La storia delle miniere d'oro della Valle Anzasca
Rimandando al pdf scaricabile gli approfondimenti sulla storia e l'impatto sociale della coltivazione di minerali auriferi in Valle Anzasca, si può sintetizzare l'evoluzione storica in questione attraverso la seguente successione di eventi particolarmente significativi:
nonostante la tradizione voglia far risalire le prime coltivazioni di oro nell'area ai Romani e/o ai Celti, il vero sfruttamento dei filoni auriferi comincia nel 1400 con il capitano di ventura Facino Cane e i suoi discendenti, che però, a causa del loro comportamento dispotico, furono cacciati dalla valle nel 1425;
i Borromeo, che subentrano nella Signoria della valle, non furono altrettanto abili nel favorire l'attività mineraria che di conseguenza regredì;
solo dalla metà del XVII secolo i documenti mostrano una certa ripresa dell'attività, che però appare gestita in modo caotico, una sorta di caccia all'oro;
nel 1743 la Valle Anzasca passa dal Ducato di Milano allo Stato sabaudo, anche se i Borromeo continuano a mantenere la Signoria della valle;
nella seconda metà del XVIII secolo, l'attività mineraria torna ad espandersi sfruttando il lavoro dei minatori della Valsesia in crisi e l’emergere di una classe imprenditoriale le cui ricchezze derivavano sia dalle attività mercantili che dall’esercizio delle professioni forensi;
tra questi nuovi imprenditori spiccano le figure del Capitano Bartolomeo Testoni di Bannio affiancato da Pietro Giordano, Antonio Ferro e i fratelli Giovanni e Cristoforo de Paulis, tutti di Alagna, la cui comparsa sulla scena mineraria della valle Anzasca fu la diretta conseguenza del fallimento dell’ambizioso progetto di gestione diretta delle miniere sabaude dell’alta Valsesia;
gli anni tra il 1760 e il 1785 furono i più importanti per l'estrazione dell'oro nel XVIII secolo. Erano in attività parecchie miniere: sotto Morghen c’erano il “Minerone”, il “Cavone”, la “Vena”, la “Miniera dell’acquavite” e la “Valletta”, mentre sopra Morghen era aperta la miniera del “Pozzone”.
tuttavia, la morte dei maggiori impresari minerari (de Paulis, Giordano e Testoni), avvenuta tra il 1785 e il 1792, segnò l’inizio di un rapido declino delle miniere che si protrasse fino alla fine del secondo decennio del XIX secolo, anche per le difficoltà incontrate nella coltivazione in profondità dei filoni;
solo con l’entrata in vigore, nel 1840, della nuova legge mineraria sabauda, che favorì l’arrivo di capitale britannico a metà del secolo, le miniere della Valle Anzasca entrarono in un nuovo periodo di sviluppo;
nel 1857 approdò in Piemonte l’ing. Eugene Francfort, reduce da attività minerarie svolte per 8 anni negli Stati Uniti, che per le sue capacità tecniche e affaristiche divenne il punto di riferimento di diversi gruppi di investitori inglesi, interessati particolarmente alle miniere d’oro del Monte Rosa;
nel marzo 1863 nasceva “The Vallanzasca Gold Mining Company Ltd” con 50,000 sterline di capitale che affittò la miniera dei Cani per 25 anni;
tra ottobre e dicembre le società “The Val Toppa Gold Mining Company Ltd” e “Victor Emanuel Limited” acquistarono, rispettivamente, le miniere Tagliata e Alfenza;
nel gennaio 1866, l'appena costituita società “The Pestarena Gold Mining Company Ltd”, con la mediazione del Francfort, acquisì il controllo delle 5 principali miniere di Pestarena (Peschiera, Acquavite, Pozzone, Speranza e Morghen);
nel marzo 1867 la Pestarena accorpò le altre società inglesi nella nuova “The Pestarena United Gold Mining Company Ltd”, acquisendo il controllo di tutte le principali miniere dell’area. L’ingresso degli inglesi comportò un forte cambiamento del sistema di coltivazione e trattamento, con una variazione di scala di un ordine di grandezza degli interventi sia in sotterraneo che in superficie;
tuttavia, la produzione di oro, che era di 200 kg tra 1868 e il 1870, prese a diminuire fino al 1875. Le alte spese di trasporto del minerale agli impianti di trattamento impedivano lo sviluppo completo del giacimento, escludendo dalla coltivazione quelle porzioni non a tenore sufficientemente elevato da garantire un guadagno immediato. Di conseguenza molte migliaia di tonnellate di minerale erano perciò “in vista” ma intoccate e la capacità potenziale di trattamento dei tre distretti (ca. 13,000 t/anno) non era sfruttata a regime;
un miglioramento nel sistema di trattamento del minerale, consentì di tornare alla produzione di 200 kg tra il 1880 e il 1886, fino a un picco di 232 kg nel 1887;
il 1887 è anche l'anno in cui viene introdotto un nuovo metodo di estrazione dell'oro del minerale, la cianurazione, in sostituzione della vecchia amalgamazione con mercurio (vedi scheda a fianco);
le forti nevicate del biennio 1887÷1889 causarono interruzioni nell'attività con allagamento dei cantieri e riduzione della produzione, che tornò a 225 kg di oro solo nel 1893;
la crisi delle miniere era però diventata ormai irreversibile e, dopo un tentativo rilancio fallito, il 18 novembre 1902 le miniere furono vendute a Giacomo Tabachi, probabilmente un prestanome di Ignazio Ceretti, titolare della Società Anonima Industriale Pietro Maria Ceretti, già proprietario delle miniere di ferro di Ogaggia e della fonderia di Villadossola, cui le miniere passarono ufficialmente nel 1906.
i nuovi proprietari, inizialmente interessati al recupero dei materiali ferrosi delle miniere e delle loro pertinenze, successivamente anche su sollecitazione dei minatori ripresero l'attività estrattiva, a partire dal completamento del ribasso Morghen, galleria di scolo indispensabile a smaltire le infiltrazioni d'acqua dal torrente Anza e liberare i cantieri dagli allagamenti, i cui lavori vennero però sospesi prima del completamento allo scoppio della 1a guerra mondiale;
dopo la guerra si procedette a un'attività di sistemazione dei cantieri, delle gallerie e degli impianti di trattamento, delle infrastrutture di trasporto, mentre la produzione segnò il passo raggiungendo una media di 55-60 kg di oro tra il 1925 e il 1930, anche perché si dovette ricostruire completamente l’impianto di cianurazione di Pestarena, distrutto da un incendio;
con l'entrata in vigore del RD 1443/1927 le cinque miniere del gruppo Pestarena furono riconfermate in perpetuo alla Società P.M. Pieretti. Successivamente, nel 1936, passarono alla Società Anonima Stabilimenti di Rumianca le miniere di Cani e quelle della Val Toppa (Tagliata I-II-III, Dell'Ora e Fontanelle), accorpate in un'unica concessione, e quella di Kint (1939). Tutte le miniere cessarono la loro attività entro il 1952.
sempre nel 1936, nell'ambito della politica autarchica adotta dal fascismo dal 1934, fu costituita l’A.M.M.I. (Azienda Minerali Metallici Italiani) che tre anni dopo acquisì la concessione di tutte le miniere della zona Pestarena-Lavanchetto [1], per la gestione delle quali fu costituita una società apposita denominata “Società Miniere d’Oro del Piemonte”;
nel gennaio 1937, arrivò nella zona l’ingegnere minerario tedesco René Bruck, che propose, oltre all’introduzione di misure sanitarie per proteggere i minatori dalla silicosi, un piano di intensivo di ricerca con miglioramento delle infrastrutture interne ed esterne. Il piano dette buoni risultati e la produzione di oro del Gruppo Pestarena-Lavanchetto passò dai 250 kg del 1940, con 400 addetti, ai 403 kg del 1942, con 880 addetti;
le conseguenze degli eventi bellici, soprattutto la lotta partigiana particolarmente intensa nell'Ossola (vedi la vicenda dell'oro di Pestarena), si fecero sentire nel 1944 e 1945 quando la produzione scese prima a 210 kg per poi crollare a 54 kg;
dopo la guerra, la produzione delle miniere di Pestarena, raggruppate nel 1951 in un'unica concessione, e Lavanchetto riprese a crescere arrivando al massimo di 623 kg nel 1948, per poi tornane a diminuire dal 1954 fino al minimo di 22 kg nel 1961, anno di chiusura dell'attività estrattiva, anche a causa di un incidente che causò la morte di 4 minatori;
la fine dell'attività non significò la cessazione delle concessioni che rimasero vigenti : Lavanchetto fino al 2008 , Pestarena ridotta e ridelimitata nel 2003 ma confermata fino alla scadenza originaria del 21 giugno 2050.
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[1] Pestarena in comune di Macugnaga, Lavanchetto in comune di Ceppo Morelli.
Il marchio delle Pestarena United
Metodo di amalgamazione usato fino alla fine del XIX sec. per l’estrazione dell’oro nelle miniere di Macugnaga
Nel 1836, il dott. Giovanbattista Fantonetti, professore presso la facoltà di medicina delle Università di Pavia e di Torino, sindaco di “Vanzone con San Carlo”, descrisse così le tecniche di amalgamazione utilizzate nell’Ottocento dai minatori delle miniere di Macugnaga:
«…Il materiale scavato viene cernito … i frammenti di interesse vengono trasportati per mezzo di un carretto spinto a mano e fatto scorrere su delle piccole travi; dai pozzi il materiale è tratto fuori per mezzo di secchi…alla luce del giorno si provvede ad un’ulteriore cernita, i frammenti rocciosi vengono lavati con acqua e divisi in base alla loro natura (del filone o della roccia incassante). Per quanto riguarda la necessità di convogliarlo nei siti per il trattamento, questo compito è peculiarità delle donne, che in pianura portano fino a 60 Kg e in discesa arrivano fino ai 150 Kg per mezzo di gerle in legno.
Il materiale arrivato nei siti per il trattamento viene prima di tutto macinato e reso in polvere, dopo di che messo in apposite casse di legno e si aggiunge generalmente della calce lasciando riposare il tutto dalle dodici alle ventiquattro ore per neutralizzare le sostanze acide presenti che interferiscono con l’azione del mercurio.
A questo punto il composto viene quindi trattato col molinello d’amalgama, che consiste in una piccola botte in legno al cui interno vi è una pietra tonda e concava (pila) che ne riempie esattamente il fondo. Questa pietra è forata al centro ed è attraversata da un cilindro (albero) di legno, alla cui sommità è fissata la macina (moletta)… Queste mole sono smussate a forma di mezzaluna su due bordi diametralmente opposti per consentire il passaggio del minerale e del mercurio che devono essere tritati tra le due pietre. La moletta è messa in moto da una ruota orizzontale a palette: un canale derivato dal torrente forma un getto che cade sulle pale inclinate della ruota, facendola girare.
Il materiale sabbioso viene immesso nel molinello in successione di tre serie con dell’acqua, aggiungendo infine il mercurio. In media per 24 Kg di minerale si utilizzano 200 g di mercurio, anche se il rapporto varia in base alla presenza più o meno frequente di elementi affini al mercurio, quale ad es. l'arsenico, detto per la circostanza "il veleno dell’oro". Raggiunta la giusta consistenza, si raccoglie l’amalgama dal molinetto e lo si ripone in una scodella di legno per essere poi versato in una pelle di camoscio bagnata; con la “strizzatura” della pelle il mercurio non amalgamato esce e all’interno rimane così una pallina di amalgama, il cosiddetto "oro bianco". Quest'ultimo viene trattato col fuoco, quindi distillato per mezzo di una storta in ferro e un recipiente pieno d’acqua che serve sia a far condensare i vapori di mercurio, in modo da recuperarne la parte che con l'oro formava l’amalgama, sia per evitare esalazioni nocive. All’interno della storta rimane così un aggregato finemente spugnoso, detto appunto ‘spugna’, che, dopo averlo estratto dalla storta in ferro, viene deposto in un crogiolo di grafite da passare infine alla forgia (forno) per la fusione. Questo è un momento delicato: la spugna assume un colore verdastro e, in un attimo, l’oro si aggrega nel cosiddetto "bottone" (oro rosso); solo a questo punto bisogna togliere il bottone dal fuoco.»