La legislazione mineraria nella Storia

La legislazione in età medioevale

Con la caduta dell’Impero romano l’attività mineraria, svolta nel Medio Evo sulla base prevalente di associazioni di minatori (Compagnie), pur continuando a riferirsi alle norme e alle usanze previste dal Diritto romano, assunse necessariamente un carattere più locale, adattandosi alle condizioni socio-economiche e ambientali dei vari siti e causando la proliferazione di usanze e codici normativi diversi, di cui si accenna di seguito ai principali:

Al diritto minerario, simile allo Statuto di Massa Marittima e alla Breve di Villa di Chiesa, afferiscono 10 rubriche della parte civile.


Si è arrivati così all'età moderna e agli Stati in cui era divisa l'Italia pre-unitari, ciascuno dotato di una legislazione mineraria, più o meno organica. (Legislazione pre-unitaria)

Fig. 1 - Il Breve di Villa di Chiesa

La legislazione pre-unitaria

Nella tabella 1 è sintetizzato il panorama di leggi minerarie che regolamentavano le attività estrattive nei vari stati pre-unitari e le regioni (o province) post-unitarie in cui furono applicate successivamente al processo di unificazione politica.

Gli elementi che differenziano in modo significativo le varie leggi sono:

Nel primo, la proprietà del suolo è separata da quella del sottosuolo, che appartiene al Demanio; nel secondo, non vi è separazione tra proprietà del suolo e del sottosuolo, per cui è nel diritto del proprietario del fondo di coltivare il giacimento ivi localizzato, previo un permesso di apertura (aperiatur) e il pagamento di una quota, o affidare la coltivazione a terzi sulla base di un accordo gestito sempre dal proprietario fondiario.

Solo nel caso che, pur in presenza di chiari segni della presenza di un giacimento, il proprietario, direttamente o per conto terzi, non si curi di procedere alla coltivazione, la decisione passa allo Stato che concede il giacimento, salvo compenso da stabilirsi da attribuire al proprietario (art. 2 della legge borbonica del 1826).

Tra gli stati pre-unitari solo due, ma importanti sia politicamente che minerariamente, adottavano il regime fondiario: il Granducato di Toscana, con l’esclusione delle miniere di ferro dell’Elba e Piombino, e il Regno delle Due Sicilie.

In Sicilia, in particolare, come sarà meglio approfondito nel capitolo specifico, gli effetti del regime fondiario hanno generato, in particolare nel settore delle miniere di zolfo, un proliferare indiscriminato di coltivazioni, tanto che l’estensore del relativo capitolo per il Repertorio delle Miniere del 1921 scriveva: «Le miniere esistenti in Sicilia ammontano a più di 1300, di cui 1274 di solfo; ma essendo la maggior parte di esse di assai limitata importanza, od in condizioni tali da non poter essere esercitate con profitto, si è ritenuto opportuno di indicare nel presente elenco soltanto quelle [65 in totale, NdR]  che si ritengono suscettibili di una lunga ed utile coltivazione.»


In realtà, le uniche tre leggi che individuano con precisione i minerali di 1a classe sono la legge sarda del 1859, la legge montanistica austriaca del 1854 e la legge napoleonica del 1808, mentre in generale tutte le altre leggi a regime demaniale, fatto salvo in parte il Decreto del Ducato di Parma, non differenziano tra le varie sostanze minerali.

Di fatto l’esistenza di minerali di 1a  categoria nelle legislazioni pre-unitarie diventa significativa per confronto con la classificazione del R.D. 1443/1927, che ne ampliandola notevolmente con l’introduzione di minerali come Marna da Cemento, Talco, Amianto, Minerali ceramici, particolarmente abbondanti nelle regioni dove già vigeva una legislazione simile, come la Lombardia e il Piemonte, ha prodotto un’evidente soluzione di continuità nel numero e nel tipo di concessioni, particolarmente evidente in Piemonte in rapporto alle concessioni di Marna da cemento, nulle prima del 1927, arrivate alla quota di 162 già nei primi anni ’30 del secolo scorso.

Tab. 1 – Leggi minerarie degli stati pre-unitari

(continua nella Legislazione nazionale vigente)