Lotte sindacali

in Sicilia

Scioperi e agitazioni sindacali nelle miniere di zolfo

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«Nelle zolfare ogni cosa cospirava perché la vita quotidiana fosse punteggiata da conflitti individuali che scoppiavano tra picconieri e carusi, tra gli stessi carusi, tra picconieri rivali, tra costoro ed i capomastri, i titolari delle botteghe, gli esercenti».

In questo contesto è facile comprendere la propensione dei zolfatari al conflitto sindacale e il valore che essi attribuivano all’istituto dello sciopero.

Dopo i primi casi di astensione del lavoro avvenuti intorno al 1880, la prima vasta agitazione si sviluppò nel 1890 a causa della continua flessione del livello salariale giornaliero ─ passato, per un picconiere, dalle 2.90 lire del 1876 alle 1.90 del 1888 (-34.49%) ─ mentre le quotazioni di mercato dello zolfo tornavano ad aumentare dopo 5 anni di difficoltà.

Tra il 1891 e il 1893, si diffusero in tutta l’isola i Fasci, organizzazioni operaie e contadine di ispirazione socialista, miranti in particolare al mantenimento o all’aumento di salari e prezzi di cottimo attraverso scioperi e dimostrazioni di piazza.

Un primo embrione di Fascio minerario si costituì a Favara, sin dal giugno del 1890, quando gli zolfatari, dopo giorni di agitazione scesero in sciopero e organizzarono un’imponente dimostrazione che, purtroppo, si concluse drammaticamente, con scontri fra dimostranti e forze dell’ordine che provocarono la morte di un carabiniere e il ferimento di altri due.

Nell’estate del 1893 in molte miniere della Sicilia infuriò lo scontro di classe, in conseguenza delle scelte fatte dal Congresso regionale Socialista, tenuto a Palermo nel maggio precedente.

In autunno, «grazie anche alla mediazione di personaggi carismatici come il Marchese di Montemaggiore, uno dei più grossi proprietari di miniere, il deputato Napoleone Colajanni e l’avvocato Francesco De Luca presidente del fascio di Girgenti, il movimento dei Fasci minerari avviò una strategia di alleanza tra operai e piccoli imprenditori, che culminò con l’organizzazione di un congresso minerario che si svolse a Grotte, con l’intervento di circa 1500 persone fra minatori e piccoli produttori. Questi ultimi, dopo aver protestato contro l’estaglio percepito dai proprietari di zolfare, la mancanza di credito minerario e le imposizioni fiscali eccessivamente gravose, finirono col proporre l’abolizione della proprietà privata del sottosuolo zolfifero, la riduzione immediata del 10% dello zolfo destinato per l’estaglio ai proprietari non coltivatori, la diminuzione dell’imposta fondiaria e l’istituzione di una banca di credito minerario.

Le richieste degli zolfatari furono:

a) elevazione a 14 anni dell’età minima per i fanciulli che lavoravano all’interno delle miniere

b) abolizione della pratica del cosiddetto “soccorso morto“

c) salario minimo per i carusi : £ 1.50 fino a 15 anni, e £ 2.00 oltre i 15 anni

d) salario minimo garantito di £ 3 per il picconiere

e) orario di lavoro di 8 ore per coloro che lavoravano all’esterno della miniera

f) unificazione del sistema di misurazione dello zolfo che variava da una zolfara all’altra

g) abolizione del salario in natura

h) puntualità nel pagamento in denaro del salario alla fine di ogni settimana».

Tuttavia, la caduta nel dicembre dello stesso anno del 1° governo Giolitti e l’avvento di quello del siciliano Francesco Crispi, che instaurò un regime di terrore proclamando il 3 gennaio 1894 lo stato d’assedio, cambiarono radicalmente la situazione.

«Furono sciolti tutti i Fasci siciliani, compresi quelli degli zolfatari. I capi dei Fasci furono arrestati in massa e condannati a dure pene da apposite corti marziali».

Nel 1895, il peggiore di tutta la crisi zolfifera, gli indicatori principali della congiuntura del settore zolfifero (prezzi, salari, occupazione) toccarono il fondo (prezzi, salari, occupazione), mentre la conflittualità si ridusse drasticamente.

Negli anni successivi, le agitazioni sindacali degli zolfatari seguirono un andamento altalenante, in fase con l’andamento del prezzo dello zolfo sui mercati.

Nel maggio 1903, la nuova fiammata rivendicativa ebbe il suo epicentro nelle grandi miniere del gruppo nisseno, dove l’instaurazione di tecniche produttive più moderne aveva modificato i tradizionali rapporti di lavoro e creato un proletariato più omogeneo.

Cominciata nelle due miniere Iuncio-Testasecca e Stretto-Giordano con le solite richieste di aumenti salariali, l’agitazione divenne una grande battaglia sindacale quando gli zolfatari della miniera Trabonella, la più meccanizzata dell’isola, presentarono le loro rivendicazioni che comprendevano, oltre agli aumenti salariali, il riconoscimento della Lega di miglioramento zolfatare, costituita a marzo, come rappresentante legittima dei lavoratori e tutta una serie di misure tendenti a tutelare gli interessi operai.

Di fronte al netto rifiuto della controparte a trattare, i “trabonellari” «passarono al boicottaggio della miniera andando a lavorare nelle altre della zona; a sua volta il padronato minerario, intuita l’importanza della posta in gioco, reagì proclamando la serrata di tutte le zolfare del gruppo nisseno.

Si pervenne, così, ad uno scontro frontale che vide, da una parte, schierati tutti gli zolfatari del circondario e, dall’altra, il fronte compatto di esercenti e proprietari deciso ad impedire, in ogni modo, qualsiasi modificazione dei vecchi equilibri di potere all’interno delle zolfare a favore della forza lavoro.

La controversia ebbe il suo momento culminante nella grande sfilata del 15 giugno 1903, quando a dimostrazione della loro forza ottomila manifestanti sfilarono per le vie di Caltanissetta. Dopo una trattativa prolungata e difficile, alcuni giorni dopo, si giunse ad un primo accordo che, però, vincolava per tre anni gli zolfatari a non chiedere più aumenti salariali, tranne in caso d’incremento dei prezzi del minerale».

Quest’impegno non piacque a tutti: «mentre quelli della Testasecca e dello Stretto-Giordano ripresero a lavorare accontentandosi degli aumenti raggiunti, i 1800 “trabonellari” continuarono lo sciopero, ma rimasti isolati ritornarono a lavorare alla fine di giugno».

Nel 1904 l’epicentro delle lotte si spostò nell’agrigentino, nelle zone delle piccole zolfare di Racalmuto, Grotte e Sutera, con gli scioperi contro la diminuzione del prezzo dei cottimi a causa dell’aumento del premio di assicurazione.

Sotto l’incalzare delle nuove agitazioni, nel luglio del 1904 il governo costituì il «“Sindacato obbligatorio siciliano di mutua Assicurazione per gli infortuni sul lavoro nell’industria dello zolfo”, approvandone lo statuto.

Due anni dopo, in occasione della legge sul Consorzio obbligatorio, veniva istituito un fondo speciale, costituito mediante un prelevamento di 50 centesimi per ogni tonnellata di zolfo venduto, da distribuire sotto forma di sussidi a favore di operai invalidi o vecchi.

Infine, nel 1907, furono dettate speciali disposizioni per la liquidazione degli infortuni nelle zolfare, in esecuzione della legge del 1904».

Le lotte di inizio secolo e il diffondersi dell’associazionismo di categoria, tuttavia, non ebbero negli anni seguenti un ulteriore consolidamento.

«Infatti, le leghe erano organismi precari, isolate tra di loro, che risentivano di un contesto povero di strutture associative. Nel 1906, in occasione del Congresso socialista siciliano tenuto a Caltanissetta, si proclamò la costituzione di una federazione di zolfatari che non ebbe successo. All’inizio del 1909 si costituì una federazione con sede a Favara, che un anno dopo veniva data per inattiva. Nel 1913, al Congresso delle leghe zolfifere, dopo un’ampia discussione sui provvedimenti legislativi di tutela del lavoro minerario, si giunse, quasi in sordina, alla fondazione di una federazione.

Nell’insieme, in questi tentativi si scontava una sorta di incapacità del movimento economico degli zolfatari a diventare un vero e proprio movimento sindacale. Il risvolto negativo di tutto questo era che la combattività non era pienamente valorizzata e non si traduceva in una corrispondente forza contrattuale».

Dopo l’interruzione dovuta alle vicende belliche, l’offensiva operaia riprese nel biennio rosso 1919-1920 per il recupero dei salari erosi dall’inflazione. L’agitazione chiedeva, inoltre, la libera disponibilità per i lavoratori di una parte dell’estaglio [2].

«A questo punto, veniva presentato un progetto di legge che prevedeva la demanializzazione del sottosuolo, previo rimborso ai proprietari, in modo che lo zolfo rimaneva una risorsa esclusivamente siciliana. Nell’ottobre del 1920 gli stessi zolfatari bloccavano nelle miniere il minerale destinato all’estaglio ed infine, la mediazione del prefetto di Caltanissetta stabilì la concessione ai lavoratori di una frazione della rendita».

Tuttavia nel 1922, quando si toccò il minimo della produzione con 129,535 tonnellate, gli esercenti tagliarono del 20% i salari dei minatori, scatenando le giuste proteste sindacali, e gli istituti di credito, tranne la Banca di Credito Minerario, chiusero i rubinetti dei finanziamenti.

Si arrivò alla serrata delle miniere da parte degli esercenti, le proteste operaie si moltiplicarono minacciando esplosioni di violenza.

Successivamente per tutto il periodo tra le due guerre, sia per l’avvento del fascismo sia per la diminuita importanza dello zolfo siciliano, che subiva la forte concorrenza di quello americano coltivato a costi insostenibili per l’industria zolfifera locale, le agitazioni sindacali si ridussero drasticamente.

Alla fine del 2° conflitto mondiale le miniere siciliane, già di per sé arretrate tecnologicamente ed economicamente, si trovarono in una situazione assai precaria per i danni subiti durante il conflitto. Molte di esse erano allagate ed ancora inattive. Le tariffe salariali dei lavoratori, non ancora rivalutate, non consentivano neanche di comprare un chilo di pane al giorno.

Con la costituzione della Federazione regionale degli zolfatari a fine 1944, ripresero le lotte sindacali essenzialmente focalizzate nel recupero del potere d’acquisto dei salari e nel rispetto dei contratti di lavoro definiti a livello nazionale.

«Tra il 1945 e il 1955 non passò anno nel quale i lavoratori non fossero costretti a proclamare uno sciopero regionale al fine di ottenere l’applicazione del contratto di categoria. Generalmente si trattava di scioperi che duravano dai quindici ai trenta giorni, qualche sciopero più lungo si protrasse anche oltre i sessanta giorni».

Durante gli scioperi e le manifestazioni di protesta, partecipavano attivamente anche le donne dei minatori coi loro bambini, che andavano spesso in delegazione dalle autorità civili ed ecclesiastiche.

La resistenza operaia fu molto tenace contro la chiusura delle miniere e per l’incremento della produzione.

La prima occupazione avvenne nel 1950 alla miniera Emma di Aragona minacciata dalla smobilitazione, durò circa un mese ed ebbe come obiettivi prioritari la regionalizzazione del settore zolfifero, per sottrarlo alla gestione privata dei gabelloti Graceffa e Vullo, e il pagamento dei salari arretrati.

«L’Assemblea regionale, rendendosi conto di questa drammatica situazione, approvò una legge con cui alla miniera Emma veniva concesso un mutuo di 70 milioni per il pagamento dei salari arretrati.

Con questa legge una parte delle necessità dei lavoratori di Aragona vennero accolte, anche se rimaneva il problema della smobilitazione, che fu affrontato in un Convegno tenutosi nell’aprile del 1951, al quale parteciparono parlamentari, uomini politici, tecnici di tutte le tendenze».

Dal Convegno emerse che il problema principale delle zolfare siciliane non era il costo dei minatori, compatibile con il livello del prezzo dello zolfo e del resto inferiore del 15-20% rispetto a quello continentale [3], quanto le spese di amministrazione e per l’estaglio.

Un altro motivo che portava gli zolfatari a scioperare era quello della sicurezza sui posti di lavoro, minacciati dal frequente verificarsi di gravi infortuni, talvolta mortali, in particolare per l’esplosione di grisou a causa dell’utilizzo di lampade ad acetilene a fiamma libera per illuminare le gallerie.

Nel quinquennio tra il 1948 e il 1953 si ebbero complessivamente, tra gravi e meno gravi, più di 20,000 infortuni che causarono più di 150 morti.

A causa di ciò accogliendo la richiesta dei lavoratori, il governo regionale siciliano approvò la legge di polizia mineraria (LR 23 del 4 aprile 1956) che istituì, per la prima volta in Italia, i delegati alla sicurezza delle miniere, eletti democraticamente dai lavoratori.

Progressi notevoli furono fatti anche in campo sanitario, con la riduzione di alcune parassitosi come anchilostomiasi e malaria, e in quello economico, con la liquidazione nel 1958 dei salari arretrati nella quasi totalità delle imprese minerarie.

Tuttavia, nonostante la nuova legislazione sulla sicurezza mineraria, il 14 febbraio di quello stesso anno una grave tragedia con 14 morti e 64 feriti colpì la miniera di Gessolungo, la terza nell’area dopo quelle del 12 novembre 1881 (Gessolungo, 65 morti) e del 6 giugno 1882 (Iuncio-Tumminelli, 41 morti).

«Questa sciagura riproponeva, tragicamente, il problema delle condizioni di lavoro nelle miniere siciliane. Le organizzazioni sindacali chiedevano una più rigida applicazione delle leggi sulla sicurezza del lavoro che miglioreranno sensibilmente con l’elaborazione delle norme di attuazione della legge regionale del 1956».

Gli anni tra il 1958 e il 1965 furono caratterizzati da numerosi provvedimenti amministrativi e legislativi, tutti tesi a ricondurre nelle mani regionali la riorganizzazione e la gestione del settore minerario siciliano:

  • Decreto Presidente Regione Sicilia 15 luglio 1958, n. 7 “Regolamento di Polizia Mineraria (per le norme riguardanti gli aspetti autorizzatori)”.

  • Legge regionale 13 marzo 1959 n. 4 “Provvidenze per l' industria zolfifera”, che prevedeva la messa a punto di un piano quinquennale di riorganizzazione delle aziende zolfifere (art. 10), piano approvato con successivo DPRS del 28 maggio 1959.

  • Legge Regionale 8 agosto 1960, n. 35 e s.m.i. “Istituzione del Corpo regionale delle miniere”, articolato nei distretti di Catania, Caltanissetta e Palermo.

  • Legge regionale 11 gennaio 1963 n. 2 “Istituzione dell'Ente minerario siciliano”, con lo scopo “di promuovere la ricerca, la coltivazione, la trasformazione ed il collocamento commerciale delle risorse minerarie esistenti nel territorio della Regione, ed in particolare degli idrocarburi liquidi e gassosi, dello zolfo e dei sali potassici, salve le discipline speciali vigenti in materia commerciale. Rimane escluso dall'attività dell'Ente il settore degli asfalti...” (art. 1).

  • DPR 31 maggio 1965, n. 1713 “Elenco delle miniere, cave e torbiere esistenti nel territorio della Sicilia, che vengono trasferiti alla Regione siciliana”.

Di conseguenza il principale interlocutore dei minatori e del movimento sindacale non erano più concessionari e/o proprietari ma direttamente la Regione Sicilia, attraverso i suoi nuovi istituti: Corpo regionale delle Miniere ed Ente minerario siciliano (EMS).

A quest’ultimo, in particolare, era stato assegnato il compito di affrontare il problema del mantenimento del personale nelle miniere assorbite [4].

Di fronte alla possibile chiusura di alcune miniere e, comunque, alla riduzione del personale impiegato, le organizzazioni sindacali chiesero all’EMS un programma d’iniziative per il reimpiego degli zolfatari nei settori del salgemma, degli idrocarburi e negli stabilimenti industriali da crearsi, subordinando i licenziamenti a tale misura.

Dopo un decennio di riorganizzazioni e ridimensionamenti del settore zolfifero, sotto la spinta sindacale il governo regionale emanò la LR 6 giugno 1975 n. 42 (Provvedimenti per la ripresa economica delle zone ricadenti nei bacini minerari zolfiferi siciliani) che prevedeva la predisposizione da parte della Regione Sicilia di “un progetto-obiettivo, diretto al sostegno del reddito e dell’occupazione nelle zone interessate dai bacini minerari zolfiferi, finalizzato allo sviluppo industriale, agricolo, turistico, delle infrastrutture pubbliche e dei servizi sociali...”.

In particolare, l'Ente fu “autorizzato a proseguire l'esercizio delle miniere Cozzodisi, Lucia e Ciavolotta in provincia di Agrigento; Gessolungo, con annesso impianto di flottazione di Trabonella, e La Grasta in provincia di Caltanissetta; Floristella, Giumentaro e sezione Giangagliano della miniera Zimbalio-Giangagliano in provincia di Enna», che presentavano «caratteristiche giacimentologiche più favorevoli e struttura tecnica più efficiente tra quelle attualmente in esercizio” (art. 4), mentre le restanti miniere furono chiuse e la stessa sorte toccò entro il 31 dicembre 1977 alle miniere di Ciavolotta e Giumentaro.

Il corrispondente ridimensionamento occupazionale fu realizzato mantenendo in attività, nelle miniere ancora aperte, 200 impiegati e i minatori al di sotto dei 50 anni al 31 dicembre 1978; quelli più anziani (impiegati e minatori), invece, furono messi in pre-pensionamento al compimento del 50° anno di età (artt. 5 e 6).

Mentre i minatori più giovani furono tutti ridistribuiti nelle miniere ancora in attività, gli impiegati in eccedenza furono trasferiti in uno speciale servizio per le esigenze dell'Ente e delle collegate derivanti dai programmi annuali di attuazione .

Infine, con le LLRR 27 del 9 maggio 1984 e 34 dell’8 novembre 1988 si arrivò alla totale liquidazione del settore, sempre prevedendo come paracadute sociale il ricorso al pre-pensionamento ed evitando, almeno in parte, la catastrofe sociale, ma non garantendo lo sviluppo produttivo di altri settori che potessero compensare la perdita socioeconomica e produttiva di quello minerario.

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[1] Il contenuto di questo paragrafo è in buona parte sintetizzato a partire dell’articolo omonimo (parte I, II, III) di Ermelinda Ciaurella e Alfio Calabrò.

[2] Quota di produzione che l’esercente-concessionario doveva cedere al proprietario della miniera.

[3] Il salario medio mensile di un minatore siciliano era di 20-25mila lire mensili, pari a 350-450 € attuali.

[4] Tutte, meno quelle asfaltifere.