La legislazione mineraria nella Storia
La legislazione in età medioevale
Con la caduta dell’Impero romano l’attività mineraria, svolta nel Medio Evo sulla base prevalente di associazioni di minatori (Compagnie), pur continuando a riferirsi alle norme e alle usanze previste dal Diritto romano, assunse necessariamente un carattere più locale, adattandosi alle condizioni socio-economiche e ambientali dei vari siti e causando la proliferazione di usanze e codici normativi diversi, di cui si accenna di seguito ai principali:
Il Codice Vanghiano: il primo caso di codificazione scritta riguardò il territorio di Trento, dove il 19 giugno 1209 fu redatto il cosiddetto Codice Vanghiano, noto anche come “libro di San Vigilio”. Basandosi su varia documentazione, più specificamente sul preesistente “Statuto di Trento” del 1185, il Principe Vescovo Federico Vanga, eletto a presiedere tutto l’Episcopato di Trento il 9 agosto 1207, seppe riordinare e disciplinare fino alla sua morte in Terra Santa nel 1218, tutte le leggi, normative e usanze del settore minerario, definendo in modo chiaro i diritti e gli obblighi delle corporazioni minerarie e dei loro membri verso il Vescovo, con le loro reciproche relazioni spesso non semplici e riguardanti le ripartizioni degli utili e il dovere di vendere il coltivato delle “vene metalliche” solo alla Comunità di Trento.
Gli Statuti minerari di Brosso: data al 5 gennaio 1244 la prima regolamentazione delle miniere di Brosso, emanata dai signori locali, i Conti di San Martino. Per gli Statuti veri e propri occorrerà, tuttavia, attendere il 1° gennaio 1497 quando, con atto pubblico, gli uomini di Brosso diedero forma alle norme che dovevano regolare i lavori minerari, il taglio dei boschi, i pascoli e l’amministrazione della Confraternita di Santo Spirito, patronato che assisteva i poveri e le famiglie dei lavoratori infortunati con i proventi ricavati dall’auto-tassazione dei lavoratori stessi; si stabilirono cosi gli obblighi ed i diritti, nonché i tempi di lavoro e di sfruttamento che sia i proprietari dei terreni sia gli artigiani dovevano rispettare.
Lo Statuto di Massa Marittima (Grosseto): pubblicato nel 1310 e denominato “Ordinamenta facta super arte fossarum rameriae et argenteriae civitatis Massae”, rappresentò una prima costituzione europea con la regolamentazione sia delle attività estrattive che, per la prima volta, delle lavorazioni metallurgiche.
Il “Breve” di Villa di Chiesa di Sigerro (Iglesias), pubblicato nel 1327, vero e proprio Statuto della Città, era articolato in 4 libri, l'ultimo dei quali riportava disposizioni per le attività delle Compagnie di minatori (communi) che operavano soprattutto nell’Iglesiente. Redatta in lingua pisana originale, era stata realizzata uniformando alcune norme di tradizione con altre che erano già in esercizio nella Toscana dei Governatori Pisani, che a quel tempo governavano la Sardegna (fig. 1).
Gli Statuta Rivi (Statuti di Rio), risalenti agli inizi del XIV secolo, più volte riscritti fino alla forma attuale di inizio XVI secolo, con supplementi della seconda metà del XVIII secolo. Si tratta di un codice composto da 6 fascicoli con 31 fogli di pergamena e di carta, che contengono 137 rubriche, divise in una parte civile (110) e una parte penale (27).
Al diritto minerario, simile allo Statuto di Massa Marittima e alla Breve di Villa di Chiesa, afferiscono 10 rubriche della parte civile.
Lo Statuto di Bovegno (Brescia), compilato nel 1341 da dodici sapienti eletti dalla riunione di vari comuni componenti l’Alta Valle Trompia (vicinia), dove viene esplicitamente indicato che le coltivazioni minerarie erano condotte da piccole Compagnie di minatori (societas medolorum) e si dava ampia libertà di sfruttamento, naturalmente nel rispetto di precise regole: «…stabiliamo e ordiniamo che volendo qualsivoglia persona fare qualche “medolo”, possa e abbia la possibilità di cominciare ove vuole o in qualsiasi luogo e nel territorio di qualsivoglia individuo si trovi e dove a lui sia piaciuto…» (Dal primo capitolo degli ordinamenti bovegnesi).
La legislazione mineraria nella Repubblica Veneta: nella Repubblica Veneta le coltivazioni minerarie presero avvio all’inizio del XV secolo da alcuni ricercatori tedeschi che, avendo una lunga esperienza e tradizione, si dedicarono all’esplorazione dei territori, chiedendo il relativo permesso di coltivazione e obbligandosi a consegnare al fisco, secondo gli usi di Oltralpe, la decima parte del metallo ottenuto. Il metallo residuo era lasciato ai concessionari, con piena libertà di uso e di traffico, salva la limitazione di portarlo direttamente al mercato veneziano con diritto di prelazione dello Stato a prezzo di mercato “de illis reperirent a mercatoribus”. Solo nel 1488 venne emanato dall’Eccelso Consiglio dei Dieci, lo Statuto con “Capitoli et ordini minerali” «…per ovviar a molti, inconvenienti, et scandali che ogni zorno occorreva per le Buse et Minere di Alemanna, tra coloro che cavava dette Buse et Minere», nel cui primo capitolo era detto esplicitamente «…che una Compagnia non possi essere haver in una montagna più di tre Buse».
Si è arrivati così all'età moderna e agli Stati in cui era divisa l'Italia pre-unitari, ciascuno dotato di una legislazione mineraria, più o meno organica. (Legislazione pre-unitaria)
Fig. 1 - Il Breve di Villa di Chiesa
La legislazione pre-unitaria
Nella tabella 1 è sintetizzato il panorama di leggi minerarie che regolamentavano le attività estrattive nei vari stati pre-unitari e le regioni (o province) post-unitarie in cui furono applicate successivamente al processo di unificazione politica.
Gli elementi che differenziano in modo significativo le varie leggi sono:
il regime proprietario del sottosuolo, in cui si inquadra il procedimento amministrativo di apertura di una nuova miniera, regime che può essere di due tipi: demaniale o fondiario.
Nel primo, la proprietà del suolo è separata da quella del sottosuolo, che appartiene al Demanio; nel secondo, non vi è separazione tra proprietà del suolo e del sottosuolo, per cui è nel diritto del proprietario del fondo di coltivare il giacimento ivi localizzato, previo un permesso di apertura (aperiatur) e il pagamento di una quota, o affidare la coltivazione a terzi sulla base di un accordo gestito sempre dal proprietario fondiario.
Solo nel caso che, pur in presenza di chiari segni della presenza di un giacimento, il proprietario, direttamente o per conto terzi, non si curi di procedere alla coltivazione, la decisione passa allo Stato che concede il giacimento, salvo compenso da stabilirsi da attribuire al proprietario (art. 2 della legge borbonica del 1826).
Tra gli stati pre-unitari solo due, ma importanti sia politicamente che minerariamente, adottavano il regime fondiario: il Granducato di Toscana, con l’esclusione delle miniere di ferro dell’Elba e Piombino, e il Regno delle Due Sicilie.
In Sicilia, in particolare, come sarà meglio approfondito nel capitolo specifico, gli effetti del regime fondiario hanno generato, in particolare nel settore delle miniere di zolfo, un proliferare indiscriminato di coltivazioni, tanto che l’estensore del relativo capitolo per il Repertorio delle Miniere del 1921 scriveva: «Le miniere esistenti in Sicilia ammontano a più di 1300, di cui 1274 di solfo; ma essendo la maggior parte di esse di assai limitata importanza, od in condizioni tali da non poter essere esercitate con profitto, si è ritenuto opportuno di indicare nel presente elenco soltanto quelle [65 in totale, NdR] che si ritengono suscettibili di una lunga ed utile coltivazione.»
la distinzione tra minerali di 1^ e 2^ categoria, per cui solo quelli di 1a (miniere) sono soggetti, se previsto, al regime demaniale, mentre per gli altri (cave) vale solo il regime fondiario.
In realtà, le uniche tre leggi che individuano con precisione i minerali di 1a classe sono la legge sarda del 1859, la legge montanistica austriaca del 1854 e la legge napoleonica del 1808, mentre in generale tutte le altre leggi a regime demaniale, fatto salvo in parte il Decreto del Ducato di Parma, non differenziano tra le varie sostanze minerali.
Di fatto l’esistenza di minerali di 1a categoria nelle legislazioni pre-unitarie diventa significativa per confronto con la classificazione del R.D. 1443/1927, che ne ampliandola notevolmente con l’introduzione di minerali come Marna da Cemento, Talco, Amianto, Minerali ceramici, particolarmente abbondanti nelle regioni dove già vigeva una legislazione simile, come la Lombardia e il Piemonte, ha prodotto un’evidente soluzione di continuità nel numero e nel tipo di concessioni, particolarmente evidente in Piemonte in rapporto alle concessioni di Marna da cemento, nulle prima del 1927, arrivate alla quota di 162 già nei primi anni ’30 del secolo scorso.
Tab. 1 – Leggi minerarie degli stati pre-unitari
(continua nella Legislazione nazionale vigente)