Le miniere di ferro di Traversella e Brosso

Giacimentologia e mineralogia


I giacimenti minerari di Traversella e Brosso, posti sul versante nord-orientale della Valchiusella, poco a Nord-Ovest di Ivrea, sono contraddistinti da una notevole affinità genetica in quanto la loro formazione è legata allo stesso evento, l‛intrusione del cosiddetto Plutone di Traversella, massa magmatica insinuatasi durante l‛Oligocene (39÷33 Ma) all’interno dell’unità Sesia-Lanzo, caratterizzata essenzialmente da vari tipi di gneiss e di micascisti, con intercalazioni di banchi calcareo-dolomitici di potenza variabile.

Il plutone, di composizione prevalentemente granodioritica, ha prodotto all’interno delle rocce preesistenti una serie di vistose modificazioni che, nel loro insieme, individuano un’areola metamorfica di contatto, che circonda l‛intero corpo magmatico.

In particolare, i calcari sono stati trasformati in parte in marmi saccaroidi e in parte in cornubianiti con, tra gli altri minerali, granato e wollastonite, entro cui si sono incluse, in forma di grandi apofisi, le mineralizzazioni metalliche generate dalla diffusione dei fluidi mineralizzanti nelle ultime fasi di raffreddamento del plutone.

I livelli di cornubianiti, che costituiscono il cosiddetto produttivo, si presentano in banchi di varia potenza ed estensione, spesso pieghettati e stirati, orientati grosso modo Nord-Sud con una inclinazione di circa 40-50° verso Est.

Nel complesso i corpi sono distribuiti in una zona di circa 45-60 ettari, allungata per 1.5 km in direzione N-S.

Le mineralizzazioni (skarn) sono rappresentate prevalentemente da magnetite con ematite secondaria e con associati pirrotina, pirite, calcopirite, bornite, cubanite, tetraedrite, wolframite, scheelite, uraninite (fig. 2).

La roccia incassante contiene soprattutto da quarzo, carbonati (calcite, dolomite, siderite, ecc.) e vari silicati (pirosseni, anfiboli, miche, cloriti, serpentini, talco, granati, epidoto ...).

Tra i minerali minori coltivabili nel giacimento di Traversella meritano una speciale menzione la scheelite e l’uraninite.

La scheelite (wolframato di calcio, CaWO4) proviene principalmente da due grandi corpi mineralizzati, fra loro nettamente distinti e localizzati a nord del giacimento, e si presenta sia distribuita con una certa uniformità nella roccia sia in cristalli isolati o anche raggruppati, di dimensioni che raggiungono talora parecchi centimetri (fig. 3).

Poichè i due corpi presentano una pendenza importante (>50°) e, quindi, un forte sviluppo verticale, la mineralizzazione è fortemente influenzata anche dalla localizzazione altimetrica, in particolare per quanto riguarda le associazioni mineralogiche.

L’uraninite (ossido di uranio, UO2) torifera si presenta in forma di cristallini idiomorfi millimetrici, è fragile, con lucentezza submetallica, di colore nero e molto pesante (p.s. 9). Nel giacimento è associata a minerali metalliferi prevalentemente solfurati (pirrotina, calcopirite e molibdenite) e solo subordinatamente a magnetite, scheelite, wolframite, pirite e arsenopirite. La roccia incassante è sempre ricca di silicati scuri (miche nere, cloriti, anfiboli, pirosseni, olivine, serpentino, talco), a cui sono associate, in quantità subordinata, matrici carbonatiche e quarzose.

L’uraninite rappresenta uno dei prodotti deposti dai convogli mineralizzanti, dalla cui azione metamorfosante si originarono in primo luogo i numerosi litoidi di neoformazione. In particolare, una mineralizzazione è localizzata, per tutta la sua potenza, nella parte meridionale del primo corpo di scheelite.


Il giacimento di Brosso (fig. 4), localizzato al margine sud-orientale del Plutone di Traversella (fig. 1), si articola in tre tipologie di mineralizzazioni, in funzione della distanza dal plutone e della tipologia della roccia incassante:

  1. vene a quarzo e arsenopirite negli scisti, associate alla presenza di solfuri (pirite, calcopirite, pirrotina, blenda, galena) e oro, con presenza di siderite e calcite nella banda centrale.

Le paragenesi osservate, significativamente costanti su tutta l’area, indicano una probabile genesi idrotermale e una forte correlazione con le mineralizzazioni di Traversella.

  1. lenti ematite-pirite diffuse nei marmi dolomitici intercalati nei micascisti, principale corpo mineralizzato coltivato nelle miniere di Brosso.

Le lenti, di forma irregolare, si sviluppano in particolare al contatto tra micascisti e marmi, raggiungendo il massimo spessore ed estensione in corrispondenza di piccole faglie dirette da N70°E a N45°E con immersione verso nord.

L’ematite è il primo minerale formato che, successivamente, può essere parzialmente sostituito dalla magnetite. La pirite cresce intorno all’ematite, presentando piccole intrusioni di altri solfuri (pirrotina, calcopirite, blenda e galena).Anche in questo caso si osserva una sostanziale uniformità della paragenesi su tutta l’area.

La mineralizzazione, confinata negli orizzonti carbonatici, è ulteriormente limitata entro i 700 m dal plutone con genesi pirometasomatica da contatto collegata al gradiente fisico-chimico tra plutone e rocce intruse.

  1. skarn a magnetite e pirite localizzati nei marmi più vicini al contatto contengono un gran numero di minerali (più di 40) che si sono assemblati in tempi e condizioni diverse.

Fig. 1 - Sezione geologica del giacimento di Traversella (da Gallo, 2007)

Fig. 2 - Sezione geologica del giacimento di Traversella (da Gallo, 2007)

Fig. 3 - Cristalli di scheelite in skarn micaceo-cloritico-serpentinosa (a), cristallo ricoperto di lamelle cloritiche (b)

Fig. 4 – Sezione schematica dell’area mineralizzata di Brosso (Gruppo della Valchiusella, 2013)

La distribuzione dei vari aggregati di minerali in questo tipo di mineralizzazione mostra un’articolazione in tre gruppi differenti in funzione dell’evoluzione dell’ambiente di formazione:

  • 1° stadio di mineralizzazione, con presenza di olivine, brucite, antigorite, magnetite, crisotilo, pirite e grafite.

È localizzato prevalentemente a SE dell'area mineraria, mentre nelle altre zone è sostituito, totalmente o parzialmente ma sempre gradualmente, dalle associazioni corrispondenti agli stadi successivi.

La formazione dei nuovi minerali è avvenuta senza modificazione volumetrica ma con variazione di peso specifico (da 2.8 a 4). Questo aspetto e l’uniformità dell’associazione nel banco mineralizzato sembrano indicare l’assenza di un gradiente di temperatura e pressione e la formazione dei nuovi minerali per sostituzione di Ca e CO2/CO con B, Fe, Si, S e F;

  • 2° stadio di mineralizzazione con, in ordine di abbondanza, pirrotina, anfiboli, pirosseni, talco, calcopirite, blenda, ilmenite, galena e arsenopirite, che sostituiscono i minerali del 1° stadio, tranne antigorite e brucite che sono più stabili.

È localizzato principalmente a E dell’area limitatamente a due vene quasi verticali che, seguendo fratture orientate come nel caso delle vene a quarzo e arsenopirite, attraversano lo spessore dello skarn senza invadere i micascisti circostanti.

Anche in questo caso la trasformazione è avvenuta senza una significativa variazione di volume, mentre la paragenesi osservata e la scarsa mineralizzazione associata a questo stadio suggeriscono una fase di formazione pneumatolitica di breve durata;

    • 3° stadio di mineralizzazione, caratterizzato da associazioni mineralogiche variabili in funzione dello sviluppo dell’aureola di contatto nei micascisti è localizzato lungo un’ampia cintura in direzione NE, corrispondente anche in questo caso ai trend tettonici post-magmatici.

In questa cintura sono sempre presenti ematite, pirite, calcopirite, blenda, galena e marcassite, mentre quarzo, apatite, pirosseni, anfiboli e cloriti ferrose sono confinati alla parte centro-occidentale della cintura.

Cenni storici


L’intensa attività mineraria di coltivazione dei minerali di ferro in Val Chiusella risale, probabilmente, all’epoca romana, come testimonia il ritrovamento di alcune monete risalenti a circa il 300 a.C. in vicinanza di Traversella, in un cosiddetto “croso”, piccolo tunnel di ricerca per giacimenti di ferro.

Ma le prime reali tracce di coltivazione risalgono all’anno 1487, indicato in documenti che provano i lavori estrattivi nell’area, riportando la sentenza dell’amministrazione della Savoia che stabiliva il diritto degli abitanti di Brosso e Traversella al “libero e pacifico possesso dei minerali di ferro”.

Altre tracce dell’attività mineraria risalgono al 1570, in un manoscritto che fa riferimento alla lite intentata dinnanzi alla Regia Camera del Procuratore Fiscale del Duca Emanuele Filiberto contro la Comunità di Traversella sul diritto di coltivare le miniere di ferro in quel territorio.

Durante il XVIII secolo l’attività mineraria si sviluppò grazie alla scoperta, nel 1716, della principale vena di minerali di ferro in località Pian del Gallo, finché nel 1723 la Savoia decise di applicare una tassazione al minerale estratto.

Il periodo 1732-1884, durante il quale i lavori minerari divennero la principale attività economica della valle, è noto come l’età dell’oro per Traversella la cui popolazione durante il XIX secolo raddoppiò passando da 1000 a 2000 unità, livello mai più raggiunto in seguito (fig. 5).

Con lo sviluppo dell’attività sorse anche l’esigenza di una sua regolamentazione e il primo documento che vi faceva riferimento fu pubblicato dal Comune il 9 dicembre 1797.

Per evitare abusi nello sfruttamento delle miniere, si stabiliva che nell’aprire nuovi pozzi si dovesse osservare una distanza minima di 20 piedi dal pozzo più vicino e che fosse fatto obbligo di approfondire i lavori e di sfruttare le miniere seguendo tutte le regole dell’arte mineraria. Inoltre, ogni imprenditore doveva provvedere a realizzare uno sfogo per lo scolo delle acque senza immetterle nelle aree di lavoro del vicino o, in alternativa, realizzando l‛opera con la maggiore precauzione possibile per non creare danni.

Chi non rispettava tali prescrizioni era punito con la privazione del diritto di sfruttamento della propria parte di miniera, che sarebbe tornata alla Comunità, la quale poi poteva decidere liberamente a chi affidarla.

Gli abusi però persistevano, gravando anche su donne e bambini, che partecipavano al trasporto del minerale, portando sulla schiena il carico in recipienti di legno, camminando curvi attraverso un dedalo di passaggi scavati qua e là in maniera caotica.

Una grande catastrofe, che essendo avvenuta di domenica fortunatamente non provocò vittime, si verificò il 29 giugno 1819, quando un crollo distrusse tutto l‛intricato labirinto di gallerie scavate nella parte del giacimento noto con il nome di Riondello, costringendo i cavatori e le autorità a ripensare e razionalizzare i lavori di estrazione [1].

Il 30 giugno 1840, dopo anni di contenziosi, Carlo Alberto emanò un editto, divenuto successivamente legge il 20 novembre 1859, in virtù del quale lo Stato avocava a sé la proprietà del sottosuolo, mettendo in tal modo termine in tutto il Regno alle numerose dispute in materia mineraria: i secolari diritti del Comune sulle miniere di Traversella venivano così ridotti alla sola riscossione del canone sul minerale scavato.

L‛elaborazione dei primi progetti organici di coltivazione fu supportato da una serie di studi mineralogici, giacimentologici e ingegneristici.

Nel 1855 Quintino Sella, ingegnere minerario, oltre che noto statista, sperimentò per la prima volta a Traversella la cernitrice magnetica .

Una prima valutazione globale della produzione dell’area di Traversella dall’origine delle coltivazioni al 1884, stimò in 342,000 tonnellate il quantitativo di minerale estratto (per una produzione di ferro di 114,000 tonnellate con tenore medio del 33%) e in 75 km la lunghezza complessiva delle escavazioni sotterranee.

Tuttavia, già dopo il 1848 la forte concorrenza generata dall'importazione di ferro dall’estero cominciò a riflettersi negativamente su tutta l‛industria estrattiva e siderurgica italiana non più competitiva sul mercato, finché dal 1850 le miniere di Traversella cessarono di essere coltivate e rimasero in attività solo alcuni scavi nella regione di Riondello, da cui si estraeva il minerale di ferro necessario all‛alimentazione dell’altoforno di Pont Saint Martin, allo sbocco della Valle d‛Aosta (fig. 6).

Nonostante alcuni tentativi di coltivazione di minerali del rame, l'abbandono delle attività si protrasse fino al 1900, quando fu fondata la Società Anonima delle Miniere di Traversella, in cui vennero raggruppate tutte le concessioni esistenti.

I proprietari, il Barone de Watteville, E. T. Read e l‛ingegner Alcide Froment, che ricopriva anche il ruolo di direttore delle miniere, avviarono importanti lavori per la riattivazione delle gallerie e fecero costruire impianti di lavorazione del minerale tecnologicamente molto avanzati, tra i quali un nuovo separatore magnetico, con cui si separava il minerale di ferro dalla ganga sterile, seppur con alte percentuali di zolfo.

Restava irrisolto il problema del recupero del rame e Froment, osservando il comportamento della calcopirite sulle tavole a scosse, ideò un nuovo sistema di separazione, la flottazione per schiuma, che prese poi il suo nome.

Venne così avviato il trattamento industriale per l‛estrazione del rame dal materiale accumulato nelle discariche all’esterno, ma l’intervento non sortì risultati economicamente apprezzabili.

Con RD del 13 luglio 1911 le tre concessioni attive (Riondello, Borghino Lias e Castiglione) furono unificate in una nuova concessione denominata Traversella.

Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1914 la società concessionaria venne incorporata nella FIAT e i lavori, sospesi durante la prima guerra mondiale, ripresero nel 1919, con nuove ricerche, indagini geofisiche, sondaggi e tracciamento di nuove gallerie (fig. 7).

Con DM del 18 febbraio 1929 (GU 107/1929) fu confermata alla FIAT la concessione perpetua della miniera, ai sensi dell’allora nuovo RD 1443 del 29 luglio 1927.

Nel 1937 la FIAT stipulò un contratto con la Società Nazionale Cogne per il trattamento delle vecchie discariche utilizzando gli impianti di arricchimento magnetico esistenti.

Gli scavi in galleria ripresero nel 1949 e proseguirono nel 1950 con il sistema di coltivazione a magazzino.

Gli interventi si svilupparono entro due masse di magnetite mista a pirite e calcopirite, una nella zona Bertolino e l‛altra nella zona Ferriere n. 2.

Furono estratte complessivamente 2,060 tonnellate di magnetite, 247 di pirite, 59 di calcopirite e 1.8 di scheelite.

In seguito, l’attività riguardò principalmente la manutenzione straordinaria del sotterraneo, mentre continuava, seppure a ritmo ridotto, la coltivazione con il sistema a magazzino nella massa Ferriere n. 2.

Tra il 1952 e il 1962 furono risistemate alcune gallerie e ripresero le attività, provvedendo ad eseguire delle ripiene nella parte del giacimento precedentemente coltivato con il metodo dei pilastri abbandonati.

Negli ultimi anni la produzione si ridusse a circa 100 tonnellate/giorno di tout-venant al 30% di minerali del ferro, con tenori di 40-50 ppm di scheelite e 2-3 ppm di uraninite.

Nel 1969, infine, l‛attività all‛interno della miniera cessò completamente, le officine furono smantellate e nel 1971 gli stabilimenti chiusero definitivamente.


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[1] Si stima che nel 1835 in Traversella esistessero circa 80 cantieri per 11 proprietari, con una produzione di circa 7,840 ton di grezzo per 1,870 ton di ferro.

Fig. 5 – Evoluzione temporale della popolazione del comune di Traversella

Fig. 6 – Produzione annuale della miniera di Traversella tra il 1734 e il 1883

Anche in territorio di Brosso le coltivazioni risalgono ad epoca romana, ma per l'estrazione della galena argentifera da parte, in particolare, dei prigionieri condannati "ad metalla", cioè ai lavori forzati nelle miniere metallifere.

Bisognerà però arrivare fino agli inizi dell'XI secolo per avere una documentazione attendibile, quando la famiglia dei S. Martino di Castellamonte cominciò l’attività mineraria, proseguendola fino alla fine del XIV secolo, periodo in cui la popolazione della valle di Brosso riuscì a rivoltarsi contro il potere feudale, passando, nel 1387, sotto la Casa di Savoia.

Quasi tutto il secolo successivo passò tra rivolte popolari e tentativi dei feudatari di riassumere il controllo delle miniere.

Solo nel 1487, come già ricordato, l'amministrazione della Savoia riconobbe alla Comunità di Brosso e Traversella il diritto allo sfruttamento delle miniere.

Nacque allora l’esigenza di criteri che regolassero il lavoro e fossero alla base di leggi ufficiali per l’industria mineraria, che culminò con la redazione, nel 1497, di Statuti storicamente rilevanti, configurandosi tra le più antiche leggi minerarie italiane.

Nel 1561 il Duca Emanuele Filiberto riaffermò il principio del Diritto Classico Romano, che affermava il diritto del proprietario del fondo anche sui beni del sottosuolo.

Solo nel 1859 la nuova legge mineraria introdusse il regime demaniale, secondo cui i beni del sottosuolo appartengono alla Nazione che li affida in concessione a chi dimostra di saperne e poterne trarre profitto.

Tornando alla storia delle miniere, i secoli XVI e parte del XVII rappresentano un periodo di grande crisi dell'attività, anche per la concorrenza del ferro importato dall'Inghilterra.

A causa della produzione del vetriolo verde (solfato ferroso eptaidrato, FeSO47H2O) usato per la fabbricazione delle tinture, la pirite, già minerale di scarto, divenne la risorsa principale.

Nacquero così nuove fabbriche per la produzione del vetriolo e, successivamente, dell'acido solforico che utilizzavano la pirite di Brosso.

Dopo una serie di passaggi, nel 1839 le proprietà industriali e minerarie vennero cedute ai fratelli Giuseppe, Ignazio e Camillo Sclopis: le due concessioni di Lessolo, comune confinante con Brosso, Baio (RD 19 marzo 1842) e Montefiorito (RD 28 gennaio 1859) furono riunite in una sola (Baio e Montefiorito) assegnata, con RD 11 giugno 1893, all’ing. Vittorio Sclopis, figlio di Giuseppe, con ampliamento dei limiti e un’estensione finale di 900 ettari, mentre quelle di Brosso, Bore I (RD 19 giugno 1858) e Bore II (RD 19 giugno 1858) rimarranno separate prima di essere unite in un’unica concessione, denominata Bore, con RD 12 settembre 1912 sempre intestato all’ing. Vittorio Sclopis.

Nel periodo Sclopis la coltivazione della pirite, usata per la fabbricazione dell’acido solforico in alternativa allo zolfo, aumentò, finché, nel 1858, si riuscì a rendere indipendente dall’estero la fabbrica di acido solforico, con sede a Torino.

Con il passaggio dal vetriolo all'acido solforico, la produzione di pirite decuplicò e ciò comportò una riorganizzazione dell'attività mineraria, con migliorie sia nelle tecniche di coltivazione sia in quelle di trattamento.

Nel 1907, dopo la costruzione di una teleferica lunga 3500 metri per il trasporto del concentrato fino alla stazione ferroviaria di Montalto Dora (fig. 8), si ebbe un forte e improvviso abbassamento dei prezzi della pirite, che si ripercosse sul salario dei minatori con un conseguente malcontento che portò alla formazione da parte dell’Unione minatori di Brosso di una “Lega di Resistenza”, allo scopo di contrastare lo sfruttamento padronale.

La Lega ebbe un rapido sviluppo, dando finalmente un’importanza rilevante al gruppo sociale dei minatori con la formazione delle “Camere del Lavoro” organizzate a livello territoriale.

Con lo scoppio della 1a Guerra Mondiale le aziende di Sclopis, come molte altre industrie, si convertirono alla produzione bellica, specializzandosi soprattutto nella produzione di esplosivi, in cui veniva utilizzato l’acido solforico prodotto con la pirite estratta dalle miniere.

Finita la guerra, tuttavia, iniziò il declino dell’azienda anche a causa della morte dell’ing. Vittorio, avvenuta a Torino l’11 aprile 1918; le miniere passarono, quindi, agli eredi Dott. Alessandro e Ing. Giuseppe Sclopis.

Con DM 7 maggio 1927 le due concessioni “Baio” e “Bore” furono autorizzate alla cessazione dell’esercizio ma, dopo l’entrata in vigore del RD n. 1443 del 29 luglio 1927, le stesse concessioni vennero confermate e unificate in un’unica concessione denominata ”Baio e Bore”, intestata Società anonima Sclopis e C. (DM 29 marzo 1929 in GU 126/1929).

Nel 1931 le miniere furono cedute alla Montecatini, anche se il relativo DM di intestazione venne emesso solo il 27 ottobre 1938 (GU 295/1938), insieme a quelli relativi ad altre 25 concessioni di pirite passate alla società milanese.

La Montecatini continuò a sfruttare i giacimenti, principalmente per la pirite, fino al 1964, anno della definitiva chiusura della miniera, ratificata con DM 16 settembre 1967 (GU 293/1967) di accettazione della rinuncia della concessionaria.

Fig. 7 – Area mineraria di Traversella nel 1923

Fig. 8 – Funivia miniere di Brosso (a sinistra) e stazione di Montaldo Dora (a destra)