Iglesiente

L’area dell’Iglesiente (fig. 1) occupa 480 Km2, l’11.55% del territorio del Parco Geominerario, comprendendo 6 comuni (tab. 1a) nella parte sud-occidentale della Sardegna, tra l’area Arburese-Guspinese a N e il Sulcis a S.

È un’area particolarmente ricca di miniere, le più importanti delle quali sono insediate nel cosiddetto “anello metallifero dell’Iglesiente”, all’interno delle formazioni carbonatiche che, con oltre 500 milioni di anni di età, sono le rocce più antiche paleontologicamente datate.

Numerose sono le emergenze archeologiche che testimoniano l’attività mineraria dell’uomo a partire dal Neolitico, nell’età nuragica, nel periodo punico e romano, fino al periodo medievale, di cui la stessa città di Iglesias è espressione.

Nell’area sono gestiti i 13 siti minerari elencati in tab. 1b.

Fig. 1 - L'area mineraria Iglesiente

Tab. 1 - Comuni (a) e siti minerari (b) interni all'area Iglesiente

Le miniere di Buggerru


Come già descritto, con particolare riguardo per l'eccidio del 4 settembre 1904 rievocato da Giuseppe Dessì nel suo romanzo più famoso Paese d'ombre, le miniere di Buggerru sono state il luogo di formazione delle prime organizzazioni sindacali dell’isola, protagoniste delle manifestazioni popolari dei primi giorni di settembre 1904, i cui tragici epiloghi hanno portato alla proclamazione, da parte della Camera del Lavoro di Milano dello sciopero generale (fig. 2), il primo a livello nazionale ed europeo.

Tutto ciò, e altro ancora, è raccontato nel Museo del Minatore, allestito nell'edificio restaurato ubicato in via Marina alle spalle del porto, che un tempo era la falegnameria e l'officina dell'industria mineraria e che nel 1904 fu il luogo scelto dai manifestanti come punto di riferimento, diventando lo “scenario della rivolta”.

Il museo inaugurato nel 2004, nel centenario dei tragici fatti del 1904, si articola su due livelli:

  • al piano terra, nei locali [1] dell’ex officina della miniera, è ospitato il Museo propriamente detto a sua volta articolato in 5 stanze:

    • Stanza 1: dove si illustra la storia geologica dell’area, le cui formazioni sono le più antiche d’Italia.

    • Stanza 2: in cui si racconta la storia di Buggerru, dalla preistoria alla Petit Paris, come veniva chiamato il paese durante la gestione della “Société Anonyme des mines de Malfidano”, per il gran numero di dirigenti francesi che con le loro famiglie lo popolava.

    • Stanza 3: dedicata agli infortuni sul lavoro, tema sempre d’attualità nelle miniere.

    • Stanza 4 (sala spaccio): che racconta il truck-system, attraverso il quale la Società mineraria gestiva anche lo spaccio e la cantina, in cui il pagamento delle merci avveniva sottraendo direttamente la spesa dalla paga.

In questo modo la Società recuperava gran parte del salario e al minatore rimaneva solo poco più di quanto servisse a garantire la semplice sopravvivenza.

Proprio nel 1904, grazie alle lotte sindacali promosse dal romagnolo Alcibiade Battelli e dal medico piemontese Giuseppe Cavallera fondatori della locale Lega dei minatori, la gestione di spaccio e cantina passò direttamente nelle mani degli operai che le aprirono a tutta la popolazione del paese.

Stanza 5: dove è stata allestita una piccola sala cinematografica con poltrone e proiettore “muto” propri dell’epoca.

  • al primo piano, nei locali della falegnameria, la Space SpA ha realizzato un Allestimento multimediale dedicato alla lunga e significativa storia mineraria di Buggerru, in cui sono conservati e resi fruibili i documenti storici, le immagini e i contributi audio-video.

La spettacolare multi-proiezione (fig. 3a) – che estende, fraziona e ricompone i video sull'intera parete della sala – e le cinque proiezioni video su grandi pannelli (fig. 3b), raccontano “La Miniera” come luogo di duro lavoro ma anche risorsa per il territorio e garanzia per il futuro, simbolo dello sfruttamento e delle differenze sociali ma anche occasione di riscatto e di consapevolezza politica.

Due ulteriori postazioni video sono dedicate alle storie degli uomini e delle donne che nella miniera hanno lavorato e vissuto.

Nello spazio dedicato alla didattica per bambini e ragazzi c'è il tavolo multitouch, realizzato appositamente per il museo, con diversi giochi interattivi e multiutente per imparare giocando.

Altra installazione mineraria visitabile a Buggerru è la Galleria Henry, la principale galleria di carreggio della miniera di Planu Sartu, adibita al trasporto dei minerali dai cantieri sotterranei alle laverie per mezzo di rotaia.

Risalente al 1892 e posta a 50 metri s.l.m., è stata scavata per circa un kilometro lungo la bellissima costa rocciosa iglesiente, dalla quale si gode un panorama mozzafiato partendo dal piazzale della miniera, cui si giunge all’interno di un trenino elettrico che parte dalla stazione (fig. 4) e segue il percorso della vecchia ferrovia a vapore.

Il ritorno è a piedi lungo la vecchia galleria “pedonale” percorsa anticamente da muli e cavalli che permette di affacciarsi su punti panoramici unici al sopra della costa rocciosa (fig. 5).

La visita è gestita dalle guide del parco geominerario che arricchiscono l’esperienza con racconti sulle importanti vicende storiche e sociali della vita mineraria di Buggerru.

Fig. 2 - Manifesto dello sciopero del 1904 (Museo del Minatore a Buggerru)

Fig. 3 - Installazioni multimediali nel Museo del Minatore: a) multiproiezione; b) pannelli video

Fig. 4 – Stazione dove inizia il percorso della visita alla galleria Henry

Fig. 5 – Vista dal percorso pedonale della Galleria Henry

Miniera di Masua


Nota fin dalla fine del XVII secolo, fu dichiarata scoperta con DM dell’11 maggio 1861 e concessa con RD del 7 febbraio 1863 alla Società Anonima di Montesanto.

Confermata con DM 28 giugno 1929 a favore della Società Anonima delle Miniere di Lanusei, che fu successivamente assorbita dalla Società belga “Vielle Montaigne”, in seguito alle sanzioni del 1935 fu nazionalizzata e affidata alla SAPEZ (Società Anonima dei Piombo e dello Zinco) controllata dall'AMMI.

Nel dopoguerra la gestione, diretta e/o indiretta, dell’AMMI durò, con alterne vicende fino al febbraio 1969, quando la miniera fu assegnata all’AMMI Sarda SpA, per poi seguire la trafila (prima SAMIM, poi SIM) di molte altre miniere metallifere sarde, fino alla chiusura delle attività nel 1999.

Con Det. 385 del 21 marzo 2000 la concessione, inattiva ma vigente, è passata sotto la gestione dell’IGEA SpA.

Della miniera di Masua sono visitabili due siti, Porto Flavia e il Museo delle Macchine da Miniera:

  • Porto Flavia (fig. 6) è un’infrastruttura di carico delle navi, realizzata tra il 1922 e il 1924 dall’ingegnere veneziano Cesare Vecelli, che la dedicò alla figlia Flavia.

Si tratta di un’opera ardita, sospesa fra cielo e mare, che permetteva l’imbarco diretto sulle navi, riducendo in maniera drastica tempi e costi di trasporto dei minerali destinati alle fonderie nord-europee, che fino ad allora venivano caricati a mano nelle bilancelle carlofortine (fig. 7) [1] per essere trasportati nei magazzini dell'isola di San Pietro, da cui venivano poi caricati sulle navi e avviati alle località di destinazione.

Studiata per imbarcare i minerali in una zona che non offriva porti naturali dal sufficiente pescaggio, consiste in un gigantesco porto scavato dentro il promontorio sopra Masua, con due livelli di gallerie:

  • in quella superiore venivano trasportati, tramite una ferrovia Decauville lunga 700 metri (600 di carreggio, 100 di carico), i materiali estratti che venivano caricati e ammassati in nove silos (fig. 6a), per una capacità complessiva di oltre 10,000 tonnellate;

  • dalla galleria inferiore, grazie a un nastro trasportatore estraibile e a un sistema a braccio mobile, il materiale caricato nei silos veniva stivato nelle grandi navi da carico che attendevano sotto la falesia (fig. 6b).

  • Museo delle Macchine da Miniera (fig. 8), in località Nuova Masua a Nebida, contenente oltre 70 macchine da miniera, tra cui: trenino decauville con i relativi vagoncini, pale meccaniche, carrelli, martelli pneumatici, compressori, pompe di eduzione.

Tra le macchine presenti si segnala l’autopala Montevecchio, il cui prototipo venne ideato e fabbricato nelle officine dell’omonima società che trasferì il brevetto alla Società Atlas Copco.

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[1] Dette anche galanze (da galena), erano piccole imbarcazioni a vela latina.

Fig. 6 - Porto Flavia, con i silos (a) e il sistema a braccio mobile per il caricamento delle navi (b)

Fig. 7 - Bilancelle (galenze) carlofortine

Fig. 8 - Museo della Macchine da Miniera in località Nuova Masua (Nebida)

Miniera di Monteponi


Nell’area mineraria di Monteponi, situata nella periferia ovest di Iglesias (fig. 9), sono visitabili tre siti di particolare rilevanza, la Galleria Villamarina, il Palazzo Bellavista e la Sala Compressori:

  • La Galleria Villamarina (fig. 10), intitolata al Viceré del Regno di Sardegna, Giacomo Pes, marchese di Villamarina, è stata scavata a partire dal 1852 per estrarre la porzione del giacimento a +174 m s.l.m. e ha subito numerose modifiche negli anni.

Originariamente lunga 120 metri, è dotata di due imbocchi, denominati rispettivamente Asilo e Suore perché in prossimità erano presenti un asilo [1] e dei locali abitati dalle suore della Carità che curavano l’assistenza nel vicino ospedale della miniera.

Nel suo percorso la Galleria incontra i due pozzi più importanti di Monteponi: Pozzo Vittorio Emanuele II e Pozzo Sella.

Il primo, risalente al 1863, giungeva fino a quota –100 m s.l.m. ed era adibito al trasporto dei minatori e del minerale estratto dalle gallerie.

Il secondo, dedicato a Quintino Sella, fu scavato nel 1874 su progetto dell’ingegner Adolfo Pellegrini e destinato a ospitare le grandi pompe a vapore utilizzate per il primo infruttuoso tentativo di eduzione delle acque sotterranee.

Nel 1889, cessate definitivamente le operazioni di eduzione, le strutture esterne del Pozzo Sella, di particolare pregio architettonico, che avevano ospitato le pompe di eduzione e le macchine a vapore con le relative caldaie, furono destinate a ospitare i servizi tecnologici della miniera: officina meccanica, forge e falegnameria.

All’interno della galleria si può visitare la sala dell’argano che azionava le gabbie per la discesa e la risalita (fino a 30 minatori o a 4 carrelli per volta), vedere le ricostruzioni dei sistemi di armatura delle zone franose e dei metodi di lavoro per la preparazione delle volate delle mine per frantumare e abbattere la roccia mineralizzata.

  • Il Palazzo Bellavista (fig. 11), ex sede della direzione, costruito nel biennio 1865-66 dall'ingegnere Adolfo Pellegrini, in posizione preminente e un tempo isolata, ha una pianta a U, con un alto zoccolo per le finestre del piano terra e una serie di paraste che inquadrano le aperture del piano nobile, con un richiamo evidente a modelli di gusto classico.

Sul retro un giardino terrazzato ad emiciclo, abbellito da essenze esotiche come le palme, permette una magnifica vista della vallata sottostante, da cui il nome.

Attualmente il palazzo è sede del Consorzio per la Promozione delle Attività Universitarie Sulcis Iglesiente (AUSI), decentramento dell'Università degli Studi di Cagliari, costituito nel 1996 con il nome di "Associazione per l'Università del Sulcis Iglesiente", modificato nel gennaio 2008 all'atto della trasformazione in Consorzio a cui hanno aderito la Provincia di Carbonia-Iglesias (oggi Sulcis-Iglesiente), i Comuni di Iglesias e Carbonia, il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, l'Igea S.p.A. e la Carbosulcis S.p.A.

A fine 2020, l’Assemblea del Consorzio comprende i Comuni di Iglesias, Villamassargia, Fluminimaggiore e l'OPI (Ordine delle Professioni Infermieristiche Carbonia-Iglesias).

Le finalità del Consorzio, organismo senza scopo di lucro a totale partecipazione pubblica, sono prevalentemente culturali, a supporto delle attività didattiche e di ricerca scientifica a livello universitario per lo sviluppo del territorio del Sulcis Iglesiente.

Le aule, i laboratori, l'Aula Magna, gli uffici amministrativi e la Casa dello Studente sono stati realizzati convertendo gli edifici dell'ex Centro Minerario di Monteponi, con l'aspirazione di creare un Centro di Eccellenza e di Alta Formazione che tratti temi attinenti i Materiali, l'Ambiente e l'Energia.

  • La Sala Compressori, costruita nel 1906 per accogliere la turbina a vapore per la produzione dell’energia elettrica usata in miniera, le cui caldaie erano alimentate con la lignite fornita dalla vicina miniera di Terras de Collu appartenente dal 1905 alla Società Monteponi.

Quando l’impianto idroelettrico del Tirso divenne operativo e l’elettricità prodotta distribuita in rete, la sala Compressori divenne sede di un impianto per la produzione dell’aria compressa necessaria per le attività della miniera, alloggiando quattro compressori, il più grande avente 63 m3 di capacità, di cui tre operavano per 24 ore al giorno in tre diversi turni. La pressione di esercizio dei compressori era di 8.5 atmosfere e l’aria compressa prodotta veniva inviata a due grandi serbatoi esterni, dove veniva purificata dalla condensa di olio e acqua prodotta dalla compressione.

Il quarto compressore veniva tenuto di riserva in caso di interruzione accidentale o di manutenzione di una delle altre macchine; la sala stessa fungeva da officina per le operazione di ravvio o di manutenzione dei compressori.

Una serie di tubi in ferro, di diametro progressivamente decrescente per compensare le perdite di carico, portava l’aria compressa dai serbatoi ai siti di attività mineraria, passando per i pozzi Sella e Vittorio Emanuele.

La Sala Compressori può, quindi, essere indicata come il vero cuore della miniera, senza la quale nessuna delle macchine usate in galleria avrebbe potuto operare.

A causa degli alti costi di funzionamento i compressori furono fermati nel 1980, sostituiti da piccoli compressori elettrici, operanti direttamente nelle gallerie al servizio delle macchine in uso.

Recuperata e restaurata agli inizi del XXI secolo e messa a disposizione della Comunità per attività culturali, nella seconda decade del XXI secolo è stata nuovamente abbandonata e a fine 2019 è ridotta in rovina (fig. 12).


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[2] Costruito nel 1920 per i figli dei minatori e intitolato a Renzo Sartori, figlio dell’Ig. Francesco Sartori, morto dodicenne per setticemia.


Fig. 9 - L'area mineraria di Monteponi (fonte GoogleEarth)

Fig. 10 - Galleria Villamarina a Monteponi

Fig. 11 - Il Palazzo Bellavista a Monteponi

Fig. 12 - La sala compressori di Monteponi, in rovina (2019)

Miniera di Su Zurfuru


La miniera di Su Zurfuru è situata in vicinanza della SS126, 1.5 km a S di Fluminimaggiore (fig. 13).

Scoperta nel 1888, fu data in concessione con RD del 30 giugno 1889 alla “The Victoria Mining Company Limited”, poi ceduta, con atto del 24 agosto 1905, alla Pertusola e alla stessa confermata in perpetuo con DM del 20 luglio 1929.

La Pertusola detenne la concessione fino al 16 novembre 1969, quando con DA n. 313 la stessa concessione fu trasferita alla Piombo Zincifera Sarda SpA, per poi seguire la stessa trafila delle altre miniere metallifere sarde fino alla chiusura del 1993.

Con Det. 385 del 21 marzo 2000 la concessione inattiva è passata sotto la gestione di IGEA S.p.A.


L’Associazione “Su Zurfuru Mine”, costituita da un gruppo di minatori e appassionati di storia e archeologia mineraria con la collaborazione del Comune di Fluminimaggiore, ha assunto dal maggio 2016 la gestione del sito (fig. 14) con l’impegno di valorizzarlo e renderlo fruibile.

Il percorso museale, grazie al quale si possono conoscere le attrezzature e gli strumenti da lavoro, le documentazioni, i macchinari originali del sito e gli oggetti personali degli ex-minatori, si articola nella visita a:

  • La Mostra “Una vita nel buio”: in cui è rappresentato uno spaccato della vita mineraria dalla fine del XVIII secolo ai giorni nostri. Di notevole importanza la collezione di lampade da minatore che ripercorre la storia dell'illuminazione in miniera.

  • La Sala turbina: con il generatore idroelettrico di corrente, connesso alla Fonte di Pubusinu attraverso un impianto di canalizzazione lungo circa 5 km, installato nel 1895, primo in Sardegna.

  • Il Compressore: un grosso e pesante macchinario ad altissima tecnologia prodotto a New York dalla società americana Ingersol Rand Company che, grazie all’energia fornita del generatore idroelettrico produceva l’aria compressa per le perforatrici usate in galleria.

  • La Laveria (fig. 15): che comprende un mulino Simmons, utilizzato per la frantumazione primaria del materiale, e due batterie Denver di celle di flottazione completamente in legno, di straordinaria importanza dal punto di vista dell'archeologia industriale.

Anche in questo caso, l’acqua utilizzata in laveria proveniva da una condotta alimentata dalle sorgenti di Pubusinu.

Fig. 13 - La miniera di Su Zulfuru (fonte GoogleEarth)

Fig. 14 - Miniera di Su Zurfuru

Fig. 15 - La laveria della miniera di Su Zurfuru