Musealizzazione e valorizzazione

A partire dal secondo dopoguerra la struttura produttiva italiana è stata oggetto di significative trasformazioni, con lo sviluppo di alcuni settori e la contrazione di altri: in particolare si è assistito all’affermarsi di un’industria della trasformazione (chimica, manifatturiera, …) accompagnato da un progressivo esaurirsi dell’industria mineraria delle materie prime. Quest’ultima, spesso insediata in territori geograficamente marginali, ha subìto un sostanziale abbandono conclusosi, almeno per quanto riguarda le grandi miniere in sotterraneo di minerali metallici, a cavallo degli anni ’70-’80 del secolo scorso.

Con la chiusura delle miniere, nei territori interessati è venuto meno non solo l’aspetto economico, ma anche una storia produttiva che, in Italia, ha attraversato senza soluzione di continuità i millenni e segnato, dall'antichità fino alla contemporaneità, le trasformazioni sociali e culturali delle popolazioni interessate.

Le miniere sono state, e inevitabilmente continuano ad essere, parti costitutive dell'identità e della storia nazionale: miniere antiche e moderne, impianti e architetture della produzione, insediamenti umani e paesaggi che conservano le tracce della lavorazione dei metalli, tutto ciò racchiude un valore storico e sociale, costituendo un patrimonio culturale da valorizzare.

A causa della sua struttura geologica e geografica, l’Italia non è stata, tuttavia, caratterizzata dalla presenza di grandi distretti minerari “monotematici”.

A parte la Sicilia, con le sue miniere di zolfo, e la Sardegna, particolarmente orientata alle miniere di piombo e zinco ma non con lo stesso grado di concentrazione, nel resto del territorio italiano l’attività mineraria è stata assai diversificata tra regione e regione (vedi tab. 1 in Sintesi dei risultati), e spesso all’interno di una stessa regione, oltre ad essere caratterizzata complessivamente da piccole concessioni: quelle con estensione maggiore di 500 ettari sono solo 236, il 9.71% dei siti censiti di cui è conosciuto il dato.

A ciò va aggiunta una considerazione che riguarda i concessionari in essere al momento della cessazione dell’attività dei vari siti: sono 1513 su 2995 siti [1], per una media di 1.980 siti per concessionario e indice di concentrazione molto basso pur essendo “drogato” dal numero di concessioni nel portafoglio di aziende statali, parastatali o regionali (Ente Minerario Siciliano, IGEA, Ferromin, A.M.M.I., SAMIM) spesso al solo scopo di gestirne la chiusura (fig. 1).

Se, infine, si considera che l’articolazione dei concessionari a livello regionale è quasi perfettamente “giustapposta” [2] si ricava una fotografia dell’attività mineraria caratterizzata da una valenza specificatamente locale e di stampo artigianale.

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[1] Di 22 siti non è stato individuato il concessionario

[2] Dei 1513 concessionari, sono solo 62, pari al 4.10%, quelli con siti in regioni diverse (max Montecatini e Italcementi presenti in 13 regioni). Per questi siti si calcola una media di 2.90 regioni a concessionario.

In questo quadro così differenziato, la valorizzazione del patrimonio minerario nazionale richiede interventi altrettanto articolati, che andrebbero, però, inseriti in una cornice legislativa nazionale finalizzata a definire approfonditamente tale patrimonio archeo-minerario, catalogarne gli elementi costitutivi, analizzarne i profili di interesse culturale.

Pur in mancanza di un tale indirizzo legislativo di livello nazionale, sono state, comunque, numerose le iniziative  sviluppatesi a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso in molte zone d’Italia [3] (Piemonte, Lombardia, Toscana, Sardegna, Marche, Sicilia) con l’obiettivo di mantenere viva la memoria del lavoro minerario, prefigurando possibili scenari di recupero e di valorizzazione di tipo culturale, che si sono sviluppati avendo come riferimento una pluralità di modelli, sia organizzativi che gestionali, che vanno dalle semplici associazioni culturali, alle società per azioni, ai consorzi di Enti regionali e/o provinciali, fino ai seguenti parchi minerari istituiti con decreti nazionali nei prima anni del nuovo secolo:


Solo con il D. Lgs n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) i siti minerari d’interesse storico ed etnoantropologico hanno acquisito il carattere di beni culturali da tutelare: un riconoscimento dovuto ma tardivo, quando già da anni erano stati aperti al pubblico musei e parchi minerari e dopo che, in assenza di vincoli, molte testimonianze d’interesse storico-minerario e archeologico erano andate irrimediabilmente perdute.

E insufficiente, poiché la mancanza di un quadro conoscitivo organico di questo specifico settore ha fatto sì che, a distanza di molti anni dal decreto, siano ancora molto pochi i beni e i siti effettivamente vincolati.

Per superare lo stallo legislativo e definire “dal basso”, se così si può dire, un quadro d’intervento unitario su scala nazionale, pur nel rispetto delle diversità e specificità locali, in data 2 ottobre 2015, nel corso dell’Expo 2015 a Milano, è stato sottoscritto un Protocollo d’Intesa “finalizzato alla realizzazione di un sistema di rapporti tra ISPRA ed i parchi e musei geominerari distribuiti sul territorio nazionale in modo da favorire la creazione di una Rete Nazionale dei Parchi e Musei Minerari Italiani, al fine di avviare proposte di rafforzamento dell'impianto normativo a sostegno del settore, come già auspicato e proposto nelle suddette pubblicazioni ISPRA”.

In fig. 2 è riportata la distribuzione dei siti musealizzati aderenti alla rete ReMi, come ricavata dal sito ISPRA aggiornato al dicembre 2022. 

Nel database del censimento ISPRA risultano 208 siti musealizzati o in progetto, di cui 104 aderenti a ReMi [4], 66 con musealizzazione in atto, 38 con musealizzazione in progetto, articolati per province come mostrato in fig. 3 e per regioni come in tab. 1.

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[3] In alcune di queste regioni si è anche legiferato in materia (vedi Legislazione mineraria regionale).

Per ulteriori approfondimenti: Parchi e musei minerari in Italia, lo stato dell'arte.

[4] La differenza con il numero di aderenti a ReMi è dovuto al fatto che questi (Enti, associazioni o altro) possono rappresentare più siti.

Fig. 1 - Curva siti vs. concessionari ordinati in ordine crescente del numero dei siti concessionati

Fig. 2 - Parchi e Musei minerari aderenti a ReMi (dicembre 2022)

Fig. 3 - Siti musealizzati non aderenti alla rete ReMi: in atto (a), in progetto (b)

Tab. 1 - Articolazione a livello regionale dei siti minerali musealizzati