Lotta partigiana in Liguria

5 dicembre 1944: scontro a fuoco tra gli alpini della Divisione  Monterosa e partigiani della Divisione Coduri nei pressi della miniera di Libiola

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cui seguì l’occupazione militare tedesca, le miniere di Libiola furono controllate direttamente dai soldati tedeschi, coadiuvati dalle truppe fasciste della Repubblica Sociale Italiana, tra cui un posto importate occupava la Divisione alpina Monterosa.

Nonostante ciò,  l'attività partigiana della zona fu sempre forte: nelle gallerie minerarie vennero spesso nascosti gli alpini disertori dalla Divisione Monterosa, non mancarono atti di sabotaggio operati dai partigiani, aiutati e protetti dagli abitanti del borgo, tanto che in più di un’occasione il paese di Libiola rischiò di essere bruciato per rappresaglia.

In questo quadro s'inserisce l'episodio dello scontro a fuoco tra un plotone di alpini e un gruppetto di partigiani sotto la guida di Rodolfo Zelasco, il partigiano bergamasco "Barba" (fig. 1), egli stesso ex alpino della Monterosa passato alla Resistenza nella Divisione garibaldina Arcuri. 

Il 5 dicembre 1944, questo gruppo di 5 o 6 partigiani scendeva lungo il sentiero delle miniere di Libiola, nei pressi della frazione Montedomenico del Comune di Sestri Levante.

Giunti al torrente Gromolo, mentre lo attraversavano sulla passerella pedonale, furono oggetto de colpi di arma da fuoco del gruppo degli alpini che, avendo individuato precedentemente i partigiani, si erano appostati in agguato dietro alcuni casoni ad uso agricolo.

Nonostante la predominanza numerica e di armamento - le testimonianze concordano nel ricordare la presenza di fucili mitragliatori e  di una mitragliatrice - fu colpito il solo Zelasco che, rimasto ferito gravemente a una gamba, riuscì comunque a fare un fuoco di copertura che consenti ai suoi compagni di porsi al riparo.

Riguardo alla sua morte, le testimonianze divergono tra chi afferma che si uccise con l'ultimo colpo rimasto in canna, per non cadere prigioniero degli alpini che, come disertore, l'avrebbero sicuramente ucciso non prima di averlo torturato, e chi ritiene che la morte avvenne per un colpo di grazia ordinato dal comandante del plotone degli alpini.

Che un colpo di grazia ci fu, prima o dopo la morte del Zelasco, su questo concordano tutte le testimonianze.

In questo quadro si inserisce anche la morte dell'altro sfortunato protagonista dell'episodio, il caporalmaggiore degli alpini Giampiero Civati.

Anche la modalità della morte di Civati sono oggetto di testimonianze contrastanti: secondo alcuni morì nello scontro a fuoco colpito alla gola da una pallottola di rimbalzo un sasso, per altri, invece, fu ucciso dal comandante del reparto di alpini per essersi rifiutato di dare il “colpo di grazia” al morente Zelasco.

Fig. 1 - Rodolfo Zelasco, partigiano "Barba" (1924-1944)