Le miniere di lignite di Spoleto

Giacimentologia

La lignite di Morgnano e delle altre miniere spoletine, nel ramo sud-orientale del Bacino Tiberino (fig. 1), è localizzata nel Complesso sabbioso-conglomeratico inferiore di età pliocenica (3.5÷2.5 Ma), in particolare nella parte basale del subsintema di Colle Fabbri, a formare un potente banco con spessore medio di 8 m, lungo 4.5 km e largo 1 km, che immerge a N85°E con inclinazioni comprese fra i 30° ed i 40°.

Come evidenziato dalla quasi secolare attività mineraria, l’intero subsintema, e di conseguenza l’orizzonte lignitifero, ha subito l’azione di un’intensa tettonica sia sindeposizionale, che ha deformato e dislocato il materiale vegetale in accumulazione, sia successiva, portando talvolta alla ripetizione per faglia del banco.

All’interno della lignite sono stati rinvenuti numerosi fossili, tra cui i mastodonti Mammuth borsoni e Anancus arvernensis, il Tapirus arvernensis e il Castor sp., una fauna simile a quella rinvenuta in siti fossili piemontesi.

L’ambiente di sedimentazione è quella di un bacino lacustre poco profondo e uniforme, in via di colmamento.

La lignite, più antica e di migliore qualità rispetto a quella di Pietrafitta, presenta le seguenti caratteristiche:

  • tenore medio di ceneri: 32.30%

  • materie volatili: 41.20%

  • umidità media: 32%

  • potere calorifico superiore: 4,280 kcal/kg


Le coltivazioni si sono spinte, con più di 20 km di gallerie (fig. 2), per oltre 1 km nel senso dell’immersione e circa 600 m in profondità a partire dai 300÷400 m slm degli affioramenti.

Fig. 1 - Localizzazione delle miniere di lignite spoletine nel ramo sud-orientale del Bacino Tiberino

Fig. 2 - Gallerie nella miniera di Morgnano

Cenni storici

A nord-ovest di Spoleto, tra la riva sinistra del torrente Marroggia e le falde dei Monti Martani, nella seconda metà del XIX secolo furono rinvenuti, in vari punti, importanti giacimenti di lignite.

Tuttavia, come già sottolineato, fu solo nel 1874, dopo le scoperte e gli esami di alcuni campioni richiesti da Federico Donati, che si cominciò a parlare della possibile utilizzazione di tali banchi lignitiferi e vennero rilasciati i primi tre permessi di ricerca.

A seguito dei lavori del prof. Moro che dirigeva la Società Carbonifera di Spoleto, formatasi proprio allo scopo di ricercare e scavare la lignite scoperta nelle località di Morgnano e S. Croce, la miniera venne dichiarata scoperta con Decreto 15 luglio 1881 e concessionata con RD del 5 ottobre 1882.

L'attività estrattiva, che si svolgeva in sotterraneo tramite gallerie di livello fino a profondità superiori a 300 m, mutò profondamente il destino della città di Spoleto, che trovò nella lignite il mezzo per svilupparsi, riscattando la crisi in cui erano entrate, in piena rivoluzione industriale, le sue tradizionali attività artigiane.

Simbolo della speranza nel futuro industriale di Spoleto fu il masso compatto di lignite, del peso di ben 18 tonnellate, tagliato nella miniera di Morgnano-S. Croce, che nel 1881 fu inviato all’Esposizione di Milano, dove fu premiato con una medaglia di bronzo.

La scoperta delle altre due miniere spoletine, S. Angelo in Mercole (Decreto di scoperta 8 dicembre 1884, RD di concessione 4 aprile 1886) e Uncinano S. Silvestro (Decreto di scoperta 14 dicembre 1884, RD di concessione 8 maggio 1886), e la nascita, il 10 marzo 1884, della Società Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni (SAFFAT), che acquisì la gestione delle tre miniere per alimentare i propri altiforni, segnò il definitivo rilancio industriale di Spoleto.

Nei primi anni d’esercizio, quando i lavori di escavazione interessavano le testate del banco, la lignite si estraeva dalle gallerie, che avevano l’imbocco a giorno.

Nel 1900 la lignite estratta dalle miniere di Spoleto aveva superato le 100,000 tonnellate annue e il numero degli occupati era cresciuto considerevolmente: dai 39 minatori che nel 1883 lavoravano alle dipendenze della Società Carbonifera di Spoleto, la forza lavoro era salita a ben 844 unità.

Quando la lignite affiorante o sub-affiorante si esaurì fu necessario costruire i pozzi: il pozzo Casalini, profondo circa 50 metri, a S. Croce, e il pozzo Rosina Breda, alla base della costa sud del colle di Morgnano.

Il pozzo Orlando (fig. 3), di cui ancora oggi a Morgnano è possibile vedere una parte dell’impianto esterno, fu invece iniziato nel 1921.

Alla vigilia della seconda guerra mondiale aveva raggiunto il XIII livello, a 55 metri sotto il livello del mare e a quasi 400 metri di profondità.

Nel 1960, al momento della chiusura delle miniere, il pozzo e il sistema di gallerie e discenderie che si snodavano alla sua base, avevano raggiunto il XVI livello, a 600 metri di profondità.

Intitolato a Giuseppe Orlando, direttore generale della Terni fino agli anni ‘20, il pozzo è diventato il simbolo triste della sciagura del 1955 quando il grisou uccise ventiquattro minatori (vedi di seguito), tanto che l’amministrazione comunale di Spoleto, anche su sollecitazione dell’Associazione Amici delle miniere, ne ha acquistato l’area per farne un luogo della memoria.

I pozzi, divisi in due scompartimenti erano destinati al movimento delle “gabbie”, adibite al trasporto sia dei vagoncini carichi di lignite che del personale.

La lignite estratta era suddivisa, a seconda della qualità, in quattro classi:

  • pezzi grossi

  • trito, ottenuto da vagliatura (>20 mm) dopo la cernita dei pezzi grossi

  • granitello, ottenuto da una seconda vagliatura (5÷20 mm)

  • polvere, passante della seconda vagliatura


Solo le prime due classi andavano, quasi totalmente, ad alimentare le acciaierie ternane; il granitello si bruciava per ottenere vapore nelle stesse miniere o nella cottura di laterizi; la polvere, infine, veniva usata in agricoltura, come correttivo alle terre argillose e/o come concime, mescolata al letame.

Come già ricordato, i periodi di massima produzione delle miniere umbre, e di quelle spoletine in particolare, furono quelli delle due guerre mondiali, soprattutto la seconda durante la quale (anni ‘40-‘43) le miniere spoletine arrivarono produrre oltre 500,000 tonnellate annue con 1,500 addetti a Morgnano, essendo considerate tra le più importanti d’Italia.

L’escavazione della lignite ad ogni costo ebbe come effetto collaterale negativo la diminuzione delle misure di sicurezza e, conseguentemente, degli infortuni.


Fig. 3 - Miniera di Morgnano: pozzo Orlando

Fig. 4 - Miniere di Morgnano a inizio XX secolo

Anche se avevano prodotto fughe di gas sin dalla loro apertura, le miniere spoletine non erano mai state classificate come grisoutose.

Per tale motivo esse non erano dotate di tutte quelle misure di sicurezza necessarie a evitare lo scoppio del gas in caso di fughe, con il risultato che la miniera di Morgnano fu sede di due eventi tragici che provocarono la morte di otto minatori la prima (gennaio 1939) e ventiquattro la seconda (22 marzo 1955).

Pochi anni dopo la tragedia del ’55, le miniere di lignite spoletine cessarono la loro attività, avendo la Terni presentato nell’agosto 1960 istanza di rinuncia alle concessioni per antieconomicità della gestione e impoverimento quali-quantitativo del minerale estratto, rinuncia accettata con DM del 18 ottobre 1961 (GU 45/1962).

Fosse dipeso per la concessionaria la chiusura sarebbe già avvenuta all’inizio degli anni ’50, se ciò non avvenne fu per la ferma opposizione dei minatori, supportata da sindacati ed Enti locali, compreso un Comitato cittadino per la difesa delle miniere di Spoleto.

Le proposte avanzate dai minatori e dai loro sostenitori, che puntavano all’ammodernamento delle tecniche estrattive e alla riconversione dell’uso della lignite, non trovarono, tuttavia, alcun ascolto da parte della Terni e del Governo, riuscendo solo a posticipare di qualche anno la chiusura.

Il disastro di Morgnano del 1955


Le testimonianze che ci sono giunte dalla “Spoleto mineraria” mostrano immagini (fig. 4) che sembrano tratte da un libro di avventure, con eroi, comparse e caratteristi che ci narrano una storia durata quasi cento anni.

È stata una vicenda forte, che ha contribuito allo sviluppo economico della città e dato lavoro a numerose famiglie, non poche delle quali, però, hanno dovuto pagare un grande tributo di vite umane, tra cui quello rimasto nella memoria collettiva come la tragedia del 22 marzo 1955.

Quel giorno alle 5.40 del mattino, pochi minuti dalla fine del terzo turno di notte, nel pozzo Orlando una sacca di grisou invase una galleria in tracciamento, diffondendosi nel reticolo scavato nel terreno.

Trascorsi pochi minuti si verificò l’esplosione che uccise 24 minatori e ne ferì 18 dei 170 in servizio.

Le indagini stabilirono che si era trattato di una fatalità connaturata con la stessa attività estrattiva, ma in realtà, come già evidenziato, la miniera non era attrezzata per fare fronte alle fughe di gas, nonostante queste si fossero manifestate sin dall’inizio delle attività di coltivazione e avessero già causato la tragedia del gennaio 1939 che aveva provocato la morte di 8 minatori.

La tragedia generò, quindi, una grossa polemica sulle condizioni di sicurezza (non) garantite dalla Società Terni, che deteneva la concessione della miniera.

Lo stesso giorno dell’esplosione il deputato socialista Lionello Fedeli, dopo aver informato della tragedia e dei morti e feriti di cui si aveva allora notizia, affermava che «... È il martirologio dei minatori che continua: Italia, Belgio [1], Ribolla, Morgnano. Questi lavoratori pagano duramente, con il continuo rischio della propria vita, il magro salario che viene loro corrisposto. Quali le cause? Abbiamo ragione di ritenere che le attrezzature fossero vecchie e avessero bisogno di essere rinnovate. Forse, anzi certamente ... non tutte le disposizioni preventive erano state attuate. Pur non volendo in questa sede fare un’indagine sulle responsabilità, abbiamo tuttavia il dovere di richiamare energicamente il Governo sul fatto che questi tragici episodi si ripetono troppo di frequente».

Gli fece eco il senatore comunista Armando Fedeli che, ricordando le sue origini umbre, espresse il suo dolore per la «gente della mia terra con la quale da anni condivido nelle alterne vicende la lotta sul fronte della miniera per strappare il minimo indispensabile alla loro esistenza e a quella delle loro famiglie...si deve spingere il Governo ad agire con rapidità e decisione per individuarne e colpire gli eventuali responsabili di questo immane disastro mentre il Parlamento deve rapidamente attuare l'inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche, nelle miniere, ovunque i lavoratori giorno per giorno espongono la loro vita al sacrificio per la loro esistenza e per l'intera collettività nazionale, poichè io ritengo, pur non essendo come voi al corrente dei particolari che hanno determinata la tragedia, che qui si tratti non solo di ricercare le responsabilità immediate ma di guardare più lontano e di sapere quello che ormai i minatori della zona di Morgnano, Bastardo e di tutto il bacino lignitifero dell'Umbria sapevano; cioè le condizioni di arretratezza tecnica e la scarsezza dei mezzi di prevenzione di infortuni nel lavoro della miniera».

Il 24 marzo, durante i funerali di Stato, l'allora segretario generale della Cgil, Giuseppe di Vittorio, affermò: «Esigiamo che tutta la struttura della prevenzione sia modernizzata e chiediamo una inchiesta minuziosa, scrupolosa, rigorosa nelle responsabilità e, se responsabilità colpose dovessero risultare, che siano severamente punite».

Dall’altra parte, nella seduta del 22 marzo alla Camera il Ministro del Lavoro Ezio Vigorelli, socialdemocratico, ricordando anche il disastro del maggio 1954 a Ribolla e la legge delega all’esame del Consiglio Superiore delle miniere, sottolineava come le nuove disposizioni «tendono ad assicurare anche nelle miniere, sotto la vigilanza del Ministero dell’industria, l’adozione di tutte quelle misure che possano valere a prevenire gli infortuni. Evidentemente tutto questo potrà avvenire nei limiti del possibile, perché nessuno può ignorare quanto vi sia di accidentale, di fatale, forse di inevitabile in un lavoro che si svolge nella vicinanza del grisou, che da secoli turba la possibilità di un lavoro tranquillo e sereno nelle miniere».

Anche la stampa si divideva tra quelli che - Giornale d’Italia, Tempo e Messaggero - sposavano l’ipotesi della fatalità, se non quella della negligenza dei minatori, e quelli che - l’Unità (fig. 5) e Paese sera – mettevano in evidenza la mancanza di sicurezza nelle condizioni operative dell’impianto.

L’Unità riportò anche la notizia secondo la quale, qualche giorno prima dell’incidente minerario, un operaio aveva avvisato il capo minatore di una concentrazione di gas superiore alla norma.

Il 26 marzo il Consiglio Comunale di Spoleto stabilì all’unanimità l’erogazione di un sussidio alle famiglie dei minatori morti nell’incidente.

Il direttore della miniera, Giuseppe Dolzani, fu accusato di omicidio colposo, le due perizie processuali giunsero a certificare cause molto distanti tra loro, la perizia eseguita dai Proff. Ugo Ventriglia e Filippo Falini, stabilì che la causa dell’esplosione era da individuare nella accensione di una sigaretta da parte di qualche operaio, mentre la perizia del professor Mario Carta, individuò l’elemento scatenante dell’esplosione nelle scintille generate dall’impianto elettrico, che non era adeguatamente isolato.

Il direttore della miniera, Giuseppe Dolzani, fu accusato di omicidio colposo, le due perizie processuali giunsero a certificare cause molto distanti tra loro, la perizia eseguita dai Proff. Ugo Ventriglia e Filippo Falini, stabilì che la causa dell’esplosione era da individuare nella accensione di una sigaretta da parte di qualche operaio, mentre la perizia del professor Mario Carta, individuò l’elemento scatenante dell’esplosione nelle scintille generate dall’impianto elettrico, che non era adeguatamente isolato.


Fig. 5 - La notizia del disastro sulla prima pagina dell’Unità

Fig. 6 - La targa che ricorda la tragedia del 1955 al pozzo Orlando

A smentire la tesi della fatalità, dopo la tragedia furono presi numerosi provvedimenti allo scopo di garantire una maggiore sicurezza in miniera; tra i principali:

  • Incremento della ventilazione principale, che passò da 12 a 18 m3/sec.

  • Miglioramento della ventilazione secondaria, utilizzando tubazioni metalliche più maneggevoli e di maggior diametro (prima da 150 e poi da 200 mm).

  • Rettifica della sezione delle vie principali di comunicazione al 13° livello e allargamento e rafforzamento di alcuni tratti dei riflussi principali (vie di uscita dell’aria viziata).

  • Introduzione sistematica del tiro elettrico delle mine, con impiego di detonatori elettrici istantanei o ritardati e detonatori manuali, in sostituzione dei comuni detonatori, miccia a lenta combustione e accenditori a strappo, o frizione.

Il provvedimento comportò l’addestramento di tutte le 42 compagnie di minatori.

  • Sostituzione di tutta l’apparecchiatura elettrica normale (motori, trasformatori, interruttori) con apparecchiatura antideflagrante (a prova di esplosione o a immersione in olio).

  • Sostituzione del cavo a trecce scoperte a 500 V lungo il Pozzo Orlando con un equivalente cavo armato isolato sempre a 500 V.

  • Sostituzione delle lampade ad accumulatore portatili Wolf con lampade individuali al cappello (le Oldham).

  • Acquisto e dotazione all’ufficio di sicurezza di un apparecchio per la rilevazione e misura del tenore di grisou di tipo ottico (interferometro Zeiss).


Si trattava di misure di carattere strutturale, per niente banali, si pensi soltanto al fatto le volate erano ancora innescate con la miccia, il che dimostra più di ogni altra considerazione a chi spettavano le maggiori responsabilità di quanto avvenuto il 22 marzo 1955.


A 54 anni dalla tragedia, il 22 marzo 2009, la città di Spoleto ha reso omaggio a tutti i lavoratori della miniera di Morgnano con il museo che è stato realizzato proprio nell’area del pozzo Orlando, diventato un luogo della memoria (fig. 6).

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[1] E non c’era ancora stato il disastro di Marcinelle (Belgio), avvenuto un anno e mezzo dopo, l’8 agosto 1956, che causò la morte di 262 minatori, di cui ben 136 italiani.