La tragedia del 1954

Oltre che sulle questioni sindacali, l’ingegner Padroni era intervenuto anche sul metodo di coltivazione, sostituendo quello “a ripiena”, in vigore dal 1933 e voluto dall’ing. Gerbella, con un metodo “a franamento del tetto” dopo la coltivazione del carbone su trance a fondo cieco.

Si trattava di un metodo più efficiente per quanto riguardava la produzione, ma molto più pericoloso del precedente in quanto aumentava il rischio sia della formazione di sacche di grisou negli avanzamenti a fondo cieco, sia la possibilità di innesco delle stesse in concomitanza con il franamento del tetto, tenendo conto che la presenza di pirite nelle rocce incassanti e nella stessa lignite poteva dare luogo alla generazione di scintille durante il franamento.

Inoltre, la coltivazione a fondo cieco non consentiva vie di fuga ai minatori in caso di frane e/o incendi alle proprie spalle.

Contro questo nuovo sistema di lavorazione protestarono ripetutamente le organizzazioni sindacali dei minatori, sia attraverso la stampa che per mezzo di documenti ufficiali diretti al Prefetto e al Distretto Minerario di Grosseto, il cui capo, l’ing. Tullio Seguiti, si mostrò, invece, favorevole al nuovo metodo, “già sanzionato da una gigantesca applicazione in Francia nella Miniera di Montrambert... stranamente analoga a quella di Ribolla quanto ad irregolarità del giacimento, a grandezza delle spinte dei terreni ed incendiabilità del carbone”, e lo autorizzò “imponendo misure ancor più restrittive di quelle dettate dal Corpo delle Miniere di Francia, tranquillo per la sicurezza del nuovo sistema e convinto di contribuire al mantenimento in vita della miniera...” e sostenendo che “la difficoltà del fondo cieco è facilmente superata da una sufficiente ventilazione forzata”.

Quanto al Regolamento di polizia mineraria allora in vigore, che recitava “Nelle miniere con sviluppo di gas infiammabile e in quelle ove il minerale è soggetto ad incendiarsi, debbono adottarsi tutte le disposizioni necessarie a rendere, per quanto è possibile, indipendente la ventilazione di ogni singolo cantiere”, il Distretto Minerario superava questa difficoltà sostenendo che l’inciso “per quanto è possibile” doveva “intendersi solo dal punto di vista economico... e Ribolla, miniera passiva, non può essere gravata oltre lo strettamente necessario compatibile con la sicurezza”.

In queste condizioni si arrivò, quindi, al 1° maggio 1954, un sabato, quando la direzione della miniera, approfittando delle due festività consecutive, fermò l’aspirazione del pozzo 9-bis per cambiare il ventilatore che vi era installato.

Il nuovo ventilatore, con una portata teorica di 16 m3/sec che però non era stata verificata in concreto, entrò in funzione solo alle ore 7 di lunedì 3 maggio, dopo 47 ore di fermata e, quindi, di mancata ventilazione della miniera, dando la possibilità al grisou di accumularsi nel quadrilatero formato dalla rimonta 20, dalla galleria 2 e dalla rimonta 22, la parte più occidentale e più alta della sezione Camorra (fig. 1).

Contemporaneamente, per cercare di spegnere un incendio che si era verificato nella discenderia 32 che, insieme alla discenderia 31, collegava la zona alta della sezione Camorra con i pozzi 9 (alimentazione) e 9 bis (riflusso), era stata provocata una variazione nel sistema di ventilazione che però si rivelò inefficace.

La mattina del 4 maggio alle ore 8.40 si stava ancora lavorando allo spegnimento, quando la combinazione tra il calore sviluppato dall’incendio e il grisou miscelato all’aria in proporzioni esplosive e richiamato dalla riattivazione della ventilazione nel pozzo 9-bis provocò un’esplosione (fig. 2) che causò la morte di 43 minatori: 35 sui 39 del primo turno della zona sud della sezione Camorra, 2 della zona nord, 5 della squadra mandata a spegnere l’incendio e un elettricista, questi ultimi 6 morti nella galleria di livello -265 che collegava i pozzi della zona sud-est della miniera (8, 9, 9bis e 10). Dei 43 morti, 13 furono trovati senza tracce di ustioni, asfissiati dall’ossido di carbonio perché bloccati in un “fondo cieco” dalle frane causate dallo scoppio.

Nel loro libro su “I minatori della maremma” Bianciardi e Cassola, dopo una puntuale enunciazione delle inadempienze del Regolamento di polizia mineraria, relativamente al sistema di ventilazione operante quel giorno in miniera concludono : «Non è stata la fatalità... la sciagura è successa perché non si teneva in sufficiente e doverosa considerazione la vita dei minatori. Esistono quindi responsabilità ben precise ed accertate, da parte della direzione della miniera che ha diretto i lavori in quel modo, e da parte della società Montecatini che ha accettato o forse anche sollecitato un simile procedimento. Dal canto suo il Distretto Minerario non ha voluto intervenire quando avrebbe potuto, per eliminare le cause lontane e vicine del disastro. La commissione governativa d'inchiesta [1] ha agito con criteri di imparzialità e di obiettività, dando ragione alla verità dei fatti ed alle ripetute proteste degli operai. L’opinione pubblica italiana deve darne atto al Ministero del Lavoro, solo rammaricandosi che a questo si sia giunti solo dopo che 43 minatori avevano perduto la loro vita. Le responsabilità penali sono palesi, oggi, ma accanto ad esse altre ne esistono di ordine umano e sociale, responsabilità che non è facile rapportare ad articoli del Codice. Vogliamo dire del clima di guerra fredda stagnante su Ribolla da molti anni... In quei tragici giorni gli operai non potevano dimenticare che l’anno prima, da quello stesso pozzo Camorra, 45 loro compagni erano usciti ammanettati come criminali, solo perché avevano occupato quella zona della miniera per protestare contro nuovi licenziamenti...».

La Commissione governativa succitata presentò la sua relazione dopo appena 2 mesi, il 15 luglio: in tab. 1 ne sono riportate le parti più significative, confrontate con le tesi sostenute dalla Montecatini.

I due documenti non avrebbero potuto essere più differenti: quello che colpisce è la totale incapacità della Montecatini di mettersi in discussione, assumendo una posizione arrogante e scaricando tutte le colpe a una miscela tra fatalità e incapacità/imprudenza dei minatori.

Nel successivo processo, che iniziò a Verona il 10 maggio 1957 e si concluse il 26 novembre 1959, furono accusati di disastro e omicidio colposo:

  • Lionello Padroni, direttore della miniera di Ribolla

  • Giulio Rostan, direttore generale del settore miniere della Montecatini

  • Gaetano Carli, direttore tecnico delle miniere della Maremma della Montecatini

  • Antonio Marcon, capo servizio principale della miniera di Ribolla

  • Vittorio Baseggio, capo servizio addetto alla sezione Camorra

  • Tullio Seguiti, ingegnere capo del distretto minerario di Grosseto


Già in fase di dibattimento il PM scagionò i principali imputati, mantenendo l’accusa solo per i “pesci piccoli”: Marcon e Baseggio.

Interessante sottolineare la ragione addotta per scagionare l’ing. Padroni in quanto "al momento della sciagura si trovava a Milano” (sic!).

Dopo 20 udienze, il Tribunale emise la seguente sentenza di assoluzione degli «imputati Rostan Giulio, Carli Gaetano, Seguiti Tullio, Marcon Antonio, Baseggio Roberto e Padroni Leonello dai reati loro addebitati per non avere commesso il fatto... E' giusto e doveroso scrivere, al termine di questa motivazione, che i 43 minatori di Ribolla sono stati uccisi da una tragica fatalità e non dall'incuria, dall'imprudenza e dalla egoistica speculazione di altri uomini.

Saranno così ricordati e onorati come vittime dell'eterna dura lotta dell'uomo per il suo sopravvivere e progredire.

La formula di assoluzione non può essere che "per non aver commesso il fatto" nella considerazione che, pur non essendo del tutto mancata la prova circa la natura colposa del disastro (nel caso della più probabile ipotesi della Falda Ovest ne sarebbe causa colposa l'abbandono intempestivo dell'opera di spegnimento) è certo che nessuno degli imputati ha, neppure in minima parte, concorso a cagionarlo».

Giustizia non fu fatta, rimase il dolore dei sopravvissuti (fig. 3).


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[1] Nominata dal Ministro del Lavoro Vigorelli con decreto 5 maggio 1954 (NdR)

Fig. 1 - Planimetria della sezione Camorra

Fig. 2 - La tragedia di Ribolla vista dalla prima pagina della Domenica del Corriere (16/05/1954)

Tab. 1 - Confronto tra le conclusione della Commissione governativa e le Tesi Montecatini

Fig. 3 – Donne davanti alla miniera aspettano di avere notizie sulla sorte dei propri uomini (Archivio Ronconi)