La storia delle miniere d'oro della Valle Anzasca

Rimandando al pdf scaricabile gli approfondimenti sulla storia e l'impatto sociale della coltivazione di minerali auriferi in Valle Anzasca, si può sintetizzare l'evoluzione storica in questione attraverso la seguente successione di eventi particolarmente significativi:

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[1] Pestarena in comune di Macugnaga, Lavanchetto in comune di Ceppo Morelli.

Il marchio delle Pestarena United

Metodo di amalgamazione usato fino alla fine del XIX sec. per l’estrazione dell’oro nelle miniere di Macugnaga


Nel 1836, il dott. Giovanbattista Fantonetti, professore presso la facoltà di medicina delle Università di Pavia e di Torino, sindaco di “Vanzone con San Carlo”, descrisse così le tecniche di amalgamazione utilizzate nell’Ottocento dai minatori delle miniere di Macugnaga:

«…Il materiale scavato viene cernito … i frammenti di interesse vengono trasportati per mezzo di un carretto spinto a mano e fatto scorrere su delle piccole travi; dai pozzi il materiale è tratto fuori per mezzo di secchi…alla luce del giorno si provvede ad un’ulteriore cernita, i frammenti rocciosi vengono lavati con acqua e divisi in base alla loro natura (del filone o della roccia incassante). Per quanto riguarda la necessità di convogliarlo nei siti per il trattamento, questo compito è peculiarità delle donne, che in pianura portano fino a 60 Kg e in discesa arrivano fino ai 150 Kg per mezzo di gerle in legno.

Il materiale arrivato nei siti per il trattamento viene prima di tutto macinato e reso in polvere, dopo di che messo in apposite casse di legno e si aggiunge generalmente della calce lasciando riposare il tutto dalle dodici alle ventiquattro ore per neutralizzare le sostanze acide presenti che interferiscono con l’azione del mercurio.

A questo punto il composto viene quindi trattato col molinello d’amalgama, che consiste in una piccola botte in legno al cui interno vi è una pietra tonda e concava (pila) che ne riempie esattamente il fondo. Questa pietra è forata al centro ed è attraversata da un cilindro (albero) di legno, alla cui sommità è fissata la macina (moletta)… Queste mole sono smussate a forma di mezzaluna su due bordi diametralmente opposti per consentire il passaggio del minerale e del mercurio che devono essere tritati tra le due pietre. La moletta è messa in moto da una ruota orizzontale a palette: un canale derivato dal torrente forma un getto che cade sulle pale inclinate della ruota, facendola girare.

Il materiale sabbioso viene immesso nel molinello in successione di tre serie con dell’acqua, aggiungendo infine il mercurio. In media per 24 Kg di minerale si utilizzano 200 g di mercurio, anche se il rapporto varia in base alla presenza più o meno frequente di elementi affini al mercurio, quale ad es. l'arsenico, detto per la circostanza "il veleno dell’oro". Raggiunta la giusta consistenza, si raccoglie l’amalgama dal molinetto e lo si ripone in una scodella di legno per essere poi versato in una pelle di camoscio bagnata; con la “strizzatura” della pelle il mercurio non amalgamato esce e all’interno rimane così una pallina di amalgama, il cosiddetto "oro bianco". Quest'ultimo viene trattato col fuoco, quindi distillato per mezzo di una storta in ferro e un recipiente pieno d’acqua che serve sia a far condensare i vapori di mercurio, in modo da recuperarne la parte che con l'oro formava l’amalgama, sia per evitare esalazioni nocive. All’interno della storta rimane così un aggregato finemente spugnoso, detto appunto ‘spugna’, che, dopo averlo estratto dalla storta in ferro, viene deposto in un crogiolo di grafite da passare infine alla forgia (forno) per la fusione. Questo è un momento delicato: la spugna assume un colore verdastro e, in un attimo, l’oro si aggrega nel cosiddetto "bottone" (oro rosso); solo a questo punto bisogna togliere il bottone dal fuoco.»

Veduta di Pestarena nel 1896 (da Collezione Claudio Albertini)