Quintino Sella in Sardegna  (4-27 maggio 1869)

Il libro di Eugenio Marchese


Il 22 giugno 1868, durante la X legislatura del Regno d’Italia, viene costituita la Commissione d'inchiesta parlamentare sopra le condizioni morali, economiche e finanziarie della Sardegna con Presidente Agostino Depretis, Segretario Mauro Macchi e componenti Quintino Sella, Filippo Cordova, Nicolò Ferracciu, Federico Giovanni Pescetto, Cesare Valerio, Giovanni Battista Tenani e Paolo Mantegazza.

Una parte importante dei lavori della Commissione è dedicata alle Condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, di cui è indicato come relatore l’onorevole e ingegnere minerario Quintino Sella.

Nel febbraio del 1869 i membri della Commissione fanno un viaggio di ispezione in Sardegna, per esaminare da vicino le reali condizioni dell’isola e intervistare direttamente gli amministratori locali, gli imprenditori, gli allevatori e gli agricoltori.

Naturalmente, una parte importante del viaggio è dedicata alla visita alle miniere, settore di cui è responsabile Quintino Sella, non solo eminente politico ma, nello specifico, soprattutto ingegnere minerario e già docente universitario della materia. Purtroppo un improvviso lutto familiare lo costringerà presto a rientrare a Biella.

Tornerà il 4 maggio per completare quel viaggio ispettivo, che durerà fino al 27 maggio e in cui avrà come guida Eugenio Marchese, suo ex studente, collega e amico.

Nato nel 1837, 10 anni dopo il Sella, ne è come un gemello sfalsato nel tempo: stessi studi liceali e universitari, stessa specializzazione in Ingegneria mineraria presso l’Ecole de mines di Parigi e stesse esperienze in Germania; agli inizi della carriera, entrambi Ispettori del Corpo delle Miniere, anche se il Marchese sarà sempre soprattutto ingegnere minerario, mentre il Sella, come noto, sarà tante cose, ma non smetterà mai di amare i minerali; infine, moriranno entrambi a 57 anni per le conseguenze delle febbri malariche contratte in Sardegna, certamente dal Marchese, che ha vissuto nell’isola quasi tutta la sua vita da ingegnere, probabilmente dal Sella in quello stesso viaggio.

D’altronde, la malaria sarà, dopo i due viaggiatori e la Sardegna, la quarta protagonista del viaggio, presente in quasi tutte le considerazioni del Marchese.

Ne bastino due: «Pel viaggiatore, dopo il cavallo, un buon mantello e un pizzico di chinino. La malaria esiste in Sardegna... Il mantello è... una necessità, e non v'ha sardo che viaggi a cavallo, che non abbia il suo buon cappotto d'orbaccio, legato alla groppa della sua giumenta. E siccome un colpo d'aria, un raffreddore, una indisposizione leggiera danno adito all’azione dell'esistente malaria, così il mantello usato a tempo debito, risparmierà al viaggiatore che avrà saviamente prevenuto, il bisogno di reprimere con il chinino.»

«Tutte le miniere sarde furono nei primi tempi la tomba dei minatori. Le più importanti, e più popolate, hanno oramai all'incirca soggiogato la malaria. La prima delle miniere sarde che sia stata riaperta... dopo il 1848 fu la grande miniera di Montevecchio... Il primo ingegnere che vi fu mandato... fu... Giulio Keller..., ungherese,... Egli aveva fatto venire dalla Stiria dodici minatori ed un capo minatore... domandai un giorno al Keller che cosa avesse fatto dei dodici minatori. La risposta fu semplice quanto inaspettata: “undici sono morti di febbre; il dodicesimo saltò in aria per lo scoppio di un barile di polvere, che egli in mancanza di polveriera, custodiva sotto il letto!” Il Keller stesso aveva sostenuta quanta febbre un uomo può sopportare; e la sua fibra robusta aveva avuta la vittoria.»

Concludendo, d’accordo con il Sella: «La malaria non si vince che popolando. Essa ha regnato per secoli regina ove ora sorgono le più vitali popolazioni dell’America.»

Il libro non è un diario scritto in presa diretta di quel viaggio, ma raccoglie venti anni dopo, nel 1889, i ricordi ancora vividi del Marchese, anche se il volume sarà pubblicato solo nel 1893 (figg. 1, 2), un anno prima della sua morte.

Nel primo capitolo Eugenio spiega il perché ha sentito il bisogno dopo tanto tempo di lasciare una testimonianza scritta e di prima mano su quel viaggio.

La prima ragione sta nel cercare di descrivere “la bella persona” di Quintino Sella, al di fuori dei canoni ufficiali, che Marchese giudica superficiali: «...L’eminenza di Quintino Sella sta..., a mio avviso, nel suo carattere. Carattere il cui sugello è un altissimo sentimento di moralità. Da questo sentimento derivò quell’operosità instancabile, la quale congiunta allo eletto ingegno sortito dalla natura, rese facile al Sella lo elevarsi ai sommi gradi di qualunque uffizio. Dotato di largo censo, incamminato dai giovani anni sul sentiero inebbriante di una splendida carriera scientifica, senza quell'alto senso di moralità, egli avrebbe potuto divenire un filosofo, un sibarita, e vivere incensato nell'Olimpo della scienza. Mentre invece il profondo sentimento del dovere, nelle necessità supreme che angustiavano la Patria, lo avvinse, suo malgrado, all'operosità politica, per la quale egli non risparmiò i più aspri travagli materiali e morali, per la quale egli affrontò impavido, non con gioia, bensì con spirito di sacrifizio, la impopolarità, le amarezze, l'avvelenamento materiale del corpo, che tanto prematuramente lo condussero alla tomba...  L'aver avuto la bella occasione di fare col Sella... quel viaggio minerario per l’intera Sardegna, in contrade pittoresche e quasi deserte, lontane affatto dai rumori della politica, avente per iscopo principale la geologia e la mineralogia, mi pare possa darmi occasione, nel suscitarne il ricordo, non solo di pagare un tributo di gratitudine e di affetto al compianto ingegnere e uomo di Stato, ma di invogliare il lettore a studiare, all'infuori delle nubi politiche, quell'aureo carattere.»

La seconda ragione è parlare (bene) della Sardegna che «è una parte importantissima del suolo d'Italia; ma è all’incirca una semplice espressione geografica nella mente dell'immensa maggioranza degli italiani. È cosa dolorosa, ma naturale; giacché gli italiani la conoscono pochissimo. L’aver pertanto occasione di scrivere di questa isola, che... è ancora fra le più interessanti per ogni genere di studiosi, mi pare il compimento di un’opera buona d’italiano... Viaggiando modestamente con noi, nella nostra Sardegna, in mezzo al piccolo Mediterraneo, il lettore troverà, io spero, aspetti non previsti del grande ministro, e dell'isola dimenticata: aspetti che essendo più seducenti di quanto egli potesse supporre, non possono non tornar grati e di conforto ad ogni anima bennata.»

Una cosa che emerge da subito nella lettura, e che la rende assai piacevole, è il tono ironico, scherzoso, quasi goliardico del continuo confronto tra i due.

Si tratta di due tra le menti italiane più elevate dell’epoca: uno, il Sella, già Ministro delle Finanze iconico e fondatore del Club Alpino Italiano, futuro Presidente dell’Accademia dei Lincei; l’altro, grande Ingegnere minerario che, come Dirigente del Corpo delle Miniere in Sardegna prima, direttore e proprietario di miniere dopo, svolgerà un ruolo importante nella società sarda, che rappresenterà anche in Parlamento, essendo stato eletto per il Collegio di Iglesias nella XIII legislatura (1876-1880).

Ma sono, soprattutto, due amici che intraprendono un viaggio avventuroso, battibeccano, si prendono in giro, discutono di letteratura, musica e filosofia.

Marchese prende bonariamente in giro Sella quando ricorda la sua mania di alzarsi alle quattro di mattina e venire a sussurargli all’orecchio «Sicché?» e aggiungendo un “rodotilla” che «aveva sul mio timpano e sul mio cervello lo stesso effetto di una di quelle persistenti, spietate, annichilenti suonerie di svegliarino, contro le quali ogni ribellione diventa impossibile. Non era che uno degli infiniti epiteti di Omero che mi era... innocentemente scappato di bocca... un bel mattino nell’aprire gli occhi fra l’uno e l’altro sicché del maestro...», ma poi si vendica raccontando come all’inizio della cena offerta dai maggiorenti di Nuoro «... Fosse per questo o per altro motivo, il fatto sta che era appena spuntato il sole di quel pranzo, sotto forma di un gran piatto di trote del Flumendosa, quando il povero Sella già era solidamente addormentato sulla seggiola. Che fare?

Se la cena fosse stata ad una miniera, dove io, come ingegnere di miniere, ero a tutti collega e amico... avrei immediatamente fatto sparare sotto le finestre un certo numero di petardi, annunziando, col bicchiere alla mano, al Ministro che quello era il solo concerto musicale che un popolo di minatori potesse offrire durante la cena al capo dei minatori italiani. Ma qua io ero nulla. E mi limitai a fare

come gli altri che guardarono il povero Sella e poi se stessi, finché il giovane Sottoprefetto preso il coraggio a due mani ordinò in senso inverso il miracolo di Giosuè, facendo immediatamente seguire allo spuntar delle trote l'occaso del dessert... Non fu questa la sola volta che il sonno colse il Sella durante la cena. Ma questa volta egli non potè trattenersi dal sorridere, mentre ci scambiavamo la buona notte prima d’andare a dormire per davvero, e dall’aggiungere a conclusione dell'avvenuto: “Già, veramente non era nel programma”.»

Nel precedente aneddoto il Marchese cita Omero, suo riferimento letterario, mentre il Sella, è affascinato da Orazio e Dante. I battibecchi letterari e filosofici e le relative citazioni, soprattutto della Commedia, punteggiano il viaggio.

Paradossalmente si parla poco di miniere che sono la ragione prima del viaggio, ma non quella del racconto di Marchese. Vengono semplicemente citate, senza grandi approfondimenti, le miniere visitate: l’antica miniera di Montenovo, poi Gennamari e Ingurtosu, Montevecchio, Argentiera della Nurra, Correboi, le miniere del Sarrabus; non quelle di Iglesias, già visitate dal Sella nella primo viaggio in Sardegna alcuni mesi prima.

Quello che interessa i due, fuori degli impegni professionali, è l’ambiente in cui viaggiano: la geologia in grande scala, con i massicci calcarei a SO, quelli granitici a NE, i vulcani e le colate basaltiche del Sassarese, le metamorfiti a SE e in mezzo la grade pianura del Campidano da Cagliari ad Oristano; l’ambiente naturale praticamente selvaggio; i resti nuragici; le improbabili carrozze messe a disposizione per i tratti meno impervi; i cavalli sardi, piccoli e nervosi, ma agili, e i loro straordinari cavalieri, che se uno si chiede perché i grandi fantini del Palio di Siena siano tutti sardi, eccola la risposta!

Fig. 1 - Copertura del libro di Eugenio Marchese

Fig. 2 - Indice del libro di Eugenio Marchese

Quello che entrambi non riescono ad accettare è perché una terra così ricca di minerali, foreste, acqua sia così deserta; e la sottopopolazione è per loro la causa della diffusione della malaria, da un lato, dall’altro della mancanza di una forte struttura imprenditoriale.

All’arrivo a Lanusei, alla fine della terzultima tappa, Marchese trova la moglie e il fratello Maurizio, arrivati a Tortolì in nave da Cagliari, per informarlo che la sua presenza è richiesta  nella stessa Lanusei per una riunione relativa a certe ricerche minerarie in programma.

Così Eugenio e la moglie rimangono a Lanusei, lasciando Maurizio a fare da guida a Quintino.

Nel corso del viaggio Quintino aveva già raccontato del suo amore per la musica e di essere un suonatore di melofono, uno strumento a fiato che si usa nelle bande per le marce; Maurizio è, invece, un appassionato di opera.

Detto fatto! Durante l’ultima tappa, superato il Passo dei Sette Fratelli, per alleviare la noia dell’ultimo tratto nella pianura del Campidano di Cagliari, i due si sfidano a «Quale dei due potesse provare di conoscere il maggior numero di motivi musicali dell'opera Norma, libretto di Felice Romani, musica del maestro Vincenzo Bellini... L'uno dei duellanti in questa singolare tenzone modulava ad alta voce il suo motivo.., sino a spiegarlo completamente. L'altro seguiva con un motivo diverso; spiegato il quale, subentrava il primo mettendone fuori un terzo, e così di seguito. Finché si fu sul principio, furon tratti in campo gli uomini; ma quando si cominciò ad essere alle strette, vennero in campo le donne. Il Maurizio raccontava che avrebbe voluto trovarsi nella guida sarda che li accompagnava, per assistere qual spettatore a questa strana tenzone, quando, da un momento all'altro, pur di non perdere la scommessa, o Quintino o lui, dovevano trasformarsi in Norma o in Adalgisa, o in coro di uomini o di donne.»

Questo per dire dell’atmosfera rilassata di quel viaggio e della disponibiltà del Sella ad entrare immediatamente in sintonia con una nuova conoscenza.

Arrivati finalmente a Cagliari, Sella e Marchese si riuniscono scambiandosi alcune battute scherzose e, all’accusa del Sella di averlo abbandonato nelle ultime due tappe, Marchese risponde di essere contento di averlo fatto «Perché potrai dire, colla certezza di non errare, che mai nessun uomo ha fatto in diciotto giorni tanto giro in Sardegna, quanto tu ne hai

fatto in questa circostanza.»

Nella sua conclusione, il Marchese ribadisce che nello scrivere questi ricordi, alla voglia di raccontare il carattere di un grande italiano si è accoppiato «il sentimento di gratitudine ed affezione pel maestro e per l’amico; come al mio vivo desiderio di veder sorgere la Sardegna a valido baluardo d'Italia nel Mediterraneo, si univa il grato ricordo dei giovani anni passati a percorrere le sue belle miniere, le sue solitarie foreste; ad impararne i suoi graziosi dialetti, ad ammirarne i suoi primitivi costumi.»

Il viaggio 

         [1]


Con partenza da e arrivo a Cagliari, il percorso (fig. 3, file kmz) si sviluppa prevalentemente a poca distanza dalla costa, con l’eccezione della costa nord-orientale povera di miniere (Gallura e Baronie), dove il tracciato costeggia a sud le pendici del Monte Limbara (Tempio-Ozieri) e quelle del Monte Albo (Ozieri-Bitti-Lula-Nuoro).

Prima di partire, tuttavia, il Sella chiede di fermarsi qualche giorno a Cagliari, poiché nella locale biblioteca «... egli aveva allora scoperto un antico codice di regolamenti doganali delle isole Baleari, ed egli, perito anche in paleografia, si era proposto di farne l'intera traslazione, e vi lavorava attorno giorno e notte prima che s’imprendesse la nostra escursione.»

D’altronde, per il Sella, che era già stato e sarà Ministro delle Finanze, si trattava, in qualche modo, di dovere professionale!

Quegli stessi giorni serviranno al Marchese, che avrebbe voluto andare alla ventura, a programmare meticolosamente le tappe del viaggio, secondo le inderogabili richieste del Sella: «Tu conosci la Sardegna, e devi prevedere il prevedibile. Giù il programma. Ad effettuarlo ci saremo noi.

Non ci fu verso: ed io dovetti scrivere, lì per lì, l’itinerario per la gita intera, e valendomi della molta conoscenza che avevo dell'isola cercai di approssimarmi al possibile. Questo programma comprendeva Iglesias [in realtà Domus Novas, NdR], Flumini Maggiore, Montevecchio, Oristano, Sassari, la Nurra, la Gallura, il Monte Limbara, Ozieri, Correboi, il Monte Gennargentu, Lanusei, Tertenìa, il Sarrabus e il passo dei Sette Fratelli sino a Cagliari. Sommati i giorni, il numero totale fu di diciotto!»

Completata la traduzione, il viaggio può partire nel rispetto delle seguenti 18 tappe giornaliere sotto elencate, ricostruite secondo le indicazioni ricavabili dai ricordi del Marchese e che non sempre corrispondono con l'articolazione dei capitoli del testo (fig. 2).

Con i limiti è le approssimazioni indicate in [2], durante il viaggio sono stati percorsi circa 887 km, di cui 742 a cavallo e 145 in carrozza (o omnibus [3]).


Di seguito la lista delle 18 tappe, con l'indicazione dei capitoli che le descrivono e della lunghezza.

Fig. 3 - Le 18 tratte del viaggio di Quintino sella in Sardegna

[1] Per la descrizione completa del viaggio si rimanda al libro di Eugenio Marchese, pubblicato nel 1893 e ripubblicato nel 1993 in copia anastatica da Edizioni Della Torre (fig. 1). Per una sintesi in formato pdf, articolata nei 18 giorni del viaggio,  si rimanda, invece, al seguente link.


[2] Nel testo del Marchese per le varie tappe sono segnalati, e non sempre chiaramente, i punti di partenza e di arrivo, più alcuni riferimenti topografici intermedi; non esistono, invece, mappe dettagliate del percorso.

Sulla base di queste informazioni, tenendo conto dell’attuale rete stradale e dei sentieri, sono stati ricostruiti i probabili percorsi giornalieri. Di conseguenza, il valore dei chilometri percorsi va inteso semplicemente come ordine di grandezza.


[3] Una sorta di diligenza stile western.