Lotte sindacali

in Puglia

San Giovanni Rotondo: le lotte dei minatori nel 2° dopoguerra

Negli anni ’50, ottenuta l’abolizione dei dazi doganali sulla bauxite, la Montecatini ne aumentò l’importazione e avviò la stagione dei licenziamenti.

Il piano della Montecatini prevedeva il sostegno al prepensionamento dei minatori sopra i 55 anni che potevano beneficiare della legge 3 gennaio 1960, n. 5, assieme ad una corposa buona uscita di 200,000 lire.

Furono anni di aspre lotte sindacali, soprattutto da parte della Cgil, che a partire dagli anni ’50 misero in primo piano, oltre ai bisogni economici, i problemi della sicurezza e dell’ambiente di lavoro.

Fu riproposto il progetto di un impianto per la produzione di alluminio, cui la Montecatini rispose a muso duro affermando che «... il giacimento di San Giovanni Rotondo ha una consistenza di 2 milioni di tonnellate, talmente modesta, quindi, che non solo impedisce un’utilizzazione in loco della bauxite estratta, ma consiglia addirittura una riduzione della produzione annua onde avviare il giacimento stesso a rapido esaurimento. La bauxite estratta non è di buona qualità a causa del basso tenore di allumina che la medesima contiene.

A ciò si aggiunge che la presenza nel giacimento di consistenti strati calcarei influisce in senso negativo sulla qualità del minerale, che non è pertanto in grado di reggere la concorrenza non solo della bauxite jugoslava o di quella greca, ma nemmeno della bauxite indiana e australiana»[1].

Nel 1964 la direzione della Montecatini modificò i compiti di alcuni lavoratori, spostandone alcuni da mansioni esterne (officina, manutenzione impianti, carico e scarico) a mansioni interne (attività di estrazione) e viceversa, creando destabilizzazione tra gli operai.

Dopo la fusione del 1966 della Montecatini con la Edison, la nuova Montecatini Edison iniziò nel 1967 la costruzione di un nuovo impianto per la produzione di alluminio a San Paolo del Brasile utilizzando le bauxiti locali.

Si trattava del segnale definitivo di abbandono di ogni intenzione di sviluppo della miniera garganica, che si concretizzò attraverso un piano di riduzione graduale dell’organico fino alla chiusura della miniera prevista entro i 4-5 anni.

Le possibilità per i minatori in esubero erano due: accettare il trasferimento in altre miniere o licenziarsi.

Fig. 1 - Febbraio 1973: 31 minatori occupano la miniera di San Giovanni Rotondo

Nel 1973 la Montecatini Edison rinunciò alla concessione mineraria, annunciando il 6 febbraio la chiusura delle attività per il 17 dello stesso mese.

Il 7 febbraio, 31 dei 70 minatori ancora attivi occuparono la miniera (fig. 1), provando a sensibilizzare il governo locale e nazionale contro la chiusura e chiedendo l’affidamento della miniera all’EGAM fino all’esaurimento del giacimento, che secondo la Montecatini Edison era comunque ridotto ad alcune decine di migliaia di tonnellate.

L’occupazione della miniera durò 9 giorni, fino a quando l’intervento del ministro dell’industria Ferri e del sottosegretario ai lavori pubblici Russo determinò la revoca del provvedimento di chiusura.

Fu una mossa tattica, i minatori furono trasferiti nelle fabbriche del Nord e con DM del 14 dicembre 1973 la rinuncia della Montecatini Edison alla miniera fu accettata.

Finiva così l’avventura di una delle maggiori miniere autarchiche italiane.

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[1] Società Montecatini - Milano, 4 gennaio 1963.