La Montevecchio di Sanna-Castoldi

Giovanni Antonio Sanna e la nascita della Montevecchio

Dalla giovinezza a Sassari alla concessione di Montevecchio 

Giovanni Antonio Sanna (fig. 1) nasce a Sassari il 29 agosto 1819, in una famiglia della nascente borghesia sassarese:  il padre, Giuseppe, era un noto avvocato, la madre, Maria Ignazia Sanna-Mameli, proveniva da una famiglia di proprietari terrieri dalle parti di Olmedo .

Sveglio, intelligente e di carattere ribelle, frequenta fin dall’adolescenza i circoli progressisti e repubblicani sassaresi, aderenti alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.

Spinto da una grande voglia di affermazione sociale ed economica, nell’ottobre del 1839, da poco ventenne, parte da Porto Torres alla volta di Marsiglia, già sede di una numerosa comunità sarda particolarmente attiva nei fiorenti scambi commerciali che gli imprenditori marsigliesi avevano nell’importazione delle merci tipiche sarde (sughero, pellame, olio).

A Marsiglia si inserisce presto nell'ambiente sardo-marsigliese  e incontra l'amore, nella persona di Maria Llambi y Casas, una graziosa ventenne di origine spagnola, che sposa nel 1841. Avrà quattro figlie [1]: Ignazia (1842), Amelia (1844), Enedina (1849) e Zely (1852).

A fine 1842 incontra il lionese Robert Darvieu, proprietario di alcune miniere algerine di piombo. Magnificato da Darvieu per la sua resa economica, il piombo entrerà prepotentemente nei sogni del Sanna.

In questo contesto entra in gioco un altro personaggio fondamentale nella storia della nascita della miniera di Montevecchio: Giovanni Antonio Pischedda di Tempio Pausania.

È un prete, ma soprattutto è un mercante di pellami e sugheri trasferitosi, con padre e fratello, a Guspini per svolgere la sua attività commerciale

Appassionato di minerali, passa molto del suo tempo a ricercare tracce di mineralizzazioni di piombo tra Arbus e Guspini, da quando un pastore l'ha informato della presenza di rocce di aspetto metallico che un tempo venivano fuse per ottenere l'argento.

Per avere la concessione, tuttavia, servono capitali e conoscenze tecniche, per trovare le quali Pischedda si reca a Marsiglia dove "casualmente", o forse no, incontra il Sanna.

I due hanno gli stessi obiettivi e si piacciono, almeno inizialmente,.

Comincia così, a giugno 1844, la storia della concessione di Montevecchio.

Ci vorranno quattro anni per raggiungere lo scopo, anni contrassegnati da una serie di vicende che vedranno i due prima alleati, poi avversari.

Sanna si rende presto conto, infatti, che la presenza di Pischedda, considerato poco affidabile dall'Intendenza Generale di Cagliari, risulta più nociva che altro.

Decide, quindi, di fare da solo riconoscendo al Pischedda, ad operazione conclusa, un risarcimento pari a 90 azioni dell'Accomandita creata per la gestione della miniera.

Sfruttando la conoscenza del cagliaritano Angelo Medda, divenuto Ispettore della Real Casa, il Sanna riesce addirittura a ottenere un incontro in forma privata con il Re Carlo Alberto per il 28 ottobre 1846.

Carlo Alberto ha simpatia per l’intraprendenza del giovane sassarese ─ che, da parte sua, dichiara di rinunciare alle giovanili idee repubblicane per assicurare piena fedeltà alla monarchia ed è ben propenso a concedere la concessione, se non in perpetuo, per almeno 50 anni.


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[1] Tra le prime due nacque anche un bambino che però morì nel gennaio 1843 per malattia.



Fig. 1 - Giovanni Antonio Sanna (1819-1875)

Pone, però, una condizione: avere l’appoggio di una società composta esclusivamente da forti capitalisti del Regno Sardo-Piemontese.

All’epoca Genova è la vera city finanziaria del Regno Sabaudo e là il Sanna riuscirà a trovare il sostegno economico che cerca.

Attraverso il Marchese Nicolò Cambiaso viene presentato a Bartolomeo Migone, membro di un’importante dinastia di commercianti e banchieri genovesi.

Il 26 giugno 1847, nello studio del notaio Gorgoglione viene costituita tra la Ditta Migone & C. e Giovanni Antonio Sanna la “Società in Accomandita per la coltivazione della miniera di piombo argentifero detta di Montevecchio”, con un capitale sociale di 600,000 lire piemontesi, suddiviso in 2 mila azioni di cui 1200 paganti da 500 lire (sottoscritte da 21 soci genovesi) e 800 industriali di pertinenza del Sanna.

Ormai manca solo la ratifica ufficiale della concessione, quando, il 23 marzo 1848, il Piemonte dichiara guerra all’Impero Austro-Ungarico (1a Guerra d’Indipendenza) e il Re parte alla testa del proprio esercito.

Se serviva ancora una dimostrazione dell’intraprendenza del Sanna l’episodio che segue taglia la “testa al toro”: il 28 aprile 1848 riesce ad ottenere un lasciapassare, si presenta all’accampamento del Re e riesce ad ottenere la firma per “la concessione perpetua della miniera di Montevecchio” per una superficie di 1,200 ettari, corrispondenti a ben tre concessioni (Montevecchio I, II, III), tenendo conto che il Regio Editto del 30 giugno 1840, esteso alla Sardegna con decreto del 6 settembre 1848, prevedeva una superficie massima per una concessione mineraria pari a 400 ettari.

La controversia legale con i Guerrazzi

Ottenuta la concessione, il Sanna si adopera per avviare la gestione della Società, che a norma di Statuto sarà gestita dai signori Leonardo Durand e Sebastiano Passadoro sotto il nome di “Durand, Passadoro e C.”.

Su consiglio di Giorgio Asproni (fig. 2) [2], parente stretto da parte della madre, per dirigere la miniera vengono assunti l’ingegnere Giulio Keller, esule ungherese già membro del Corpo Montanistico Austriaco, come Direttore della miniera, e il sassone Emanuele Fercher, come Capominatore, oltre a Pasquale Are, amico dello stesso Sanna e conoscitore di leggi e contratti, che ne sarà l’alter ego, fedelissimo esecutore delle sue direttive e attento informatore delle vicende della miniera nei periodi di assenza, volontaria o imposta, di Giovanni Antonio.

Il primo decennio di vita della miniere si svolge tra alti e bassi, riuscendo comunque a produrre oltre 6,000 tonnellate di minerale con un ricavo 2.6 milioni di lire, per un utile netto di 600,000  lire.

Secondo Statuto societario, al Sanna spetterebbe il 24%, ma di cosa? Dei ricavi, come vorrebbe Sanna, o  dei soli utili, come pretende Pio Massone, faccendiere e commerciante genovese che dal 1852 ha sostituito  la vecchia gestione, dichiarata fallita per ragioni che, però, non dipendono dall'attività mineraria.

A questo si aggiunge una vertenza promossa da prete Pischedda, che si sente truffato dal Sanna nella vicenda legata all'ottenimento della concessione.

Dapprima estromesso da ogni funzione di controllo societario dal Massone, il Sanna,  assistito dal noto avvocato Riccardo Sineo, segnalatogli dall’amico Asproni, esce pienamente vincitore dalle due vertenze e riprende il suo ruolo in Società all'inizio del 1863.

Sotto la guida dei nuovi direttori particolarmente competenti, Eugenio Marchese, amico e compagno di Quintino Sella nel viaggio ispettivo del 1869,  dal 1862, e Giorgino Asproni, nipote di Giorgio, dal 1866, la produzione mineraria si consolida sempre di più , superando le 5,000 tonnellate annue già nel 1865.

Ma all'orizzonte si affacciano nuove nuvole e saranno foriere di temporali!

Le prime due figlie di Sanna, Ignazia e Amelia, sono ormai ventenni e in età di marito.

Non avendo figli maschi, Giovanni Antonio vede in uno dei mariti delle sue figlie il suo possibile successore.

Ma se è abile e lungimirante negli affari, non lo è altrettanto nel giudicare il valore degli uomini.

Se il marito scelto per Ignazia, Gianmaria Solinas-Apostoli,  sarà un cattivo marito, vanesio, donnaiolo e, soprattutto, interessato all’eredità,  Francesco Michele Guerrazzi, detto Cecchino, sposato alla prediletta Amelia, si rivelerà anche un pericolo per il futuro della miniera e delle ricchezze della famiglia.

Cecchino è orfano e nipote di Francesco Domenico Guerrazzi (fig. 3), politico e scrittore dei più noti, che gli fa da tutore e sostanzialmente da padre.

Il giovane è sveglio, intelligente, sembra lealmente interessato alle questioni della famiglia e Sanna crede di aver trovato quel “figlio maschio” tanto desiderato che il destino gli aveva tolto nel 1843.

Fa, quindi, una mossa azzardata: nell'ottobre 1865 acquista un pacchetto di azioni societarie fino ad arrivare al 75%, rivendica a sé la Gerenza e nomina suo procuratore Cecchino.

Dopo un primo periodo di quiete, le cose si deteriorano rapidamente:  Cecchino entra in conflitto con il Direttore Eugenio Marchese e non rispetta le direttive del Sanna.

Inoltre, Giovanni Antonio, che da deputato [3] ora vive a Firenze diventata Capitale, viene insospettito dalle voci fiorentine che dipingono Francesco Domenico Guerrazzi non solo come polemista, arguto e collerico, ma anche come un tipo senza scrupoli, non nuovo a cercare d’impossessarsi di beni altrui.

Si reca, quindi, a Montevecchio dove trova Eugenio Marchese che, stufo delle intromissioni di Cecchino, è deciso a rassegnare le dimissioni da Direttore.

Sarà sostituito da Giorgino Asproni, giovane di carattere, preparato e leale al Sanna.

La scelta non piace ai Guerrazzi, zio e nipote, e il conflitto che covava sotto le ceneri esplode.

Dopo una serie di schermaglie, i Guerrazzi affondano il colpo: nella primavera del 1868 l'Assemblea societaria delibera la decadenza del Sanna dalla titolarità della concessione e dal ruolo di Ispettore Generale e la nomina di Cecchino a Gerente “inamovibile” per dieci anni e di Lorenzo Chiostri, ingegnere minerario legato a Cecchino, a nuovo Ispettore Generale.

Alla base di questa decisione stanno le 1,500 azioni (su un totale di 2,000) di proprietà del Sanna e da questi affidate in custodia ai Guerrazzi, perché potessero assumere i ruoli di Gerente (Cecchino) e di Presidente del Consiglio di Sorveglianza (Francesco Domenico).

Le conseguenze sulla miniera sono immediate e assumono la forma delle dimissioni del Direttore Giorgino Asproni e dello storico Capominatore Emanuele Fercher.

Naturalmente anche il Sanna contrattacca per vie legali, denunciando presso il Tribunale di Livorno i Guerrazzi per truffa e appropriazione indebita.

Comincia così un’ennesima vicenda legale che durerà per i successivi due anni, tra attacchi anche personali, mediazioni fallite e, persino, nel dicembre 1869 un’aggressione fisica dei Guerrazzi al Sanna, sventata da questi con l’estrazione di una pistola cosa che convinse i due ad allontanarsi: una vera scena da film western!



Fig. 2 - Giorgio Asproni (1808-1876)

Fig. 3 - Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873)

Finalmente, con due successive sentenze tra la fine del 1869 e l’inizio del 1870, prima il Tribunale di Livorno, nella misura di 1,106 azioni sul totale delle 1,500 reclamate, poi la Corte d’Appello di Lucca restituiscono l’intero pacchetto di azioni al Sanna.

Così, il 22 marzo 1870, l’Assemblea Straordinaria della Società reintegra Giovanni Antonio nel ruolo di Ispettore Generale con la possibilità di esprimere il nuovo Gerente, che sarà l’altro genero Gianmaria Solinas-Apostoli.

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[2] Giorgio Asproni (Bitti, 5 giugno 1808 – Roma, 30 aprile 1876) è stato uno dei massimi esponenti della politica sarda del XIX secolo,.

Autonomista, progressista e repubblicano, fu deputato per oltre 22 anni  (1849-1860, 1865-1876) e 9 legislature, militando nel gruppo della Sinistra Storica.

[3] Giovanni Antonio Sanna fu deputato in tre legislature (VI e VII nel 1860, IX  dal 1865 al 1867), militando nelle file della Sinistra Storica con Giorgio Asproni e lo stesso Francesco Domenico Guerrazzi,

Gli ultimi anni

Dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia (8 ottobre 1870), il nuovo decennio si apre con prospettive positive per la Sardegna, in generale, e per l’attività mineraria, in particolare.

Sotto la spinta di Quintino Sella, reduce dall’attività ispettiva sulla situazione dell’industria mineraria sarda, si accelerano i lavori per la realizzazione della ferrovia sarda Cagliari-Sassari il cui primo tratto, che congiunge Cagliari a San Gavino Monreale, entra in attività il 1° maggio 1871.

Pochi mesi dopo viene inaugurata la Scuola mineraria per la formazione dei tecnici e di operai specializzati di Iglesias.

Imprenditore minerario di successo, proprietario terriero, banchiere, Giovanni Antonio Sanna è ormai un uomo realizzato nella società, ma non in famiglia.

Ha rotto definitivamente con il genero Cecchino e la prediletta Amelia, le cose con l’altro genero Gianmaria Solinas e la figlia Ignazia non vanno benissimo e la terza figlia, Enedina, è ormai in età da marito.

Sposerà il barone Peppino Giordano-Apostoli nell'agosto 1871, ma il Sanna si dovette adattare di malavoglia a quella scelta per non creare altre fratture in famiglia: con molta ragione bisogna aggiungere, dato il carattere libertino, arrogante e dispotico del Giordano che tante afflizioni provocherà alla moglie Enedina.

Pur nel successo si sentirà sempre  uno "straniero in patria", sia in famiglia che nella  società sassarese, dove ai “nuovi ricchi” non viene riconosciuta la signorilità che spetta solo alla vecchia nobiltà terriera.

Per queste ragioni ama vivere in Continente, specialmente a Roma e Napoli, dove ha aperto succursali dell'Agricola sarda, la nuova banca che ha aperto nel 1871, per sfruttare la nuova legge del 1869 che, per favorire i prestiti agli agricoltori, sostiene l’apertura di nuovi istituti bancari privati.

Ѐ un uomo socievole, aperto al nuovo e si ambienta rapidamente nelle nuove condizioni.

Affascinato da Garibaldi, ne condivide l'ossessione per Roma che considera la città-sogno, l’unica dove ci si sente effettivamente italiani.

Pur innamorato della città, della sua storia e delle sue antichità., decide di trasferirsi a Napoli, seguendo le orme dell’amico Giorgio Asproni.

Della città partenopea apprezza il calore del clima e degli abitanti, lo affascina il suo carattere di città che è stata capitale di un Regno di più antica nobiltà rispetto a quello sabaudo, lo entusiasma il suo paesaggio e la straordinaria bellezza dei suoi dintorni: da Capri alla Penisola sorrentina, da Positano a tutta la Costiera amalfitana.

È consapevole, tuttavia, di vivere una sorta di “confino”, seppure volontario, dalle vicende della miniera e della famiglia, di cui salva solo l’ultima figlia Zely e la moglie Marietta, nei confronti della quale dovrebbe quantomeno provare rimorso, avendola negli anni isolata nella grande tenuta sassarese di Monserrato, che è una gabbia dorata, sì, ma sempre gabbia.

Detesta, vedendoli per come sono, profittatori e interessati solo al suo patrimonio, soprattutto i suoi generi e di conseguenza le sue figlie maggiori.

Con Cecchino Guerrazzi e la figlia Amelia non tiene più rapporti da anni, rifiutando ogni possibilità di riconciliazione anche dopo la morte, avvenuta il 23 settembre 1873, di Francesco Domenico, a cui i due attribuiscono le principali colpe della truffaldina scalata alla titolarità della concessione mineraria.

Dei cugini Solinas e Giordano, mariti di Ignazia ed Enedina, detesta l’ingordigia, la frivolezza e l’incompetenza, tanto più che essi, suo malgrado, svolgono ruoli importanti in miniera: uno, Solinas, essendo il Gerente, l’altro, Giordano, membro del Comitato di Sorveglianza.

Ad acuire l’ostilità nei confronti dei due generi sopraggiunge improvvisa, il 15 marzo 1873, la morte della figlia Enedina, dopo una breve e dolorosa malattia di cui non sono mai state chiarite del tutto le cause.

Quello che sembra certo sono gli impedimenti posti dai due cugini alla visita della malata da parte di Carlo Mari, medico insigne e cognato del Sanna, preoccupati di perdere posizioni nei confronti di Giorgino Asproni, genero del Mari.

A inizio 1873, quindi, Giovanni Antonio è amareggiato e preoccupato di non essere ancora riuscito a trovare un degno successore.

Gli rimane soltanto Zely, da poco ventenne, per cui ha pensato a un giovane cagliaritano, Alberto Castoldi, figlio del sassarese Antonio Castoldi, proprietario della casa che la famiglia Sanna aveva affittato a Cagliari nel 1850, per cui fatalità vuole che Alberto e Zely siano nati nella stessa casa a quattro anni di distanza.

Alberto non è di famiglia ricca, ma è intelligente, diplomato nelle scuole secondarie con il massimo dei voti, interessato agli studi minerari che perfezionerà, anche grazie all’intervento del Sanna, nella scuola mineraria sassone di Freiberg dove si diplomerà ingegnere minerario.

Intanto, dopo la morte Enedina, la salute psico-fisica del Sanna peggiora sempre di più conducendolo a una forma di demenza paragonabile all’ancora non conosciuta sindrome di Alzheimer, che però il cognato Mari attribuisce a trombosi celebrale.

Nel gennaio 1874 si trasferisce nella Villa del Balzo a Capodimonte, dove lo seguono Speranza Scaletta e la figlia Giulia, le due donne che lo accudiscono dall’arrivo a Napoli e con cui avrà rapporti ambigui anche di natura sessuale, a causa dei quali Giulia partorirà l’anno successivo un figlio illegittimo.



Fig. 4 - Muso Archeologico Nazionale "G. A. Sanna"

A giugno, con l’aggravarsi delle condizioni di salute e convinte dalle informazioni allarmanti che Asproni e Mari fanno arrivare a Sassari, la moglie Marietta e la figlia Zely lo raggiungono a Napoli.

Sistematesi nella Villa del Balzo, da cui sono state allontanate le Scaletta, sotto la spinta dei generi, interessati soprattutto a impedire qualsiasi intervento sul testamento, isolano il Sanna in una sorta di “cordone sanitario”, all’interno del quale la sola Zely mostrerà dolore e tenerezza nei confronti della malattia del padre.

La situazione precipita nel gennaio 1875 e la famiglia decide di trasferire il malato a Roma, dove vivevano i generi, essendo escluso il ritorno in Sardegna per via del troppo faticoso viaggio in mare. Ci vorranno altri cinquanta anni e il volere della figlia Zely, ormai più che settantenne, per vedere le sue spoglie sepolte nella monumentale tomba che il Sanna si era fatta costruire in vita nella sua città d’origine.

Il 9 febbraio 1875 Giovanni Maria Sanna, il primo imprenditore sardo che aveva costruito dal nulla un impero economico imperniato su quella che diventerà una delle più importanti miniere europee di piombo e zinco [4], muore, purtroppo non circondato dall’amore dei suoi cari, escludendo Zely.

Con la morte del Sanna, il genero gerente Gianmaria Solinas comincia il repulisti dei dirigenti e quadri minerari: vengono allontanati, volontariamente o forzatamente, il direttore Giorgino Asproni, l’ingegnere Lorenzo Chiostri, l’amministratore Alfredo Pergola e numerosi capi minatori.

In quegli stessi giorni, tuttavia, torna da Freiberg Alberto Castoldi, fresco ingegnere minerario, con tutta l’intenzione di rispettare gli impegni presi con Sanna e con se stesso: sposare Zely ed entrare nei quadri tecnici e dirigenziali della miniera.

Ci riuscirà a maggio, quando il matrimonio sarà celebrato e otterrà dall’Assemblea societaria e, "obtorto collo", dal gerente la nomina a Ispettore Generale.

Comincia così, con la vittoria postuma di Giovanni Antonio, che all’ultimo giro è riuscito a trovare un degno successore, la seconda fase della dinastia Sanna-Castoldi.

Come già ricordato, solo cinquant’anni dopo, nel 1875, il suo corpo verrà tumulato nel grande sepolcro che aveva fatto erigere nella “sua” Sassari ed altri sei per realizzare, sempre grazie all’impegno della figlia Zely, il Museo Archeologico Nazionale (fig. 4) a lui dedicato.

In memoria dell’occasione, Michele Saba, avvocato, giornalista e politico sassarese,  scriverà: «L’uomo che ha dato il nome a quel museo è ormai lontano nel tempo, colle miserie delle lotte che ne accompagnarono l’esistenza. La sua attività, il suo impegno per l’isola che aprì ai moderni successi dell’industria e che difese apertamente in Parlamento contro minacce oscure e contro tendenze perniciose, non possono essere dimenticati, mentre cadono nel nulla i ricordi dei contrasti e le contumelie dei contendenti. Su di lui, che fu in vita combattente fierissimo e di forte tempra in tante tenzoni, è giunta ora la pace eterna e, con essa, il mesto ricordo e la profonda riconoscenza, anch’essi in perpetuo, di tutti i sardi».

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[4] Per la verità, Giovanni Antonio non riuscirà a vedere la coltivazione del minerale di zinco (blenda), le cui prime tonnellate saranno estratte solo nel 1892.

Bibliografia


Alberto Castoldi e la consacrazione della Montevecchio come grande miniera europea

Dagli studi alla Direzione di Montevecchio

C’è un destino già scritto nella nascita di Alberto Castoldi (fig. 5), che avviene a Cagliari il 6 giugno 1848, a venti giorni dal primo compleanno della Società Montevecchio, nella stessa casa dove verrà al mondo quattro anni dopo quella che diventerà sua moglie, Zely Sanna l’ultima figlia del grande Giovanni Antonio.

Figlio del sassarese Antonio e della cagliaritana Rita De Gioannis-Gianquinto, secondo di quattro tra fratelli e sorelle, rimane orfano di padre a seguito dell’epidemia di colera che colpì Sassari nel 1855.

Con l’aiuto del nonno materno Giovanni, professore e giurista, del di lui fratello Alberto, professore e canonico, e dello zio paterno Angelico, frate carmelitano, frequenta regolarmente gli studi primari e secondari, dapprima nel Convitto di Cagliari poi al liceo di Sassari.

Da studente è brillante, sempre primo negli studi, adora le materie scientifiche, con particolare riguardo alla matematica.

Stante questa predisposizione, il prozio Alberto gli procura una borsa di studio per l’Università di Pavia, dove si laurea in “matematiche pure” nel 1871.

Giovanni Antonio Sanna conosce bene la famiglia Castoldi, sia per il rapporto esistente tra la madre e la nonna paterna del giovane Alberto, appartenenti  allo stesso ambiente borghese sassarese, sia per aver affittato dai Castoldi la casa in cui avevano abitato a Cagliari dal 1850, nei primi anni della miniera di Montevecchio.

Di conseguenza, ha modo di apprezzare le qualità di Alberto e lo vede bene come sposo di Ely, anche perché il giovane appare veramente interessato ad approfondire le conoscenze minerarie, tanto che il Sanna gli propone di continuare gli studi presso la scuola mineraria di Freiberg.

Nel 1875, proprio nei giorni dell'agonia del Sanna, Alberto ottiene il diploma di ingegnere minerario.

A maggio, pochi mesi dopo il suo ritorno in Sardegna, sposa Ely, di cui è sinceramente innamorato e da cui avrà due figli: Enedina (1880) e Giovanni Antonio Ninì (1886).

Nonostante le resistenze dei cognati Gianmaria Solinas-Apostoli e Peppino Giordano-Apostoli, che vedono in lui un concorrente nella gestione del patrimonio Sanna, contando anche sull’appoggio dell’esecutore testamentario Giorgio Asproni, viene nominato prima Ispettore Generale e poi, nel febbraio 1877, Direttore Generale della miniera di Montevecchio.

Caratterialmente Alberto Castoldi è del tutto diverso dal suocero Sanna: dove il secondo era frenetico, impulsivo e interessato alla miniera soprattutto come fonte di prestigio economico e sociale, il secondo è calmo, razionale, competente e vede la miniera come industria produttiva e utile al progresso del paese.

Soprattutto nei rapporti interpersonali è in grado smussare le asperità del confronto, sa rendersi simpatico con la sua innata eleganza e andare al fondo dei problemi per trovare una soluzione accettabile per tutti. 



Fig. 5 - Alberto Castoldi (1848-1922)

Alberto Castoldi Direttore

Diventato Direttore, il primo problema da risolvere è legato ai rapporti conflittuali con i cognati Solinas e Giordano, che tanto avevano fatto tribolare il predecessore Giorgino Asproni, deciso ad abbandonare il suo ruolo dopo la morte del Sanna, non trovando più ragioni per rimanere.

Con la consueta calma, competenza ed efficienza, riesce rapidamente ad aumentare la produzione mineraria e a ridurre dei costi senza penalizzare la ricerca, utilizzando i maggiori utili per acquistare le azioni dei cognati, interessati solo al denaro e al conseguente lusso, e trasferirle in favore della moglie Zely, che diventa così socio di riferimento della Società Montevecchio.

Sotto la guida del Castoldi Montevecchio diventa, così, uno dei più importanti siti estrattivi d’Europa, per organizzazione, uso di tecniche avanzate e volume produttivo (tab. 1), con un’occupazione operaia sempre superiore a 1,000 unità, con un massimo di 1,500 nel 1902.

Durante la sua direzione la produzione di minerali di piombo passa da 7,400 a 16,099 tonnellate (+117.55%), a cui vanno sommati i minerali di zinco prodotti a partire dal 1892.

Tutto ciò avviene, come già detto, attraverso una complessiva riorganizzazione di tutti i settori (estrazione, trattamento, trasporto, amministrazione e servizi), di cui Alberto Castoldi sarà il principale artefice.

Tra i servizi destinati ai lavoratori si deve segnalare, in particolare, l'Ospedale progettato nel 1869 dall’ingegner Giulio Axerio, nell’ambito del progetto di Cassa Soccorso promossa da Giovanni Antonio Sanna, e completato nel 1875 agli inizi della gestione Castoldi.

Riconosciuto da subito tra i più avanzati a livello europei, è così descritto dal funzionario regio Carlo Corbetta a commento della sua visita a Montevecchio: «L’ospitale, mantenuto in parte dalla cassa di soccorso della società mutua degli operai, è situato nella posizione più elevata e salubre e costrutto secondo tutti i precetti voluti dall’attuale progresso igienico e profilattico. È capace di oltre cinquanta letti distribuiti in cinque o sei sale da otto a dieci ciascuna, ampie, bene illuminate e areate e riscaldate all’uopo con stufa sotterranea che vi trasmette con appositi tubi l’area pura esterna resa calda. Opportuni sfiatatoi danno sfogo a quella viziata dai miasmi nosocomiali o cancrenosi che vi s’ingenerassero. A ciascun letto poi risponde un’apertura che ha comunicazione con una corsia o corridoio posteriore interno che disimpegna i locali, e nel quale scorrono facilmente i letti, nei casi di morte, di spurghi o d’altro, richiudendosi subito l’apertura. Vi abita, come detto, un medico che ne ha la direzione e vi ha apposita farmacia, lavanderia e cucina economica; dappertutto un ordine ed una pulizia inappuntabili; è un vero gioiello degno di essere preso a modello in ogni sua parte». [5]



Tab. 1 - Produzione di Pb e Zn a Montevecchio durante la Direzione Castoldi

La Palazzina della Direzione (fig. 6), realizzata tra il 1876 e il 1878 su progetto dell’ingegnere Enrico Coletti con modifiche apportate dallo stesso Castoldi, di forme classicheggianti e neorinascimentali si sviluppa su tre piani intorno a un ampio chiostro centrale, sul quale si affaccia, lungo tre lati, un porticato dalle volte a crociera con decorazioni “a grottesca”.

Adibita inizialmente a ospitare gli uffici direzionali della società mineraria e dimora abituale della famiglia Sanna-Castoldi, è ancora oggi uno dei punti di attrazione della visita a Montevecchio, in particolare per la Sala Blu (fig. 7) dove si possono rivivere i fasti della borghesia ottocentesca.

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[5] (Carlo Corbetta: Sardegna e Corsica – Libreria editrice G. Brugola, Milano (1877)

Fig. 6 - Palazzo della Direzione a Montevecchio

Fig. 7 - Sala Blu nel Palazzo della Direzione

Alberto Castoldi in politica

Raggiunto il pieno controllo tecnico ed economico della miniera, Alberto Castoldi si rivolge anche all’attività politica su spinta dell’amico e avvocato Francesco Cocco-Ortu (fig. 8), esponente di spicco della Sinistra storica, già Sindaco di Cagliari e che poi sarà Ministro di Grazia e Giustizia e dell’Agricoltura, Industria e Commercio in governi guidati da Di Rudinì, Zanardelli e Giolitti.

Eletto la prima volta nel 1880 (XIV legislatura, 1880÷1882) nel Collegio di Iglesias, viene rieletto con continuità per altre 8 legislature (XVI÷XXIII, 1886÷1913).

Sono gli anni caratterizzati in Sardegna da due elementi che avevano già interessato Giovanni Antonio Sanna negli ultimi anni di vita e attività politica: infrastrutturazione dell’isola (realizzazione di strade, ferrovie, bonifiche idrauliche) e accesso al credito.

Sotto questo aspetto la collaborazione tra Castoldi e Cocco-Ortu si rivela importante nella redazione di quella legislazione definita “coccortiana”, volta ad affrontare le tante diversità che avevano minato il processo unitario lasciando indietro alcune regioni, tra cui la Sardegna.

In questa legislazione il contributo tecnico di Castoldi appare evidente, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture, la cui mancanza è ritenuta la causa principale dell’arretratezza socioeconomica sarda.

Avvicinandosi ai sessant'anni, di cui quasi trenta passati nella Direzione della miniera, ed essendo anche impegnato nell’attività parlamentare, Alberto Castoldi comincia a porsi il problema della sua sostituzione.

Il figlio maschio Ninì non è ancora ventenne e, inoltre, non gode di buona salute, mentre la figlia Enedina ha sposato nel 1900 Soliman Bertolio di Casale Monferrato, ingegnere del distretto di Iglesias del Corpo Reale delle Miniere, Professore all’Università di Milano di arte mineraria e autore di un apprezzato Manuale pubblicato da Hoepli con il titolo “Coltivazione delle miniere”.

Ovviamente la scelta cade sul Bertolio [6], che assume la direzione della miniera nel 1905, conservando, in continuità con la gestione Castoldi, la guida della stessa, come direttore e/o gerente, fino alla morte improvvisa per infarto avvenuta l’8 aprile 1923.

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[6] Negli ambienti minerari di Iglesias circolava la battuta secondo cui la gestione di Montevecchio si perpetuava più per generi che per generazioni.

Gli ultimi anni

Dopo aver lasciato la guida diretta della miniera al Bertolio, la principale attività del Castoldi diventa quella parlamentare, svolta fino al 14 luglio 1913, data della fine della XXIII legislatura del Regno, l’ultima con elezione senza suffragio universale.

Durante questo periodo la Sardegna è interessata, come già sottolineato, da un fermento di iniziative in relazione alla realizzazione di opere infrastrutturali, prima di tipo trasportistico (ferrovie, strade) poi collegate alla produzione di energia elettrica.

In quest’ambito la collaborazione con l’amico Cocco-Ortu garantisce alle opere idrauliche sarde le agevolazioni della legislazione per lo sviluppo delle regioni arretrate.

Tra i risultati di tale politica si deve annoverare la costituzione il 4 novembre 1911 della Società Elettrica Sarda (SES),

In questo contesto, nel 1923 viene completato lo sbarramento sul Tirso (diga di Santa Chiara), dando origine al lago artificiale Omodeo, dal cognome del progettista l'ingegnere Angelo Omodeo, con la conseguente produzione di energia idroelettrica di cui si giovò anche la stessa Montevecchio, alimentata direttamente dalla SES con una linea a media tensione di 15 kV dopo la dismissione della centrale elettrica interna funzionante con macchine a vapore.



Fig. 8 - Francesco Cocco-Ortu (1842-1929)

Alberto Castoldi muore il 16 maggio 1922, nove anni dopo l'abbandono degli scranni parlamentari.

In tale occasione, l'amico e mentore Cocco-Ortu dichiarerà: «Legato all’Italia ed alla sua Sardegna da un profondo sentimento di amore patrio, s’adoprò sempre, con semplicità d’eloquio ma con profondità di conoscenze, perché il progresso civile e il benessere economico si diffondessero anche in una terra così avara per i suoi figli, come la Sardegna. Ricordarlo oggi con riconoscente e addolorato saluto per questa sua fertile e generosa operosità parlamentare è dovere di ogni collega deputato e, soprattutto, di ogni sardo».

Con lui muore non il successore di Giovanni Antonio Sanna, primo artefice di Montevecchio, ma il grande dirigente che aveva trasformato la miniera in uno dei maggiori siti minerari europei per la produzione dei minerali di piombo e zinco.

Bibliografia