornisce alle utenze energivore;

  • la lisciviazione del carbone (progetto Lisciviazione), di cui è stato depositato il Brevetto Internazionale n. 9763PTWO del 1° luglio 2009 “per la desolforazione di carbone di medio e basso rango”, da cui deriva un prodotto particolarmente interessante per l’utilizzo in campo agricolo come “attivatore”.

L’obiettivo primario è di attrarre l’interesse di potenziali investitori industriali al fine di entrare nel mercato dei prodotti fertilizzanti per la bioagronomia, di elevata prospettiva per il futuro.

  • la realizzazione di un laboratorio per lo stoccaggio dell’anidride carbonica (progetto Ulisse), ubicato a una profondità di circa 500 m rispetto al livello del suolo all’interno della miniera del Monte Sinni.

Nel laboratorio può essere condotta una vasta gamma di esperimenti, con applicazioni che variano da quelle specificatamente correlate allo stoccaggio di CO2 e al recupero di metano estratto da giacimenti di carbone (Enhanced Coal Bed Methane, ECBM), fino ai temi di interesse più generici come lo studio di migrazione di fluidi lungo le faglie, la stabilità delle zone di faglia, la sicurezza in miniera, e la comprensione della risposta geofisica delle rocce sottoposte a una naturale pressione litostatica, la geofisica in miniera, e perfino la fisica della materia sfruttando la schermatura dai raggi cosmici del sistema geologico nel sottosuolo.

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[8]Utilizzazione delle disponibilità residue sul Fondo investimenti e occupazione (FIO) nell'ambito del Fondo occorrente per far fronte ad oneri dipendenti da provvedimenti legislativi in corso per l'anno 1984”.

Nello specifico, per il centro di ricerca carbone del Sulcis erano stanziati 10 miliardi.


[9] Nel periodo 1976-1996 tra produzione e sospensione dell’attività furono estratte circa 385,000 tonnellate (fonte Calendario Atlante De Agostini dei vari anni, un terzo della produzione annuale dei tempi d’oro di Serbariu.

Tab. 1 - Produzione di carbone del Sulcis 1861-1975 (Fonte ISTAT)

Tab. 2 - Produzione di carbone di Monte Sinni inviato alla CTE Grazia Deledda (fonti: Dichiarazione ambientale Carbosulcis anni 2008 e seguenti; PEAR Sardegna – DGR n. 5/1 28/01/2016) e manodopera (fonte: Carbosulcis)

Tab. 3 - Manodopera nelle miniere di carbone del Sulcis

(fonti: A.Ca.I. fino al 1942, Vacca (1985) dal 1943)