Salgemma in Toscana

Inquadramento geologico e giacimentologico


Nell’arco temporale considerato le coltivazioni di salgemma in Toscana sono distribuite a livello comunale come mostrato in fig. 1.

Pur se in numero esiguo, solo 7 concessioni, esse si caratterizzano per la continuità della loro attività, che per le più antiche (Salina di Volterra, Buriano e Ponteginori) risale almeno ai primi anni del XX secolo, per quanto riguarda le concessioni riconosciute ufficialmente.

Queste stesse concessioni, inoltre, risultano ancora di carattere perpetuo.

Anche concessioni più recenti (Cecina e Poppiano), risalenti alla metà del XX secolo, mantengono una prospettiva di attività ancora molto lunga (fino al 2036).

Solo le concessioni attivate nella seconda metà del XX secolo (Doccini e Casanova) sono state rinunciate (Doccini nel 2003) o cessate (Casanova nel 2018) anche se, in quest'ultimo caso, è stata presentata istanza di rinnovo però non completata.


I giacimenti salini, localizzati a SO di Volterra tra gli abitati di Montecatini Val di Cecina, Buriano, Saline di Volterra e le colline immediatamente a S del fiume Cecina, sono costituiti da banchi di salgemma compresi nella serie gessoso-solfifera messiniana (6 Ma ca.), costituita da alternanze irregolari di sabbie, marne e argille con intercalazioni di gessi.

Lo spessore della formazione salina, depositatasi durante la “crisi di salinità" (Regione Sicilia) seguita alla chiusura dello Stretto di Gibilterra con conseguente interruzione degli scambi tra Oceano Atlantico e Mediterraneo, varia tra 200 e 500 metri, articolata in banchi salini principali, generalmente in numero di 2 o 3, con forma lenticolare ad asse allungato in direzione appenninica.

Le dimensioni di tali lenti possono raggiungere il chilometro in lunghezza, centinaia di metri in larghezza e spessori dai 15 ai 30 metri.

Lo spessore di sedimenti argillosi che separa le varie lenti oscilla attorno ai 30 metri, ma è estremamente variabile a causa delle numerose digitazioni di sale nelle argille e viceversa.

La formazione salina, interessata da una tettonica distensiva che ha determinato una serie di sollevamenti e sprofondamenti, è inserita in una struttura sollevata, con asse pressoché parallelo al corso del fiume Cecina, che immerge rapidamente verso N e NE sino alla profondità di oltre 1,000 metri; in direzione OSO, invece, i terreni neogenici si immergono con inclinazioni minori, di modo che i livelli mineralizzati si trovano a profondità medie di circa 200 metri.

Le lenti saline coltivate si trovano in prossimità di Ponte Ginori, Buriano, Saline di Volterra e Querceto, a profondità comprese tra 100 e 200 metri.


Fig. 1 - Distribuzione territoriale a livello comunale delle miniere di salgemma in Toscana

Cenni storici

Probabilmente le moie, sorgenti di acqua salata che affioravano nel territorio ai piedi del colle di Volterra, sono state sfruttate sin dai tempi degli etruschi.

Una delle prime notizie storiche sullo sfruttamento delle saline nel Volterrano risale 981, quando, dopo la scoperta dei grandi giacimenti saliferi a Halle in Sassonia, l’imperatore Ottone II chiamò in Germania alcuni salinatori di Volterra per insegnare la tecnica della lavorazione del sale.

Prima dell’anno Mille le moie appartenevano al vescovo di Volterra e già nel 1100 Volterra era diventato il più importante centro toscano per il commercio del sale.

Nei primi anni del XIII secolo il Comune di Volterra cominciò a sottrarre le moie al Vescovo, finché nel 1229 lo statuto volterrano stabilì un diritto di prelazione della città su ogni pozzo o moia in vendita e l’acquisto, in ogni caso, era concesso ai soli cittadini volterrani, costituendo, così, un vero e proprio monopolio del Comune sul sale, che rimase in mani volterrane fino al 1472, quando Firenze sottomise Volterra

La gestione tecnico-operativa, tuttavia, restò in mano ai salinatori volterrani, previo il pagamento di un canone annuo di 1,000 fiorini e circa 58 tonnellate di sale.

La produzione del sale avveniva per semplice evaporazione dell’acqua e conseguente cristallizzazione del sale, secondo un sistema che è rimasto immutato dai tempi delle prime testimonianze fino a tutto il XVII secolo e, con alcune modifiche, utilizzato ancora all’inizio del XX secolo: dal pozzo, scavato e rafforzato con un rivestimento in legno, i tiratori pescavano la salamoia che veniva immessa in grandi caldaie di piombo, di circa 2.3 × 1.2 × 3.3 m, poste sopra le fornaci alimentate con fascine di legna.

Per ogni fornace a due caldaie, ciascuna moia aveva due cuocitori, due tiratori, un vetturale, una lavandaia e 15 o 16 muli per il trasporto della legna e del sale.

All’esperienza dei cuocitori era affidato il compito di determinare il momento preciso della cristallizzazione e di cavare, quindi, il sale dalla caldaia con rastrelli di legno e stenderlo su grosse tavole su cui scolava e asciugava.

Con questo sistema si arrivava a produrre, per ogni caldaia, 40÷50 secchi di sale al giorno, a seconda della salinità di partenza della salamoia e della capacità del cuocitore.

Con l’istituzione nel 1569 del Granducato di Toscana, Volterra ne seguì le sorti e nel 1636 la gestione delle saline venne rigorosamente regolamentata da un trattato tra il Comune e il Granducato che prevedeva un canone di affitto di circa 180 tonnellate annue di sale e la vendita al granduca di tutto il sale rimanente prodotto, che veniva stagionato per quattro mesi nei 21 magazzini esistenti nella città e poi trasportato a Empoli, da dove veniva distribuito in tutta la Toscana.

Dal 1787 al 1790 il granduca Pietro Leopoldo fece costruire i nuovi stabilimenti delle saline, in parte ancora oggi esistenti, che, insieme alla chiesa e alcuni edifici annessi, costituirono il nucleo originario di Saline di Volterra.

I nuovi stabilimenti, chiamati “fabbriche leopoldine” o “Moie di S. Leopoldo” o semplicemente “Moie nuove”, furono inaugurati il 22 marzo 1790 e operarono fino alla 1a guerra mondiale.

La gestione, inizialmente conferita al Comune di Volterra, passò dal 1808 al 1816 governo napoleonico che aveva destituito il Granduca.

Sconfitto Napoleone a Waterloo e tornato il Granduca nel 1816, le saline furono acquisite direttamente dall’Amministrazione granducale, dietro il pagamento di un indennizzo al Comune di Volterra che, però, venne pagato solo nel 1840.

Dopo l’Unità d’Italia le saline passarono allo Stato italiano, sotto l’amministrazione dei Monopoli di Stato.

Fino al secondo dopoguerra le saline, distrutte nel 1944 dall’esercito tedesco in ritirata, furono gestite sostanzialmente con gli antichi metodi di produzione; solo dal 1965 è entrato in funzione un nuovo impianto di dissoluzione in termocompressione che permette di estrarre il sale direttamente dalle lenti sotterranee, perforate con le trivelle, mediante l’immissione artificiale di acqua dolce.

La salamoia estratta dai pozzi, dopo depurazione da carbonati e solfati eventualmente presenti, veniva, quindi, immessa negli evaporatori per la ricristallizzazione e la produzione del sale fino.

Negli anni ’90 del XX secolo, a seguito del contratto di collaborazione industriale con l’azienda concessionaria Monopoli di Stato-A.T.I. Sale S.p.A, la Solvay, già titolare delle concessioni “Buriano”, “Ponteginori” e “Casanova” nel Comune di Montecatini Val di Cecina, ottenne il diritto di coltivare le concessioni denominate “Salina di Volterra”, “Cecina” e ”Poppiano”, ubicate nel Comune di Volterra, subentrando alla Salina di Stato.

Nel 2003 la concessionaria pubblica A.T.I. Sale SpA è stata privatizzata al 100% passando alla Società Salapia Sale s.r.l., proprietaria della Salina di Margherita di Savoia (FG).

Secondo stime recenti (Pinna, 2002), i giacimenti di salgemma della Val di Cecina ammonterebbero a più di 460 milioni di tonnellate mentre quelle coltivate nel periodo 1920-1990 si sono attestate sui 7.5 milioni, passando dalle 10,000 annue di inizio XX secolo ai 2 milioni circa degli anni ’90.

Secondo dati ISTAT, nel 2018 la produzione di salgemma in Toscana è stata pari a 1,451,000 tonnellate.

La tecnica di coltivazione e i conseguenti impatti ambientali


Nei giacimenti della Val di Cecina la coltivazione delle lenti di salgemma avviene per idro-dissoluzione con il metodo detto “Solution Mining”, che prevede l’iniezione in pressione di acqua dolce nel sottosuolo, attraverso una batteria di pozzi (coltivazione a pozzi multipli) perforati in corrispondenza del banco salino da sfruttare.

I pozzi vengono realizzati a scacchiera a una distanza di 40-45 metri l’uno dall’altro, all’interno di cosiddetti “pannelli di coltivazione”, in ciascuno dei quali vengono scavati da 60 a 360 pozzi di iniezione ed estrazione (Cheli, 2008).

Il metodo prevede due fasi (fig. 2):

  • Fase 1: l’acqua dolce viene iniettata nei pozzi precedentemente trivellati e inizia a sciogliere il sale; affinché la dissoluzione del banco salino non avvenga solo in verticale si utilizza aria compressa che, oltre ad impedire la risalita dell’acqua verso l’alto, favorisce lo scioglimento del banco salino in senso orizzontale e radiale fino a mettere in comunicazione tra loro i pozzi di uno stesso pannello di coltivazione

  • Fase 2: mentre in alcuni pozzi viene iniettata nuova acqua dolce, altri vengono equipaggiati con pompe sommerse per estrarre la salamoia semi-satura che viene raccolta in serbatoi polmone e successivamente reimmessa nel sottosuolo, in modo che, percorrendo il fondo del giacimento, si saturi completamente di salgemma, raggiungendo una concentrazione di sale pari a 300 g/l di NaCl, per essere, quindi, convogliata in una vasca di raccolta, da dove viene inviata mediante apposita tubazione all’impianto di trattamento.


Naturalmente, la dissoluzione del salgemma e la successiva estrazione della salamoia provocano dei vuoti nel sottosuolo, che tendono a richiudersi a causa della pressione delle rocce provocando in superficie il fenomeno della subsidenza.

La tecnica dei pozzi multipli utilizzata in Val di Cecina, provocando una dissoluzione sostanzialmente stratiforme (fig. 3a) a causa della circuitazione indotta tra pozzi di iniezione e pozzi di produzione, fa sì che la subsidenza avvenga nell’immediato, contemporaneamente all’attività estrattiva, in modo più evidente ma controllato e prevedibile, senza la formazione di cavità permanenti nel sottosuolo.

Nel caso, invece, di idro-dissoluzione con pozzo singolo, più usata dove gli spessori delle lenti di sale sono particolarmente elevati, si possono creare enormi cavità nell’intorno del pozzo (fig. 3b) che possono collassare improvvisamente anche molto tempo dopo gli scavi.

Questo in teoria, in pratica può accadere anche il contrario, come dimostra l’esempio della miniera di Timpa del Salto a Belvedere Spinello in provincia di Crotone, dove gli eventi catastrofici di subsidenza sono avvenuti nella parte di concessione coltivata a pozzi multipli.

In ogni caso, a differenza di quanto avviene nelle coltivazioni di salgemma in sotterraneo (vedi Sicilia), l'uso della tecnica “Solution Mining”, provocando vuoti di cui non si conosce precisamente il volume e la geometria, non ripienati, non manutenzionati, senza strutture di sostegno e di controspinta a quella delle rocce incassanti, provocherà sempre fenomeni di subsidenza (fig. 4).

Gli effetti in superficie di tali fenomeni saranno direttamente correlati alle quantità di salgemma dissolte, allo spessore delle cavità provocate, alla profondità delle stesse, alla qualità geotecnica delle rocce incassanti, nonchè alla velocità di estrazione.

Inoltre, la maggiore mobilità del salgemma a seguito della dissoluzione e l'aumentata permeabilità del sistema, connessa a potenziali fenomeni di fracking provocati dall’immissione di acqua in pressione, possono generare salinizzazione dei suoli e dei corsi d’acqua.

Infine, il processo di estrazione richiede un notevole consumo di acqua dolce (circa 3.5 m3 per tonnellata di sale), che negli anni 2000÷2005, in Val di Cecina, è oscillato intorno a una media di circa 6.2 milioni di m3/anno.

Fig. 2 - Coltivazione del salgemma con il metodo “Solution Mining” (Cheli & Luzzati, 2008)

Fig. 3 - Schema di idro-dissoluzione con coltivazione a pozzi multipli (a) o singoli (b)

Fig. 4 - Immagine da satellite dell’area delle Saline di Volterra nel 2019 (Fonte GoogleEarth)