Le Miniere di Formignano e Boratella

La miniera di Formignano

Il sito minerario si trova a circa 1 km da Formignano (fig. 1), un piccolo paese nei dintorni di Borello, nel comprensorio di Cesena (FC).

La vena, lunga 2 km e profonda 400-500 m, fa parte di una formazione larga 1 km che si estende per 15-20 km, immergendosi verso NO con pendenze che variano da 18° a 72°. La potenza dello strato è in media di 1.5 m con massimo di 2 m e tenori mediamente del 12% e tendenza a diminuire in profondità come nelle maggior parte dei giacimenti solfiferi, ragione per cui la coltivazione fu arrestata ai 500 metri di profondità.

Si tratta del sito meglio conservato in Romagna, essendo stato l’ultimo a chiudere nella regione.

Con la denominazione “Formignano” si intende il complesso delle miniere “Busca – Montemauro – Polenta”, “Luzzena – Formignano” e “Borello – Tana” che in origine erano coltivazioni ben distinte, ma che in seguito furono messe in comunicazione tra loro – nel sottosuolo per i successivi prolungamenti delle gallerie sotterranee e in superficie per mezzo di una teleferica e unificate in un’unica concessione con DM del 15 settembre 1956 (GU 278/1956).

Già citata nel XVI secolo [1], la solfatara di Formignano inizia ad essere sfruttata a livello industriale solo nel XIX secolo.

In particolare, nel 1816 il conte Giovanni Cisterni, originario di Ancona, ma nato e residente a Rimini, personaggio di larghe vedute, riusciva a rastrellare ingenti capitali e ad acquistare le miniere di Perticara e Marazzana nel Montefeltro e, nel 1823, Formignano nel Cesenate, costruendo, inoltre, a Rimini uno stabilimento chimico e una raffineria di zolfo, che lavorava quasi esclusivamente il minerale proveniente dalle suddette miniere.

In data 3 settembre 1829, erano impiegati nelle tre miniere del Conte Cisterni circa 500 dipendenti, e occorrevano mensilmente "300 birocciari" per il trasporto dello zolfo a Cesena e a Rimini.

Nel 1836, tuttavia, i debiti contratti per realizzare le opere di modernizzazione degli impianti, necessarie per sostenere la concorrenza dello zolfo siciliano messo sul mercato a prezzi molto bassi, aggravati da un’epidemia di colera sviluppatasi nell’area, lo portarono ben presto alla bancarotta ed alla chiusura delle miniere, avvenuta nel febbraio del 1837.

Nel luglio del 1838, grazie alle prospettive apertesi nel mercato dello zolfo in seguito al tentativo di razionalizzazione del mercato siciliano operato dal governo borbonico, due industriali francesi del settore tessile, Agostino Picard di Avignone e Carlo Pothier dei Vosgi, frequentatori del mercato di Cesena per approvvigionarsi dell'acido solforico necessario alle loro aziende, acquistarono per 700,000 franchi le miniere possedute dal Conte Cisterni, per il tramite della Società Augustin Picard & C.

Durante la gestione francese fu direttore della miniera di Formignano Charles Perdereaux, che avviò una gestione del lavoro più rigida, introdusse regolamenti nuovi, penali per i trasgressori e innovazioni nel campo della previdenza sociale e dell’aiuto ai minatori in caso di malattia o incidenti; nel campo della fusione dello zolfo furono sperimentati nuovi forni in ghisa che aumentavano la resa, disperdevano meno biossido di zolfo ed erano più resistenti.

Nel 1840, a Formignano vennero condotti i lavori per la realizzazione di un pozzo verticale a forma quadrata e con una profondità di 120 m.

Quello stesso anno, tuttavia, l’insuccesso del tentativo borbonico di regolamentare il mercato dello zolfo siciliano a causa della minaccia inglese di fare intervenire la flotta, portò al fallimento la Società francese che non riuscì più a fare fronte alle spese, nonostante fosse arrivata a produrre circa 1,200 tonnellate annue di zolfo.

Il fallimento fu ratificato dal Tribunale di Rimini il 3 agosto del 1842.

Il 21 febbraio 1844 fu costituita a Bologna la società in accomandita “Nuova Società delle Miniere Solfuree di Romagna”, che acquistò le miniere della fallita società francese. I principali azionisti furono i fratelli Pizzardi, Rasori, Carega, Antonio Zanolini, Marco Minghetti, futuro primo ministro dello stato italiano nel marzo 1863, e per cinque azioni anche il compositore Gioacchino Rossini.

Il 14 febbraio del 1855, spinta dalla necessità di reperire nuovi investitori, la suddetta società si trasformava in una compagnia per azioni, la “Società Anonima delle Miniere Sulfuree di Romagna”, una delle prime a costituirsi nel mondo, con un capitale sociale di lire 1,170,000, portato nel 1863 a lire 2,860,000 e ricevendo, tramite regolare atto dell'8 maggio 1857, dalla Camera Apostolica la concessione per 50 anni delle miniere Busca, Montemauro, Formignano e Luzzena, non senza contrasti e opposizioni dei cesenati in nome della bolla di Papa Paolo III del 1535 che concedeva ai soli cittadini cesenati la possibilità di coltivare le miniere di zolfo.

La nuova società nasceva in un momento favorevole per lo zolfo, il cui prezzo era salito grazie a una serie di circostanze nazionali e internazionali: lo sviluppo sempre più veloce dell’industrie chimica e tessile, forti utilizzatrici di acido solforico, la diffusione dell’oidio, parassita della vite e di altre piante la cui cura prevede una miscela di zolfo e rame, lo scoppio della guerra di Crimea e della seconda guerra d’Indipendenza.

Mentre le miniere Formignano e Luzzena rimasero sotto il controllo della società bolognese, nel 1860 il cesenate Natale Dellamore acquisiva il controllo delle miniere Busca e Montemauro per cederle a Massimiliano Malaguti, che il 1° gennaio 1861 ne divenne unico proprietario, costituendo in accomandita la “Società Miniere Zulfuree Cesenati”, con sede a Firenze e capitale azionario di 400,000 lire (fig. 2).

Poiché lo strato di zolfo aveva una pendenza che, mano a mano che la coltivazione si approfondiva, allontanava i cantieri dal pozzo richiedendo sempre più tempo e fatica per l’estrazione del minerale abbattuto, nei primi anni ’70 del XIX secolo si decise di realizzare una discenderia che avrebbe raggiunto lo strato solfifero alla profondità del 4° livello; la discenderia sarebbe stata poi approfondita, di mano in mano che si estendeva la coltivazione, entro lo strato stesso fino a raggiungere col tempo una profondità di 306 metri sotto il piano campagna (-90 m slm circa), con una lunghezza di circa 500 metri (fig. 3).

Pur costosa, la discenderia presentava grossi vantaggi: entrava direttamente nello strato solfifero, permetteva un movimento dei vagonetti più rapido, sia in entrata che in uscita dalla miniera, e consentiva, utilizzando il medesimo argano del pozzo, di estrarre un numero maggiore di carrelli per ogni tirata.

Con RD del 14 giugno 1874 le concessioni Formignano e Luzzena vennero unificate, ma dopo il 1880 la situazione si fece nuovamente critica sul mercato dello zolfo italiano, sul cui futuro si addensarono due grosse nubi: l’uso industriale della pirite per la produzione di acido solforico, l’entrata sul mercato dello zolfo americano prodotto a prezzi molto bassi con il metodo Frasch.

In queste condizioni, la Società bolognese riuscì a gestire le miniere di Perticara, Formignano e altre solo fino al 1895, anno in cui, a seguito della persistente crisi dell'industria zolfifera, fu messa in liquidazione.

Dopo un tentativo di una cooperativa di impiegati e minatori, nel 1899 tutte le miniere marchigiano-romagnole furono rilevate dalla Società Luigi Trezza, poi divenuta Società anonima Miniere Solfuree Trezza-Albani di Romagna.

Nelle figg. 4, 5 e 6 sono mostrati un prospetto delle attività minerarie a fine XIX secolo e due foto della miniera all’inizio del XX secolo, periodo in cui erano operativi 44 forni Gill e 3 calcaroni per la fusione dello zolfo e una teleferica, di circa 1 km, che dalla Busca trasportava il materiale nella località delle Aie di Formignano.

Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, la Montecatini, sotto la guida dell’ing. Guido Donegani, acquistò le concessioni della Società Trezza-Albani, chiudendole tutte nell’arco di pochi anni, tranne due, Formignano e Perticara, in cui investì in migliorìe sia dei macchinari che degli edifici.

Come testimoniano le relazioni tecniche della Montecatini, l'attività estrattiva era resa molto difficile delle condizioni del giacimento: vene sottili (max 2 m) disposte in modo casuale, che richiedevano lo scavo di lunghe gallerie e profonde discenderie.

A ciò si aggiunse la grave crisi che, nel biennio 1922÷1923, colpì l'industria solfifera e provocò la momentanea chiusura della miniera.

La successiva crisi del ’29 fu superata solo grazie all’intervento del Governo, che però nel 1933 autorizzò la Montecatini a decurtare il salario del 15% circa.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale favorì l’esportazione dello zolfo verso la Germania e la produzione continuò anche durante il conflitto, ma nel 1945-46 la miniera fu di nuovo chiusa temporaneamente per riparare i guasti avvenuti dopo l’abbandono da parte delle truppe tedesche che l’avevano controllata durante la guerra: crolli e allagamenti avevano reso impraticabili i livelli più bassi e produttivi, come risulta nel rapporto del Corpo delle Miniere, a seguito dell’ispezione ordinaria del 25-27 novembre 1947, dove si legge: «... procede ancora lo sgombero delle gallerie ostruite in seguito all’inondazione per cause belliche. Il lavoro va a rilento a causa delle deficienze di energie elettriche e delle difficoltà che si incontrano durante l’avanzamento ...».

Si avvertiva comunque che la Montecatini non aveva più interesse nelle miniere romagnole, avendo acquisito miniere in Sicilia (Passarella e Grottacalda) dove intendeva spostare la produzione grazie alle sovvenzioni statali e al minor costo della manodopera.

Negli anni 1953-54 la Montecatini, durante l'esplorazione di una vasta zona all'estremità della galleria del livello XI, aprì un nuovo pozzo Montemauro in località Tessello, a poco più di 3 km verso nord-ovest dal piede della discenderia d'estrazione di Formignano, ma anche questo tentativo non diede grossi risultati per la piccola potenza dello strato (60 cm) e lo scarso tenore di zolfo.

Gli stessi risultati insoddisfacenti dettero le ricerche della Società Esercizio Miniere (1952-1956) e della Società Italmin (1957), entrambe nell’area di Luzzena.

Gli ultimi anni della vicenda del complesso minerario di Formignano furono caratterizzati più da questioni di carattere amministrativo e organizzativo che produttivo, come testimoniano i seguenti Decreti ministeriali emessi per la riorganizzazione delle varie concessioni esistenti:

  • DM 20 luglio 1948 di unificazione delle concessioni Busca Montemauro e Polenta Montepennino in un’unica concessione denominata Busca Polenta (GU 255/1948);

  • DM 15 settembre 1956 di raggruppamento delle concessioni Busca Polenta, Formignano Luzzena, Borello Tana in un’unica concessione denominata Formignano sempre intestata alla Montecatini (GU 278/1956).


Infine, il 30 giugno 1962, si arrivò alla chiusura definitiva della miniera (fig. 7) per esaurimento o, più precisamente, perché la lavorazione, a causa dell'impoverimento dello strato solfifero e della grande profondità raggiunta, era divenuta antieconomica, chiusura ratificata con il DM di accettazione della rinuncia della concessionaria del 28 agosto 1963 (GU 303/1963).

A quella data lo scavo si articolava su 21 livelli, per una profondità di 500 m e un’estensione di 3 km, con 9 piani inclinati di discesa, compreso quello principale, lungo 560 m, che dalla superficie raggiungeva l’undicesimo livello.

La produzione di zolfo grezzo della miniera, nel periodo dal 1861 al 1962, è stata stimata in 409,000 tonnellate, con il picco della produzione, pari a 8,344 tonnellate, nel 1912. Nello stesso periodo nella miniera vi lavorarono in media 250 operai con la punta massima di 441 lavoratori nel 1910


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[1] Giuliano Fantaguzzi in “Occhurentie et nove” ad inizio secolo e Georgius Agricola in "De Re Metallica" nel 1556.

Fig. 1 - Immagine da satellite del sito di Formignano (fonte: Google Earth, luglio 2019)

Fig. 2 - Stralcio dello Statuto di costituzione della Società Miniere Zulfuree Cesenati

Fig. 3 - Miniera di Formignano, sezione della discenderia (Belvederi, 2016)

Fig. 4 - Prospetto delle attività minerarie esistenti a fine XIX secolo (Belvederi, 2016)

Fig. 5 - Panoramica della miniera di Formignano (all’inizio del XX secolo)

Fig. 6 - Costruzione dei forni Gill (inizio del XX secolo)

Fig. 7 - Lettera di comunicazione del termine dei lavori della miniera di Formignano

Le miniere di Boratella

L’area mineraria di Boratella è situata sulla sponda del rio omonimo all'altezza della strada comunale per Le Ville di Monteiottone (figg. 8 e 9).

Le prime notizie di coltivazione dello zolfo nell’area risalgono al 1788, quando il conte Marco Fantuzzi cita il nome di “Burattella o Ciola” in un elenco di miniere di zolfo romagnole attive al tempo.

In una successiva monografia statistica sulla Provincia di Forlì, datata 22 giugno 1864, si parla di Boratella come unica miniera florida e promettente.

In realtà, pur trattandosi di un unico giacimento, da un punto di vista dell’attività mineraria fu suddiviso in tre concessioni autonome sotto il profilo tecnico e amministrativo, affidate a gestioni diverse che si fecero concorrenza: Boratella I (fig. 10), Boratella II (fig. 11), Boratella III (fig. 12).

Solo alla fine della loro storia, con DM del 29 settembre 1952 (GU 270/1952), le tre concessioni (fig. 13) furono unificate con quella di Piavola nell’unica concessione denominata Boratella, rimasta in vigore fino al 1956.


Boratella I


Posta sulla sinistra del torrente Boratella e alle falde del colle, che si innalza fra il torrente stesso e il torrente Borello, interessava le parrocchie di Falcino, Piavola, Ciola e Monteiottone. La potenza dello strato coltivato era elevata, aggirandosi sui 4/5 metri, certamente il giacimento più ricco scoperto in Romagna.

Nel 1862 la concessione era in mano alla società di Natale Dellamore, che la gestirà, passando da una fase iniziale di ricerca a una di sviluppo con produzione intensa sino al 12 agosto 1869 quando, con rogito del notaio Trovanelli di Mercato Saraceno, sarà ceduta, in parti uguali, al conte Taveggi di Bologna ed all'ingegnere belga Giovanni de Rechter.

In data 8 ottobre 1871, con rogito notaio Cassinis di Torino, i nuovi proprietari vendettero la miniera a due banchieri: uno londinese, Giovanni Stanisforth, e l'altro parigino, Martin Wolfang Scheyer.

Con atto d'associazione, il 28 ottobre 1871, venne fondata la "Cesena Sulphur Company Limited", con un capitale di 350,000 lire sterline (circa 8,750,000 di lire italiane), diviso in 35.000 azioni da 10 sterline l'una e con lo scopo d'acquistare dai due banchieri diverse miniere nel Cesenate.

La compravendita venne regolarizzata il 28 aprile 1872, tramite la Banca Geisser di Torino, mandataria della società londinese, e subito dopo, con Regio Decreto del 18 luglio 1872, la Cesena Sulphur Company ottenne l'agibilità commerciale nel Regno d'Italia.

Sin dal maggio 1873, come direttore e amministratore delegato delle miniere cesenati di proprietà della società inglese, era stato chiamato il giovane trentaduenne ing. Francesco Kossuth, figlio del patriota ungherese Lajos.

Negli anni dal 1874 al 1880, che rappresentarono in generale per tutta l'industria zolfifera romagnola il periodo di massimo sviluppo, la produzione media annua della Boratella I si aggirò sulle 10,000 tonnellate di zolfo grezzo, con un impiego di manodopera sulle 1,200 unità.

Il trasporto del materiale dalla miniera alla strada provinciale Borello-Mercato Saraceno avveniva, per la maggior parte, tramite la "ippo-ferrovia" costruita da Natale Dellamore, affittuario della miniera Boratella III, in quanto la strada comunale, che conduceva a Monteiottone, durante i lavori di posa dei binari era stata quasi distrutta, impedendone di fatto l'utilizzo, specialmente nel periodo invernale.

Ciò causava frequenti litigi tra gli amministratori della Sulphur e il Dellamore, particolarmente esoso nei pedaggi richiesti, come testimoniato dal voluminoso incartamento del Tribunale conservato presso l' Archivio di Stato di Forlì.

Gli anni seguenti, dal 1880 al 1887, furono anni di profonda crisi dell'industria zolfifera romagnola, messa in ginocchio dall'abbattimento dei prezzi di mercato e dalla concorrenza dello zolfo siciliano, fino al fallimento della Cesena Sulphur Company, avvenuto il 27 maggio 1887.

Rimasta in esercizio provvisorio, grazie all'iniziativa del Curatore Fallimentare Avv. Pietro Turchi al fine di «ottenere quella soluzione, la quale possa riuscire di maggiore vantaggio a tutti gl'interessati, e valga a scongiurare la immensa iattura, che al nostro paese cagionerebbe la cessazione dell'industria delle Miniere Zulfuree», la concessione fu acquisita nel 1889 dalla Ditta Trezza poi diventata Società anonima Miniere Solfuree Trezza-Albani di Romagna.

Nel 1903 la miniera fu definitivamente abbandonata; solo nel 1917 la società Montecatini raggruppò la Boratella I con altre concessioni limitrofe, ma i lavori di ricerca e sfruttamento rimasero alquanto limitati.

La produzione totale fu di 133,100 tonnellate di zolfo greggio con una manodopera media di 730 unità.

Il metodo di coltivazione adottato era ancora quello delle origini, per gallerie e pilastri abbandonati.


Boratella II


La meno importante delle tre miniere Boratella, era posta nelle vicinanze della miniera Boratella I, sempre sulla sinistra del rio omonimo, si spingeva con gallerie sotto il monte Falcino fin verso il torrente Borello. Lo spessore dello strato mineralizzato non superava i 2 metri.

Nel 1863, la concessione era in mano a Giovanni Petrucci e fratelli che la davano in affitto al Sig. Antonio Barbieri di Brescia.

Nel 1875 la proprietà passò alla società francese-belga "Generale des Soufres”, mentre negli anni successivi seguirà le vicende della Boratella I, venendo acquisita prima dalla Trezza-Albani di Romagna e poi, nel 1917, dalla Montecatini.

Nel corso della sua attività, terminata nel 1904, la miniera produsse complessivamente 54,000 tonnellate di zolfo greggio, con punte massime di 3,000 tonnellate annue e 200 unità di manodopera.

Il metodo di coltivazione per gallerie e pilastri abbandonati, fu sostituito nel 1875 da quello con ripiene, a causa dei numerosi crolli che caratterizzarono la storia di questa miniera.


Boratella III


Localizzata sulla destra del torrente Boratella era, insieme alla Boratella I, la più ragguardevole sia per l'entità della produzione sia per l'interesse che il giacimento aveva suscitato per potenza, ricchezza e facilità di estrazione.

I primi concessionari furono i fratelli Giovanni, Paolo e Romualdo Grazi di Mercato Saraceno, Luigi Petrucci, l'ing. Livio Ricci di Forlì, Giovanni Battista Balducci e Gaetano Petrucci di Sarsina che stipularono un atto di associazione in data 7 agosto 1868.

Dal 1° luglio 1871 venne data in affitto a Natale Dellamore, uomo cardine in positivo e negativo nello sviluppo dell’attività mineraria dell’area, per un canone stabilito in lire 2,50 per ogni quintale di zolfo prodotto e per una durata di otto anni e mezzo.

Sin dall'inizio dell'avventura nella Boratella il Dellamore aveva intuito l'importanza delle strade ferrate, che nei primi anni post-unitari avevano attratto e sedotto tanti imprenditori, anche cesenati.

Le vicende economiche dell'imprenditore cesenate furono sempre alquanto difficili e nel 1873 dovette ricorrere a ingenti prestiti con le banche, per un ammontare di 1,000,000 di lire.

Ciononostante, alla fine del 1873 non riuscì a versare un'imposta di ricchezza mobile di 11,386 lire, per cui ebbero inizio le pratiche per la dichiarazione di fallimento presso il Tribunale di Forlì.

Le miniere del Dellamore vennero messe sotto il controllo di una Commissione Amministrativa e queste vicende economiche influirono in modo determinante anche sulla conduzione dei lavori minerari, che vennero spesso lasciati al caso a scapito della sicurezza, tanto che nella Boratella III si ebbe la più alta percentuale di incidenti mortali sul lavoro, crolli di gallerie e vari incendi anche dolosi.

Nel maggio del 1875, con il crollo della galleria principale [2], seguito da una forte scossa, simile a quella di un terremoto, per oltre 400 metri si apriva un profondo crepaccio dal letto del rio Boratella sino al pozzo di estrazione pregiudicando per mesi la lavorazione.

Circa 600 operai vennero a trovarsi senza occupazione e diversi si impiegarono nella miniera di Perticara nel Montefeltro.

Nel febbraio 1881 fu perfezionato un contratto d'affitto fra l'ing. Francesco Kossuth, per conto della Cesena Sulphur Company, e la maggioranza dei proprietari della miniera, presso il notaio Federico Maglioni di Sarsina, per la durata di nove anni a far data dal 1° marzo successivo.

Nel 1883 un furioso incendio obbligò all'abbandono di larghi tratti del giacimento e nel settembre 1884 i minatori delle miniere della Boratella, con particolare evidenza quelli della Boratella III, aprirono una dura vertenza nei confronti delle amministrazioni delle tre miniere, che volevano diminuire la loro paga giornaliera prendendo a confronto quella percepita dagli operai addetti alla sistemazione della strada Borello-Bacciolino, inferiore di oltre il 50%.

Nonostante le misure prese dalla Commissione Amministrativa, tra cui nel maggio 1885 il licenziamento di 59 minatori e 14 carreggiatori, all'inizio del 1887 la crisi della Boratella III giunse al culmine.

In quel frangente Girolamo Gusella, impiegato addetto alla ippo-ferrovia e agitatore per conto del Dellamore, lanciò l'idea di costituire una "Associazione cooperativa dei Zolfatari di Romagna" con l'appoggio di Alessandro Fortis, ministro dell'agricoltura.


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[2] La causa di questo crollo e di altri che si verificavano frequentemente nell’area, era da attribuirsi al sistema di coltivazione che avveniva prevalentemente per gallerie e pilastri abbandonati senza un criterio prestabilito che non fosse quello della corrispondenza con zone sterili, la qual cosa comprometteva la stabilità dei vuoti creati

Come già accennato, dopo l’evento del 1875 si decise di affrontare questo problema introducendo, almeno in parte, il metodo della ripiena dei vuoti creati.

Fig. 8 - L’area delle miniere di Boratella al luglio 2019 (Fonte Google Earth)

Fig. 9 - Georeferenziazione delle concessioni Boratella 1, 2 e 3 (Belvederi 2016)

Fig. 10 - Immagine della miniera di Boratella I

Fig. 11 - Immagine della miniera di Boratella II

Fig. 12 - Miniera di Boratella III: pozzo di Monte Giusto

Fig. 13 - Boratella 1, 2 e 3 in una foto di fine ‘800 (Belvederi, 2016)


Neanche quest'iniziativa, tuttavia, riuscì a rimediare alla crisi ormai irreversibile in cui si trovarono le miniere romagnole.

Né ci riuscirono successive ricerche volte a cercare un consistente strato zolfifero in località Arsellino. Così, nel 1903 i lavori vennero nuovamente sospesi.

Nel 1918 una parte della concessione passò alla Montecatini e nel 1924 la restante alla Società Zolfi che, dietro compenso, ne ottenne la totale disponibilità, confermata con DM del 18 novembre 1929 (GU 59/1930).

La Zolfi proseguì attivamente con l'esplorazione delle due discenderie, la "Fondoni" e la "Monte Giusto", riuscendo a ottenere una produzione di 4÷5.000 tonnellate annue di zolfo grezzo.

Il 4 luglio 1934, durante un’ispezione delle gallerie del cantiere Monte Giusto, dove l’incendio di una galleria aveva bloccato la coltivazione, perirono l’ing. Ferdinando Marchetto, direttore delle miniere romagnole della Zolfi, e il suo vice, geom. Secondo Mario Forlivesi.

L’evento provocò la sospensione dei lavori e tre anni dopo, con DM 8 novembre 1937 (GU 3/1938), la concessione fu trasferita alla Montecatini, che nel dopoguerra tentò un nuovo sondaggio a Monte Giusto, ma, a causa del contingentamento della produzione e della profonda crisi, tutto venne abbandonato nel 1955.


Nella sua storia la miniera produsse in totale circa 162,000 tonnellate di zolfo greggio.